Eunoè è l’installazione scultorea e sonora dell’artista francese Clarice Calvo-Pinsolle proposta al Basement di Fondazione Elpis di Milano, in collaborazione con Threes. L’opera, visibile dal 25 settembre, è stata animata da una performance dell’artista il 12 ottobre, giorno di finissage. Il lavoro è composto da sottili sculture di vetro interconnesse tramite tubi sinaptici a una vasca d’acqua centrale, una struttura che diventa cassa di risonanza di una traccia audio campionata e prodotta dall’artista.
Lavoro di decostruzione emotiva di grande onestà, Eunoè nasce dal personale percorso terapeutico di Clarice e da uno studio condiviso con neuroscienziati e psicologi. L’ambiente onirico invita a vivere un’esperienza introspettiva di vulnerabilità attraverso tutti i sensi, e il potere evocativo del suono è una riflessione sulla trasmissione dei ricordi traumatici e sul loro superamento. Lo spazio diventa un momento di riconnessione con se stessi e disconnessione dal rumore esterno, un viaggio attraverso un nuovo stato di coscienza che risuona delle memorie antiche e dei ricordi inconsci. Il suono, campionato sul campo, rappresenta per Clarice un potente strumento di guarigione e trasformazione personale, un mezzo per ricordare i luoghi e le interazioni vissuti e ricomporre nuovi paesaggi emotivi.
In questa intervista, l’artista ci racconta la sua pratica e la sua esperienza con la terapia.
Suono, materia e campionamento, tutto in un’unica installazione che respira autonomamente come fosse un organismo. Raccontaci il tuo lavoro e l’intervento sonoro che hai prodotto per l’occasione.
«Eunoé è un invito a connettersi con se stessi, con i propri ricordi ed ecosistemi personali all’interno di un paesaggio organico e immersivo, come fossimo dentro un corpo, umano o non umano. Il titolo riprende il nome del fiume dantesco del Purgatorio: la sua acqua, se bevuta, permette di ricordare tutte le buone azioni del passato dimenticando i torti connessi.
Nella mia pratica creo un’interazione istintiva tra suono, video e materia, cercando di trovare e rispettare la frequenza di risonanza degli oggetti facendoli vibrare. È importante per me comprendere le proprietà dei materiali che uso, che si tratti di ceramica, vetro, acciaio, e come il suono cambia quando vive all’interno di un oggetto che agisce da filtro, modificandosi in base a spessore, forma, composizione. Gli effetti che si creano sono analogici, non digitali, e la sonorità viene scolpita grazie al dialogo con la materia.
L’installazione Eunoè, in questo senso, ha una propria autonomia, una vita che non si attiva tramite una connessione on-off ma è organica, simbiotica. Quando mi preparo ad esibirmi attorno a Eunoé – una performance realizzata in collaborazione con l’ipnoterapeuta Anne-Laure Terrade – vivo un momento di ipnosi in cui mi connetto con l’installazione, le sue forme, i suoi cavi, i suoi fluidi…il mio corpo, la materia e il suono vibrano insieme».
Come sono avvenuti gli scambi con terapisti e neuroscienziati, e in che modo i due emisferi del cervello hanno ispirato la tua installazione?
«Con Eunoè cerco di ricreare le connessioni tra il lato sinistro e destro del cervello. L’idea è nata dopo due anni di terapia psicologica, l’EMDR, ovvero Desensibilizzazione e Rielaborazione attraverso i Movimenti Oculari, che lavora su memorie specifiche per affrontare l’impronta emotiva del ricordo e lo stress post-traumatico.
Ho vissuto la terapia principalmente attraverso il suono. Mi sono chiesta, può il suono aiutare a guarire? Può ricreare connessioni neurali, aiutare a trascendere i traumi? La memoria traumatica si associa a due parti del cervello, l’ippocampo e l’amigdala, una responsabile della memoria, l’altra delle emozioni. Quando viviamo uno shock emotivo molto forte, è possibile che queste due parti si disconnettano in un meccanismo di protezione che può portare a una perdita di memoria parziale o totale dell’evento o, al contrario, il trauma può ripetersi in loop o riemergere anni dopo, in modo inaspettato.
Durante la produzione di Eunoé ho lavorato con alcuni neuroscienziati per capire l’interazione tra memoria e suono come strumenti di guarigione. Da questo scambio ho prodotto una traccia audio creata a partire da registrazioni campionate dal vivo, suoni prodotti con sintetizzatori e catturati attraverso le sculture, che viaggiano attraverso i vetri e i tubi che le interconnettono come fossero sinapsi».
Connessione con il passato, il corpo e il trauma: quando la memoria diventa un impedimento e quando invece una possibilità evolutiva di trasformazione?
«Il corpo non dimentica ciò che vive. Che sia nelle nostre cellule, nella nostra carne o nei nostri muscoli, credo che il corpo conservi memoria di ogni evento, anche quando la mente dimentica. Esistono terapie che possono aiutare a sbloccare certi meccanismi profondamente radicati nel corpo, all’origine di blocchi fisici e psicologici. Nella cultura occidentale si tende a scindere la vita del corpo da quella della mente, mentre nella medicina cinese, per esempio, o in molte cosiddette terapie “alternative”, le emozioni e le esperienze di vita di una persona vengono prese in considerazione quando si lavora sul corpo, e viceversa, ritrovando armonia.
A volte, gli eventi agiscono come inneschi che risvegliano vecchi traumi o ferite. Parlando di me stessa, a volte ricordo dettagli del passato molto specifici, ma allo stesso tempo dimentico tutti i nomi degli artisti che amo…la memoria è molto complessa. Il nostro cervello deve fare una scelta, un riassunto dei frammenti più significativi, forse proprio quelli legati a un odore, un gioco, un suono o un rumore che ci ha fatti sentire bene.
Penso sia essenziale mettere in discussione le credenze con cui siamo stati cresciuti, e anche per questo voglio affrontare temi come il trauma, le emozioni e le terapie attraverso l’arte. Questi argomenti sono stati a lungo, e in parte ancora sono, un tabù».
Un incontro tra arte e tecnologia: Eunoè mantiene il tuo stile distopico, sci-fi, per creare un’estensione della percezione personale. Ci sono immaginari particolari che ti hanno ispirato?
«Sì, Ho tratto ispirazione dall’immaginario cinematografico e dalla fantascienza. Penso a Brazil di Terry Gilliam, alla serie Serial Experiments Lain di Ryūtarō Nakamura e al videogioco Remember Me di Alain Damasio. Sono affascinata dagli scritti di Donna Haraway come Staying with the Trouble, e dalla ricerca della microbiologa americana Lynn Margulis e i suoi studi sulle specie. Inoltre, ultimamente sto giocando a The Red Strings Club, un videogioco cyberpunk in cui interpreto un cyborg che lavora in un laboratorio scientifico, in un mondo distopico in cui i dispositivi impiantati negli esseri umani ne alterano le funzioni mentali, in una promessa di felicità che in realtà ha come unico scopo il sopprimere le emozioni per poter controllare la società. Nel gioco, creo gli impianti utilizzando un tornio per ceramica, e ciò ispira il processo creativo alla base della mia pratica».
A Bruxelles, città dove vivi, che tipo di sistemi sonori, spazi e ambienti di ascolto vengono proposti?
«A Bruxelles c’è una forte scena musicale “do it yourself” e diversi collettivi costruiscono i propri sistemi sonori che condividono con la comunità. Per esempio, il collettivo Psst Mlle ha prodotto un sound system persone di genere marginalizzato (MaGe), un’iniziativa di grande valore. Con il collettivo Fenêtre Ovale, di cui sono parte, proponiamo spazi e momenti di ascolto sonoro immersivo e condiviso. I nostri eventi sono concerti notturni da esperire sdraiati, con diffusione audio e spazializzazione su un Acusmonium. Cerchiamo di indagare il suono e come le onde si adattano alla risonanza di materiali e percezione umana, come varia la postura del corpo e l’emotività nella condivisione del momento, un un’esperienza quadrimensionale».
Cosa rappresenta per te il suono e cosa significa “ascoltare” in profondità?
«Credo che la potenza “sensuale” del suono risieda nella sua capacità di riconnetterci con noi stessi e di sincronizzazione delle nostre energie, come scrive Pauline Oliveros. Sono in linea con la sua ricerca sull’ascolto profondo e il suo approccio spirituale al suono, che è sempre una relazione tra percezione e coscienza. L’udire e l’ascoltare sono potenti strumenti di guarigione che favoriscono processi di trasformazione personale e collettiva e creano legami sensoriali tra le energie in uno spazio-tempo che diventa magico, ritualizzato».
Hai toccato temi significativi come memoria, trauma, la frammentazione del sé, l’introspezione. Secondo te, quali sono le cause principali dell’ansia e della paura del futuro contemporanee?
«Per rispondere, prendo come esempio la ricerca di Isabelle Mansuy sull’epigenetica che mostra come, durante la vita, l’ambiente, il trauma e gli eventi emotivi forti influenzino parti dei nostri geni, lasciando tracce che possono causare cambiamenti metabolici e persino malattie, trasmissibili da generazione a generazione.
Sto pensando anche a The Body Keeps the Score di Bessel van der Kolk, un libro sul trauma e le tracce biologiche nel corpo che mi ha sostenuta nel percorso di guarigione personale. Oppure a Bodies of Water di Astrida Neimanis, il cui lavoro si concentra su femminismo, ambiente e idrofemminismo, tematiche su cui ragiono sia nella mia pratica plastica sia musicale. Come artisti, possiamo affrontare argomenti e teorie scientifiche per presentarle sotto una luce diversa: questo, in un certo senso, aiuta a de-gerarchizzare la conoscenza e a creare paradigmi più orizzontali e più condivisibili».
In ambito artistico e musicale, verso che tipo di coinvolgimento e fruizione ci stiamo dirigendo?
«Credo che l’arte debba concentrarsi sempre di più su tematiche politiche e su problemi sociali. Penso sia fondamentale continuare ad avere spazi per esprimere rivendicazioni culturali, dare voce alle persone emarginate e discutere i temi tabù nella società, che rimangono ferite aperte. L’arte è soprattutto un mezzo per creare connessioni e spazi comunitari di pensiero critico, offrendo visioni e possibilità alternative, agendo da piattaforma per parlare a nome di tutti coloro che non possono farlo».
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