Restaurare l’arte contemporanea #1: i “Tappeti-Natura” di Piero Gilardi

di - 23 Novembre 2021

Se restaurare un’opera d’arte è sempre complesso in ambito contemporaneo possiamo parlare di vera e propria sfida. Molti dei materiali impiegati dagli artisti negli ultimi decenni richiedono, oggi, interventi conservativi ad hoc. Il restauro dei “Tappeti-Natura” di Piero Gilardi mostra – per esempio – quali siano le principali criticità del poliuretano espanso

L’artista

Piero Gilardi nasce nel 1942 a Torino e proprio nella città sabauda vive da sempre portando avanti la sua multiforme ricerca artistica. Si tratta di un percorso, ormai quasi sessantennale, che raccoglie temi e linguaggi espressivi diversi, frutto della profonda sensibilità di un artista che ha saputo interpretare (se non addirittura prevedere) alcuni cambiamenti epocali che hanno investito la società a partire dagli anni Sessanta.
Gilardi esordisce nell’ambito della Pop-Art per divenire poi membro (per poco tempo) del movimento Arte Povera affrontando il problema dell’industrialismo e della crescente emergenza ecologica. Questi sono anche gli anni dell’adesione al movimento di Avanguardia Operaia e dell’impiego della pittura nel trattamento dei pazienti affetti da disagio psicologico.
Dopo una lunga pausa ricomincia a produrre opere negli anni Ottanta scoprendo che i temi legati alla natura ed alla partecipazione possono fondersi con le nuove tecnologie multimediali (New Media Art).
Gli ultimi decenni sono dedicati allo studio della Bioarte e lo vedono protagonista della riqualificazione dell’area ex Framtek a Torino in cui, a partire dal 2008, viene realizzato il PAV – Parco Arte Vivente, un centro sperimentale dedicato al dialogo fra arte e natura.
Un percorso culturale così eterogeneo trova le sue radici nell’attivismo politico che ha sempre animato l’artista torinese e che lo porta a vedere nell’arte un’opportunità di partecipazione attiva dei cittadini. All’interno di questa articolata poetica la natura emerge prepotentemente in quanto leitmotiv della sua vita e simbolo di una virtuosa circolarità da lui riassunta nel ciclo di «nascita, vita, morte e rigenerazione». Ecco dunque che Piero Gilardi trova nel principio del “rinaturarsi” la chiave per superare la crisi ecologica globale e, soprattutto, per raggiungere una dimensione armonica fra Arte e Vita.

Forever Nature, Piero Gilardi al MAXXi, 2017

I Tappeti-Natura

Sono composizioni fantasiose, di grande impatto visivo, che Piero Gilardi crea principalmente nel triennio 1966-68 fondendo pittura e scultura. L’artista definisce i suoi tappeti come delle «spugne esperienziali di senso» e li realizza con il poliuretano espanso in modo che i corpi delle persone (di tutte le età) possano essere accolti in maniera confortevole, potremmo dire quasi “cullati”, dalla porosità del materiale. Pezzi di gommapiuma assemblati e dipinti con colori brillanti si trasformano, dunque, in brani di paesaggio in cui si prova l’istinto infantile di immergersi. Appare chiaro il bisogno dell’artista di porre lo spettatore “dentro” un’opera che non preveda solo la propria contemplazione ma rappresenti, piuttosto, una vera e propria alcova, un playground che restituisca le forme della natura.
Vengono ribaltati i meccanismi di fruizione a cui siamo abituati e che ci impediscono di entrare in contatto fisico con il manufatto: attraverso il suo approccio innovativo Gilardi permette al pubblico di vivere un’esperienza percettiva diversa e, al contempo, intende suscitare delle riflessioni su alcuni temi a lui cari come l’ecologia, la deriva della produzione industriale incontrollata e lo sfruttamento dei lavoratori. Per fare questo unisce al coinvolgimento attivo dello spettatore una chiave di lettura polemica rappresentando, con genialità, la perfezione del mondo naturale (messo in costante pericolo dal progresso) attraverso l’impiego di un materiale di evidente origine industriale. Questa scelta presenta oggi delle difficoltà di matrice conservativa legate alla composizione del poliuretano espanso e che richiedono nuovi approcci di studio.

Piero Gilardi durante il montaggio dell’opera nella sala alla Biennale di Venezia, 1993. Courtesy PAV

Il restauro

Nel 2015 il restauratore torinese Antonio Rava pubblica un articolo in cui descrive una proposta di studio per consolidare il Disgelo di Piero Gilardi, realizzato nel 1968 ed oggi in collezione privata. Si tratta di un tappeto di forma allungata (99×440 cm) che riproduce una porzione di prato in parte coperto di neve e punteggiato da piccoli fiori bianchi e rossi.
L‘artista ha utilizzato il poliuretano espanso elastico (PUR-etere) che presenta grande flessibilità e morbidezza grazie ad una particolare struttura alveolata. Questa conformazione finisce per incrementare la quantità di superficie esposta agli agenti degradanti (primo su tutti la luce) ed agevola, al contempo, il deposito di pulviscolo atmosferico e piccoli corpi estranei. Prendendo in considerazione il processo ossidativo le manifestazioni più evidenti del degrado sono l’ingiallimento, la perdita di elasticità (che porta alla comparsa di crepe sulla superficie del manufatto), la tendenza allo sbriciolamento. Quando il materiale inizia a perdere coesione lo strato più esterno si polverizza e i vari elementi incollati sulla superficie, in questo caso specifico i petali dei fiori, si distaccano.
Rava elenca i passaggi del restauro a partire dalla pulitura iniziale da effettuarsi con microaspiratore e pinzette di precisione. Grazie ad alcuni test effettuati in laboratorio è stato possibile individuare il miglior prodotto consolidante: dopo aver creato dei provini di schiuma poliuretanica invecchiata artificialmente i restauratori hanno testato tre miscele differenti tramite pennello e nebulizzazione. La sensibilità chimica del poliuretano nei confronti di gran parte dei solventi ha fatto propendere per un consolidante a base acquosa applicabile a spruzzo per garantirne la penetrazione corretta.

Piero Gilardi, Disgelo, 1968. Collezione privata

L’applicazione è svolta in tre fasi (con altrettanti gradi di diluizione) mentre nelle zone più fragili la soluzione viene applicata con un contagocce. La particolare natura porosa del poliuretano richiede un intervento di consolidamento ritrattabile (e non reversibile) poiché il consolidante che entra nel materiale degradato non può essere rimosso in seguito.
Lo stesso criterio di indagine è stato seguito per la selezione delle colle necessarie a riposizionare gli elementi staccati. Requisito decisivo il livello di resistenza del prodotto che non deve assolutamente creare tensioni sulla superficie dell’opera. Le lacerazioni più importanti sono risarcite con un adesivo applicabile a pennello/spatola mentre la ricollocazione degli elementi più grandi di un centimetro quadrato viene garantita tramite degli spilli. Per integrare le lacune e ricostruire gli elementi mancanti Rava propone di utilizzare una schiuma polietilenica specifica in modo da mantenere l’omogeneità materica necessaria. Vista la fragilità dell’opera raccomanda l’impiego di un supporto adeguato che ne permetta lo spostamento per scorrimento evitando così ogni sollecitazione superflua. Un’ultima notazione riguarda i parametri ambientali per la collocazione: temperatura stabile fra 18 e 22 gradi e indice di UR compreso fra 45% e 50%. Non essendo la fruizione “immersiva” l’obbiettivo di questo studio l’attenzione dei restauratori si è concentrata sulla conservazione delle forme, dei colori e della consistenza originaria.

Invito alla lettura
Rava Antonio, La conservazione di opere in poliuretano espanso. Il lavoro di Piero Gilardi, in “Kermes. La rivista del restauro – Restaurare l’Arte Contemporanea?”, n. 98, 2015, pp. 14-22.

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