Riscoprire le radici è un rito: intervista a Rossella Biscotti

di - 14 Luglio 2023

Il passato come materia viva, la storia come viatico per rileggere il presente, l’archivio e la memoria come strutture sedimentate di vicende collettive da richiamare all’attenzione della società odierna, tutto questo e altro ancora è la multiforme ricerca di Rossella Biscotti (Molfetta, 1987), artista italiana tra le più note e apprezzate a livello internazionale. Nel corso della sua ventennale attività ha partecipato a rassegne importanti, dalla Biennale di Venezia a quella di Istanbul, da Documenta a Manifesta, ed esposto in prestigiosi contesti, sia pubblici che privati. Dal 10 luglio fino al 14, l’artista è a Lecce, dove, su invito di PIA, consolidata realtà formativa di pratiche artistiche e curatoriali, diretta da Jonathan Manno e Valeria Raho, parteciperà a “Flatland contemporary papier machè”, un progetto di riqualificazione, mappatura e fruizione del patrimonio culturale della cartapesta finanziato dalla Regione Puglia e dal Ministero del lavoro e realizzato d’intesa con la Soprintendenza Archeologia, Beni Culturali e Paesaggio per le province di Lecce e Brindisi e il Polo Biblio-Museale di Lecce.

Il progetto intende mettere in luce il valore memoriale e esperienziale di questa antica tecnica, ancora così diffusa a Lecce, parte fondante del suo patrimonio immateriale, per dare corpo a nuove narrazioni in campo artistico attraverso la visione di artisti e curatori internazionali, invitati a dare vita a produzioni contemporanee attingendo al savoir faire delle maestranze, agli archivi e alle opere disseminate all’interno di spazi pubblici e privati della città.  Si parte con Rossella Biscotti. L’abbiamo incontrata per farci raccontare ricerca e progetto formativo.

Workshop realizzato a Lecce. Ph. Raffaella Quaranta – PIA

Parlaci di te. Quando e come è maturata la tua vocazione artistica? Quali esperienze della tua formazione ritieni fondamentali?

«Mi è sempre interessato il campo artistico ma all’inizio non avevo ancora ben chiaro cosa volessi fare. Negli anni Novanta non avevo ancora mai visitato una mostra e non avevo ancora un’idea chiara dell’arte contemporanea. Ho studiato scenografia all’Accademia di Napoli con esperienze importanti nel teatro sperimentale, attività che oggi riscopro fondamentali per il mio lavoro, per la narrazione di storie e la distribuzione degli elementi a livello installativo. A Napoli quello tra la fine degli anni Novanta e gli inizi Duemila è stato un momento particolarmente fervido. Ho conosciuto e iniziato a frequentare figure centrali del sistema napoletano, galleristi come Lia Rumma e artisti che in quel momento cominciavano a esporre con successo. È stato allora che ho iniziato a produrre le prime opere, soprattutto video. Nel 2004 mi sono trasferita in Olanda, a Rotterdam, ed è stato lì che ho sperimentato e costruito. Quindi posso dice che se in Italia c’è stata un’intuizione del mio percorso, è stato in Olanda che questo si è avviato concretamente».

Vivi da tempo tra Belgio e Olanda ma che rapporto hai con la tua regione d’origine? Questa in qualche modo si riflette nel tuo lavoro?

«In passato ho frequentato la Puglia soprattutto nel periodo estivo, nei momenti di vacanza. Ultimamente però, da quando nella regione si registra un certo fermento culturale, ho iniziato ad affacciarmi nella sua scena artistica, che trovo molto interessante. In Puglia ho anche realizzato dei lavori, seppur in forma indipendente. Opere come “Trees on land”, lavoro in ceramica realizzato nel mio studio di Alessano, nel Salento, che poi è stato in mostra a Parigi e ad Artissima a Torino e che oggi è parte della collezione del Castello di Rivoli. La Puglia in definitiva è per me un luogo d’ispirazione che credo ritorni nei lavori non necessariamente in forma narrativa ma come metodologia e forma mentis. Ciò che trovo particolarmente interessante in questo momento è l’interesse per tutto ciò che rappresenta il Sud in generale, con ripresa delle tecniche artigianali e delle tradizioni preindustriali e ritualistiche».

Workshop realizzato a Lecce. Ph. Raffaella Quaranta – PIA

Il tuo è un lavoro “impegnato”, volto a riaccendere sul passato i riflettori del presente. Alla luce di questo, qual è per te la funzione sociale dell’artista?

«Per me è sempre stato importante fare un lavoro “impegnato”, fin dal primo momento, quando l’arte italiana era molto formale, legata alla produzione di oggetti. Venendo dal teatro per me era più urgente raccontare storie, ma queste naturalmente dovevano e devono avere una traduzione visiva, con materiali che sono importanti tanto quanto la storia che scelgo di raccontare. Materiali e forme sono parte integrante della narrazione. La funzione dell’artista per me è quella di essere parte della società e di non separarsi mai da essa. Io non sono un’artista da studio, non lavoro mai da sola, mi avvalgo sempre di collaboratori, artigiani o intere comunità. Lavoro sui luoghi».

Fondamentale nella tua pratica artistica sono la ricerca d’archivio e l’indagine sul campo. Ma come nasce una tua opera? Quando senti di dover affrontare in termini visivi un determinato tema o avvenimento del passato?

«Dell’archivio non mi interessa tanto il luogo fisico contenente i documenti. Archivi per me possono essere anche le persone. Per la mia ricerca è fondamentale l’esperienza sul territorio. Io non vado tanto nei luoghi a fare ricerca, io sono in quei luoghi, li vivo entrando in contatto con storie che ritengo importanti da narrare. Più della ricerca storica mi interessa la vita reale e come la comunità vive e percepisce la sua storia. Inoltre ciò che mi interessa è come percepiamo gli avvenimenti che decido di narrare, come essi sono avvertiti nella contemporaneità, se il tema che tratto ha ancora un senso nel presente, se crea dei dissensi o non è ancora stato sufficientemente trattato. La ricerca storica pura non mi interessa».

Workshop realizzato a Lecce. Ph. Raffaella Quaranta – PIA

Anche tu rientri nella consolidata categoria degli artisti emigrati. Senti che sia ancora fondamentale centrarsi altrove, spostarsi dai luoghi natii, spesso periferici, per lavorare in quei luoghi al centro del sistema artistico internazionale?

«Secondo me non esiste l’idea del centro. A me interessa spostarmi ma il mio non è necessariamente uno spostamento verso una città che si ritiene centrale nel sistema quanto piuttosto lo spostamento in un luogo d’interesse perché lì c’è qualcosa da analizzare e raccontare. Ritengo che sia molto più interessante spostarsi in un luogo periferico che in uno considerato centrale, questo sempre da un punto di vista occidentale».

In questi giorni sei a Lecce per partecipare da special guest alle attività formative di PIA. Che idea hai della formazione artistica? Cosa è possibile insegnare dell’approccio artistico?

«La formazione artistica è molto importante ma allo stesso tempo non credo molto nelle istituzioni. Per questo un approccio reale, esperienziale come quello di PIA mi interessa particolarmente. Qui incontri artisti, ti muovi su un territorio, crei una conversazione e un dibattito, generi relazioni con artigiani, tecniche, con la città reale. Nella formazione artistica io prediligo sempre questa dimensione di workshop».

Nato a Terlizzi nel 1980, è giornalista, critico d’arte e curatore indipendente. Dopo la laurea in Conservazione dei Beni Culturali presso l'Università degli Studi di Lecce, si perfeziona sull'Arte del Novecento all'Università degli Studi di Bari. Già cultore della materia in Museologia presso l’Università degli Studi della Calabria e docente a contratto presso l’Accademia di Belle Arti di Vibo Valentia, ha condotto studi specialistici e curato mostre per Soprintendenze, istituzioni e musei.  

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