06 febbraio 2022

Restaurare l’arte contemporanea #3: il Pastore di Arturo Martini

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Interrogarsi sull’efficacia della scultura quale strumento di espressione universale era imprescindibile nella poetica di Arturo Martini: qui vi raccontiamo del "Pastore" e dei suoi vari restauri

Il pastore, dettaglio

Il restauro di un’opera d’arte giunge spesso al termine di una lunga attesa. Esistono però circostanze straordinarie, come i danneggiamenti accidentali, che impongono interventi repentini di consolidamento. Il Pastore di Arturo Martini narra questo tipo di esperienza.

Arturo Martini, Il pastore

L’artista

Arturo Martini (1889-1947) nasce a Treviso e si forma alla scuola serale di arti e mestieri. La passione per il modellato lo spinge a proseguire lo studio nel laboratorio dello scultore trevigiano Antonio Carlini che gli insegna a realizzare calchi in gesso da modelli in creta.
Frequenta a Venezia lo studio dello scultore verista Urbano Nono dove vede le foto di alcune opere di Medardo Rosso. Per aggiornarsi va a Monaco, città in pieno fermento secessionista, dedicandosi alla grafica e alla progettazione di piccoli oggetti in ceramica. Di fondamentale importanza per la sua crescita artistica sono il rapporto con Nino Barbantini e la frequentazione di Ca’ Pesaro, crocevia di tendenze aggiornate che accoglie al suo interno le opere dei giovani emergenti affiancandole a quelle di maestri affermati. Proprio qui, nel 1913, Martini presenta la Fanciulla piena d’amore, una testa femminile in terraglia bianca e dorata che suscita scandalo.
Il periodo bellico lo impegna nelle fonderie di Vado Ligure mentre la produzione scultorea rallenta. A partire dal 1919 vedono la luce delle figure in gesso caratterizzate da una sorta di “raccoglimento” metafisico. I primi anni Venti si snodano fra Milano (esperienza con il gruppo Valori Plastici), Roma e la Liguria. Martini cerca di affinare ulteriormente la propria tecnica ispirandosi alla scultura fittile etrusca e guardando, al contempo, a quella romanica per i suoi peculiari rapporti volumetrici.
La svolta arriva nel 1931: partecipa alla “Quadriennale” di Roma e vince il primo premio grazie al Pastore. Si presenta alla “Biennale” di Venezia del 1932 con una personale in cui stupisce e stranisce proponendo cinque grandi terrecotte. Nel corso del decennio sperimenta altri materiali come la tenera pietra di Finale che gli consente di realizzare un’opera intensa e dalla scabra drammaticità come il Bevitore. La consacrazione romana porta con se nuove collaborazioni e varie commissioni pubbliche di natura celebrativa/monumentale. Martini si rivolge ad una materia “nobile” come il marmo di Carrara raggiungendo esiti di grande novità compositiva (Tito Livio) e formale (Fanciulla che nuota sott’acqua).
Il perenne bisogno di interrogarsi sull’efficacia della scultura quale strumento di espressione/narrazione universale emerge con forza negli anni Quaranta e l’artista mette in discussione il suo intero percorso pubblicando Scultura lingua morta: testo polemico in cui sostiene che «come tutte le arti sono passate per il nulla, per il vuoto totale – uscendone chiarite e semplificate al massimo […] – la scultura deve fare lo stesso corso – fino al punto, al segno, al graffio – e risalire a sua volta. Un bagno purificatore per poter riprendere decrepiti argomenti con nuove visioni». A guardar bene, all’ineluttabilità del titolo si contrappone l’auspicio di Martini stesso che riconosce alla scultura la capacità di autorigenerarsi ed evolversi. Esattamente quello che aveva fatto lui per tutta la vita.

Arturo Martini

Il Pastore

La critica colloca la realizzazione dell’opera fra l’estate e l’autunno del 1930. Si tratta di un esemplare unico in terra refrattaria (argilla ricca di materiali inerti che conferiscono alta resistenza al calore e alla riduzione) cotto una sola volta, quindi non ritoccato. Il periodo 1929-1932 rappresenta un momento eccezionale nella produzione artistica di Martini che lavora «come un pazzo senza più il tempo, fuori dalle stagioni e delle passioni» portando a compimento una ventina di pezzi fittili. Fanno parte di questa stagione meravigliosa capolavori assoluti quali ad esempio Donna al sole, Chiaro di luna e La lupa.
Grazie all’interessamento di Polibio Fusconi, direttore dell’Ilva Refrattari di Vado Ligure, l’artista può lavorare comodamente dentro lo stabilimento cuocendo le sculture in un forno dedicato ed evitando notevoli difficoltà di trasporto. La scelta del materiale nasce dalla sua economicità, dall’esigenza di modellare rapidamente soggetti di dimensioni considerevoli (e riproducibili a stampo) ma, soprattutto, dall’ammirazione per la scultura italica. Martini scriverà che l’argilla refrattaria «è un materiale che ti da l’etrusco».
Il Pastore è una delle prime opere nate nello studio-fornace di Vado Ligure e in essa la poetica dell’artista prorompe con urgenza: il corpo viene plasmato con tocchi veloci e decisi (si notano bene le impronte delle dita e degli attrezzi) ma le varie parti sembrano quasi “incompiute”, come se la figura non emergesse completamente dalla materia granulosa. La delicatezza del giovane volto, il cui sguardo segue l’orizzonte, si scontra con la nodosità delle mani che impugnano il bastone. Il torso esile viene sostenuto da solide gambe che paiono affondare nel terreno. Martini si affida all’essenzialità della terra per raccontare l’attesa, l’attitudine assorta di un uomo che contempla l’incertezza dell’infinito.
Dopo la vittoria alla “Quadriennale” l’opera viene donata alla Galleria Mussolini e nel 1939 passa alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna dove si trova tuttora. Con il passare del tempo gli allestimenti museali mutano e il Pastore subisce vari spostamenti. L’8 giugno 1974 un pannello ligneo usato come divisorio cade danneggiandolo pesantemente.

Una fase del restauro del Pastore

Il restauro. Anzi, i restauri

Dopo l’incidente il Pastore viene trasportato al Museo Nazionale Etrusco dove il restauratore Vincenzo Verducci esegue, nel 1975, un intervento di consolidamento. Il restauro è svolto da un professionista abituato a lavorare su materiale archeologico e questo spinge, a distanza di circa quarant’anni, i conservatori della Galleria a promuovere una nuova campagna d’indagine che attesti le condizioni dell’opera.
L’impresa nasce dalla collaborazione virtuosa fra il museo romano, l’ISCR e la Fondazione Paola Droghetti. Grazie ad una borsa di studio messa a disposizione dalla Fondazione nel 2014 i giovani restauratori Susanna Bassotti ed Enrico Cragnolini vengono incaricati di analizzare il Pastore e procedere con l’intervento di restauro. Si è trattato di un lavoro corale svolto da molteplici specialisti che ha consentito una rilettura del manufatto anche a livello tecnico. Attraverso un’endoscopica è stata esplorata la cavità interna dell’opera evidenziando la presenza di una struttura portante in ottone, fissata con malta cementizia di colore grigio, riferibile all’intervento di Verducci. Sono state effettuate, inoltre, delle radiografie X nei punti preclusi alla sonda per individuare eventuali fessurazioni interne. L’utilizzo di termocamere (che rilevano la radiazione infrarossa collegata alla distribuzione del calore) ha permesso ai tecnici di mappare le discontinuità sulla superficie distinguendo quelle dovute al naturale fenomeno di ritiro dalle fratture saldate con adesivo nel 1975. Per individuare in maniera ancora più precisa i frammenti sottoposti ad incollaggio e le stuccature sono state impiegate radiazioni UVA stimolando la fluorescenza nei materiali sensibili presenti sulla parte più esterna del manufatto. Tale verifica ha confermato che i blocchi superiori, soprattutto braccia e testa, sono quelli che hanno patito di più la caduta. Dopo aver realizzato un’accurata campagna fotografica Susanna Bassotti ha svolto la pulitura del Pastore in tre fasi: a) spolverando con pennelli morbidi; b) utilizzando un micro-aspiratore museale; c) applicando una soluzione basica tramite spazzola. Tale sostanza, precedentemente testata, presentava il pregio di decomporsi senza lasciare traccia sul materiale e, soprattutto, senza intaccare gli adesivi utilizzati nel restauro precedente. Le tracce di sporco/collante più tenaci sono state rimosse, invece, con l’ausilio di un solvente steso a pennello. Gommini in silicone sagomati interposti fra la base e la terracotta rendono, infine, l’opera più stabile e fruibile in tutta la sua qualità materica.

Invito alla lettura: Potenze Naturali. Il Pastore di Arturo Martini, storie di restauro, a cura di Maria Catalano e Laura D’Agostino, Roma, 2015.

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