«Lo faceva apposta a essere così silenzioso in ogni suo movimento. Sapeva che il disordine del mondo non può che aumentare, che il rumore di fondo crescerà fino a coprire ogni segnale coerente, ma era convinto che misurando attentamente ogni suo gesto avrebbe avuto meno colpa di questo lento disfacimento», Paolo Giordano, La solitudine dei numeri primi.
I giorni inaugurali della 60ma Biennale d’Arte: calendario alla mano, GPS acceso pronti a correre, a perdere vaporetti e a cercare il ponte che si trova sempre nel punto sbagliato rispetto a dove dovremmo andare. Un caos isterico di impegni, orari, appuntamenti, nella labirintica ed eccentrica Venezia animata dal flusso brulicante di artisti, curatori e visitatori alla ricerca di forme, idee e progetti. È in queste giornate che Filippo Berta ha proposto la performance ON OFF, a cura di Jonida Turani e Carlo Sala, in collaborazione con Prometeo Gallery Ida Pisani e la project manager Isabella Andrea Maria Ruggi. Un’esperienza riflessiva in controtendenza che invita ad uscire dalle compulsioni del tempo, della connessione perenne e dei doveri sociali per ritornare in osservazione e in ascolto di se stessi, in un consapevole spegnimento del rumore di fondo e delle leggi dell’abitudine.
Sestiere di san Polo, zona centrale di Venezia vicino al mercato di Rialto, quartiere di traffico commerciale costruito a metà ‘500 e originariamente pensato per ospitare botteghe, laboratori artigiani e palazzi del clero, nei dintorni della chiesa di San Giacomo di Rialto. È in una antica ex macelleria dismessa, in una via laterale che sfugge dal clamore dei turisti, che Filippo Berta installa ON-OFF. La bottega mostra i decori originali dipinti a muro e i segni del tempo, incorniciati da eleganti volte a botte che ricordano un luogo sacro, lasciati intatti dopo la chiusura dell’attività.
Dietro una tenda, nello spazio un tempo adibito a cella frigorifera, siamo invitati a prendere parte a un rituale laico, silenzioso e suggestivo, accompagnati dal profumo d’incenso: una fiamma che brucia la cera di una candela, inchiodata capovolta al muro. Nel silenzio che ricorda quello di confessionale, siamo noi, la fiamma, la candela, e il mondo fuori.
FIlippo Berta, artista rappresentato dalla Prometeo Gallery di Ida Pisani, lavora sulle tensioni, sulle necessità e sulle urgenze dell’umano. ON-OFF è una proposta coraggiosa perché controcorrente, che non teme i giudizi e invita ad una sospensione dell’abitudine. In una piccola stanza che accoglie simboli semanticamente densi e richiami cristologiche e quasi sacrali, il gesto performato della candela, che brucia e si rivela senza dare spiegazioni, si dichiara nella propria semplice presenza e invita il nostro corpo e i nostri pensieri a fermarsi, a congelarsi e a porsi lateralmente rispetto alla società che, a pochi passi da noi, vive dei suoi spettacoli.
Berta propone un’azione diretta, incorruttibile, che mette alla prova la nostra capacità di stasi e di ascolto e si propone come un momento di ritorno al sé, all’autoaffermazione come individui prima ancora che come parte di una comunità. Un momento di solennità spirituale, di cui siamo solitari testimoni. Abbiamo ancora la capacità di concentrarci su un solo pensiero, come isole nell’oceano di input dell’esperienza del quotidiano? Siamo in grado di stare in silenzio, di fronte alla fiamma di una candela che brucia?
La performance di Berta è un atto di avversione contro le figure moderne della sovranità, del controllo sociale e dell’omologazione, proponendosi come un momento di stasi ribelle contro l’iperattività figlia della politica del consumismo, dell’omologazione e delle norme etiche e sociali. Qui è in gioco una crisi di intenti necessaria, come ci ricordava Baudrillard, “per avvertire l’ebollizione che sta crescendo fuori controllo”. La cella di congelamento è un sito-non-sito, è il luogo del limes, differito e indeterminato, del confine e della frontiera. Un luogo liminale, che tenta di sfuggire ai rituali della disordinata routine quotidiana, del dover fare sempre e per forza. Il corpo, come congelato all’interno di questo eremo temporaneo, è invitato a riequilibrare il disordine dei suoi passi.
Candela, fiamma e chiodo. Nella suo fare artistico, Filippo Berta risignifica gli oggetti, idoli e icone che raccontano di una tradizione secolare per ripensare al desiderio, al suo dissolvimento a come è avvenuto il condizionamento. ON-OFF gioca con alcuni elementi ricorrenti nei lavori dell’artista: pensiamo alla luce dei fiammiferi di Allumettes (2013), al rosario che ruota intorno all’indice della mano dell’anziano signore in A nostra immagine e somiglianza II (2018), al rumore dei chiodi infissi al muro in punta di piedi del primo capitolo della stessa trilogia. Gli oggetti che Berta utilizza sono “partner artistici”, dotati di una loro “agentività” e che non temono di mostrare la loro narrazione mitologica.
La candela che brucia – elemento scultoreo che viene incorniciato dai residui del suo stesso scioglimento – è un simbolo circondato dall’aura di significato della tradizione di matrice cristiana, così come i crocifissi, le sculture, ma anche le case, gli oggetti e gli elementi naturali. Come è possibile capovolgere questo ventaglio valoriale, da sacro a laico, da profano a spirituale? La candela ritorna a farsi corpo, e la persistenza della fiamma la illumina come una reliquia laica, ribaltando l’oggetto sacro in oggetto d’arte, dalla venerazione all’ammirazione estetica e espositiva. La fiamma, costretta contro il muro, è il punto di vulnerabilità, che per un numero infinito di volte si alimenta e si divora, in un tempo che non è mai digressione.
Entrando, diventiamo testimoni di un rito che non risponde ma domanda, e ritorniamo “corpi in scena”, nella performance sociale che sempre – inconsapevolmente – agiamo. Siamo chiamati a riflettere, per due minuti, sulle illusioni contemporanee che ci spingono a giudicare, valutare e talvolta svalutarci, e su una nuova reciprocità della relazione con l’alterità – per usare le parole di Emmanuel Levinas – che caratterizza ciò che io sono e non desidero essere.
L’indagine di Berta si concentra spesso sulle dinamiche del confine, quella frontiera eterea che l’artista ci aveva raccontato nel 2014 in Sulla retta via, collocato tra onde e sabbia, tra uomini e donne in cammino verso un altrove, sconfinando nel metafisico. Vivere gli spazi liminali ci permette di unire diversi ordini di realtà: avvicinarsi al confine è avvicinarsi al proprio momento di passaggio da un prima ad un dopo, da un dubbio a una certezza. Documentati tramite video e i frame fotografici, i lavori di Berta sono gesti collettivi semplici, che non mirano alla teatralizzazione del loro aspetto scenico di facciata, per attivare una tensione relazionale che combatte la separatezza tra noi e l’altro. Il tutto, agito senza mai saturare la scena performativa, che utilizza il minimale del gesto artistico che sovverte se stesso.
Come ricorda Bourriaud, performance è estetica della relazione, in «Questo esaurimento che ha svuotato di sostanza i criteri di giudizio estetici che abbiamo ereditato, ma che continuiamo ad applicare». Il tema della libertà negata è molto presente nella poetica di Berta, una libertà sempre agita attivamente, che non può mai essere definitivamente incasellata nelle regole del consumo e nelle convezioni sociali del nostro secolo, spesso incarnata nel simbolo del muro, del limite fisico che viene tracciato, sorpassato e distrutto dalla forza dei corpi.
ON-OFF è un delicato momento di spegnimento del nostro maldestro vivere in velocità, in quella libertà pensata ma forse mai veramente agita. Dichiariamo la nostra consapevole fuoriuscita dal flusso del mondo: la candela incontra noi, e non noi la candela.
«Dicono che per non soffocare sotto il fardello del passato, un individuo debba bruciare i residui: foglie secche, documenti ormai inutili, giornali vecchi, o semplicemente guardare una candela che si consuma, osservare con calma la cera che si strugge», Edoardo Albinati, La scuola cattolica.
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