«Non è l’Arte il tributo più grande che può elevare l’uomo a Dio?», Maria Lai. Quest’anno in Sardegna (e non solo), si celebrano i quarant’anni dalla prima opera di arte relazionale: Legarsi alla Montagna, realizzata l’8 settembre del 1981 dall’artista Maria Lai, nel suo paese natìo, Ulassai. Legarsi alla Montagna è stato uno spartiacque nel percorso artistico di Lai e nella storia dell’arte italiana del secondo Novecento. L’opera nasce dopo la richiesta dell’Amministrazione Comunale di realizzare un monumento ai caduti, ma Lai, ha lavorato a quello che lei stessa ha definito “un monumento ai vivi”.
L’Archivio Maria Lai celebra questo evento con un catalogo, edito da 5Continents Editions e dalla Fondazione Maria Lai, con un testo di Elena Pontiggia e con i contributi di Renata Prunas, Maria Sofia Pisu e Giulia Brandinelli. Il catalogo è illustrato dalle celebri fotografie di Piero Berengo Gardin, alcune già esposte grazie all’Archivio Maria Lai alla Biennale di Venezia 2017 e a Documenta 14 e altre, rimaste inedite fino ad oggi.
Le immagini in bianco e nero realizzate da Berengo Gardin, su cui, in molti casi, Lai è intervenuta con il colore azzurro sul nastro di tela jeans, sono la testimonianza più vivida e internazionalmente nota di quell’8 settembre 1981 (insieme al video girato in super8 da Tonino Casula durante l’evento). La nuova pubblicazione è stata presentata in anteprima all’inaugurazione del nuovo spazio espositivo all’interno della Cantina Sociale Antichi Poderi di Jerzu, fortemente voluto dall’Archivio Maria Lai.
La ex sala conferenze della Cantina Sociale, dopo la ristrutturazione curata dall’architetto Sergio Aruanno, accoglierà da oggi in avanti mostre di arte contemporanea, legate a Maria Lai e alla sua poetica artistica. Il luogo scelto è importante anche simbolicamente per l’Ogliastra: è infatti la prima esperienza di cooperativa sociale, che ha riunito i produttori vinicoli di tutto il territorio, creando così un esempio di “processo relazionale” applicato all’economia e al lavoro manuale.
La mostra d’apertura, “Ricucire il Dolore, tessere la speranza – La via crucis di Maria Lai”, a cura di Micol Forti (curatrice della Collezione d’Arte Moderna e Contemporanea dei Musei Vaticani) indaga la ricerca di Lai sul tema religioso e con oltre cento presenze ogni giorno, ha contribuito fortemente all’ampliamento dell’offerta culturale nel territorio sardo durante il periodo estivo.
Il tema del Sacro ricorre spesso nell’opera di Maria Lai, non perché lei fosse praticante, ma perché attraverso la rivisitazione delle tradizioni – che in Sardegna sono pervase di religiosità – fosse possibile reinterpretare il mondo, rendendo l’arte contemporanea accessibile a tutti, anche attraverso i legami con i riti della fede cristiana.
Dai bozzetti per la Via Crucis che Lai dona alla chiesa di Ulassai nel 1981, all’imponente Sindone, il tema della morte del Cristo, viene sviscerato in ogni sua forma attraverso le opere; ed è intuitivo ritornare con la mente ad una frase che l’artista scrive nel 2004: “Ciò che resta di Cristo nel Vangelo non è la sua presenza umana, è il suo morire e la sua resurrezione”.
La via crucis di Lai è realizzata con fotocopie, cartoncino e filo, materiali poveri, semplici, effimeri, soprattutto rispetto alle più comuni pitture che arredano le chiese nostrane, ma è probabilmente anche per questo motivo che di fronte al Cristo cucito di Lai si rimane ancora, a distanza di quarant’anni, così impressionati.
Il luttuoso sfondo delle opere, accompagna l’osservatore in un cammino soffocante, le cassette in legno nero, in cui le opere sono inquadrate, rimandano all’immagine di una bara, stretta e aperta, dove il corpo, esposto, è immobile e costretto.
La Sindone, un lungo telo bianco su cui è cucita con filo color rame l’immagine del Cristo con la corona di spine è probabilmente l’opera tecnicamente più complessa dell’esposizione. La tela, lunga quasi tre metri, viene risolta dall’artista con una lunga e decisa linea che conduce lo sguardo in alto, dove chiude una corona, grumo di spine e grovigli di capelli che nascondono un volto, tutt’intorno fuggono cuciture impazzite, come scie di elettricità, figure triangolari che si disfano e ricompongono, spazio vuoto che ancora contiene energia e tutto il mistero della rinascita e della resurrezione.
Il legame fra religione e tradizioni locali, in Sardegna, soprattutto nei paesi dell’entroterra è ancora oggi molto forte e la mostra racconta anche quello che per Lai è stato un altro dei temi fondamentali della sua ricerca artistica dagli anni Quaranta in poi: il lavoro degli uomini e delle donne, le fatiche quotidiane negli anni della Guerra e ancora una volta il legame con quel celebre “monumento ai caduti” mai realizzato e il “monumento ai vivi”, raccontati attraverso ritratti stilizzati e il tratto gestuale e istintivo che Lai esprimeva al meglio con i disegni a matita su carta, in alcuni casi colorati ad acquerello e china. E così gli uomini e le donne del paese diventano tipi umani, le tessitrici, le raccoglitrici di mandorle, l’aratro trainato da buoi, il pastore, le lavandaie al fiume, sono tutti monumenti. Ogni disegno è la celebrazione di quelle vite, lontane dalla nostra contemporaneità eppure abbastanza vicine da essere nella memoria collettiva. Tutte le opere rappresentano, in effetti, la dignità del lavoro manuale e fisico e delle vite più umili con cui Lai ha condiviso i primi anni della sua vita.
Per citare Lai un’ultima volta, “L’uomo è assolutamente incomprensibile con la sola ragione, perciò non può vivere senza Dio e senza l’Arte”.
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Non ci sono parole per definire l'Arte di Maria Lai. Un' Artista che ha operato in eccellenza nell'arte fino a produrre in noi grande emozione con i suoi 'umili' fili.