21 ottobre 2019

Robert Morris alla Galleria Nazionale, l’ultima mostra. Le parole del curatore

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Alla Galleria Nazionale di Roma per la prima volta in Europa gli ultimi due gruppi di sculture di Robert Morris, in una mostra alla cui progettazione iniziale lavorò Morris stesso. Il curatore Saretto Cincinelli ci racconta la mostra e la sua nascita

Robert Morris alla Galleria Nazionale, Roma
Robert Morris alla Galleria Nazionale, Roma

Alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma è in corso la mostra “Robert Morris. Monumentum. 2015-2018”  (fino al 12 gennaio), a cura di Saretto Cincinelli, alle cui prime fasi di progettazione partecipò Robert Morris stesso, venuto a mancare improvvisamente nel novembre del 2018. Nel percorso espositivo sono riunite due serie di lavori mai uscite dagli Stati Uniti e esposte per la prima volta in Europa.

Saretto Cincinelli ci racconta la mostra e la sua nascita.

È la prima mostra dedicata a Robert Morris dopo la sua morte e, si legge nel comunicato stampa, è stata realizzata sulla base di «un progetto concordato con lo stesso artista». Che ricordi ha delle prime fasi della preparazione della mostra e dell’apporto di Morris alla definizione del percorso espositivo? Come è cambiato il progetto dopo la sua scomparsa?

«Più che concordata direi disegnata nelle sue grandi linee… L’intento ero quello di proporre al pubblico italiano le sue ultime due straordinarie serie scultoree mai uscite dagli Stati Uniti. Il passo successivo è stato quello di proporre la fusione delle due serie in un unico spazio, risolvendo la loro compresenza in un’unica complessa e “inedita” installazione… Una ipotesi che Morris ha accolto subito con favore. Ha avuto a disposizione le piante della galleria e le foto dell’ambiente per verificarne la fattibilità… ma avevamo demandato la dislocazione dei singoli gruppi al momento del montaggio in situ, a cui avrebbe presieduto lo stesso artista. Dunque non esiste un piano preciso di collocazione delle opere nello spazio elaborato da Morris ma una sua convinta adesione al concept della mostra. Ovviamente le opere che si relazionano a gruppi (ciascuno composto da più sculture) sono stati installate seguendo lo schema fissato da Morris ma la dislocazione di ciascun gruppo nello spazio espositivo è stata elaborata al momento del montaggio. In questa fase c’è stata una grande libertà poiché alcuni gruppi prevedevano già in origine più di una possibilità di articolazione interna: ad esempio Dark Passage, 2017, la serie in fibra di carbonio nera, che richiama I borghesi di Calais di Rodin, composta da sei figure umane a grandezza naturale poteva – secondo le sue indicazioni – essere installata sia seguendo uno schema lineare che circolare, lo stesso valeva per altri gruppi…e particolarmente per le nove figure di TheBig Sleep la cui collocazione poteva seguire un allineamento geometrico che una disseminazione casuale nello spazio e persino una dislocazione in altre sale. L’improvvisa scomparsa dell’artista non ha cambiato in niente il progetto originale, ci siamo limitati qualche tempo dopo a collocare un grande feltro Untitled, 1976, proveniente dalla Castelli Gallery, come una sorta di silenzioso omaggio all’artista… un’opera che resterà visibile per tutto il periodo della sua personale nella sala del museo che ospita opere di Canova, Pascali, Klein, Mondrian, Castellani, Twombly, Flavin e Penone, una delle sale simbolo del nuovo ordinamento della Galleria Nazionale ideato da Cristiana Collu».

Le opere in mostra, realizzate da Morris molto recentemente, non sono mai state esposte in Europa. Che tipo di opere sono? Dove sono state esposte prima? Come si collocano nella ricerca dell’artista? 

«Le opere sono state esposte alla Galleria Castelli di New York in due diverse personali MOLTINGSEXOSKELETONSSHROUDSnel 2015 e Boustrophedons nel 2017. Le prime realizzate in tela di lino belga immersa in un bagno di resina epossidica trasparente e le seconde in fibra di carbonio. In entrambe le mostre emergono espliciti riferimenti alla storia dell’arte: Goya, Rodin, Sluter… ma nelle sculture di Morris i corpi risultano assenti e la figura umana è suggerita unicamente tramite la suggestiva e sapiente modulazioni dei panneggi delle vesti che, irrigidendosi, divengono autoportanti quando le resine essiccano. In entrambe le serie l’artista allude all’esoscheletro trasparente di cui si liberano gli insetti al momento della muta ma anche ai sudari (shroud) che velano i defunti. Ne scaturisce una straniante e impossibile coesistenza fra vuoto e pieno che introduce nella visione un insolito e fertile corredo di sensazioni contrastanti, che ispira mutevoli stati d’animo in chi osserva. Muovendosi in uno spazio disseminato di figure a grandezza naturale, prive di ogni accenno di piedistallo che, a seconda della prospettiva dello sguardo, si mostrano come figure o come vuoti simulacri, lo spettatore non può più considerare l’opera al di fuori della sua stessa relazione percettiva. Morris riafferma così la stretta interdipendenza fra oggetto-osservatore-spazio, già operante nelle sue opere minimaliste. Sia che si trovino sospesi nel vuoto, aderenti alle pareti o semplicemente deposti a pavimento i recenti gruppi scultorei in mostra testimoniano inoltre il crescente interesse dell’artista per la figura umana e per l’opera di maestri del passato: un interesse che a partire dagli anni ottanta del novecento, segna una svolta anche nel suo vocabolario formale che pare orientarsi verso elementi barocchi e allegorici come negli hydrocal works bassorilievi derivanti da stampi di forme in argilla e gesso bianco di frammenti di corpi umani che evocano un sentimento di perdita e morte, temi che si ritrovano anche -sia pur modulati da una sorta dipietāsnelle opere in mostra. Un filo rosso unisce sottotraccia, concettualmente e tematicamente, molte opere dell’artista che possono risultare ad un primo sguardo anche formalmente diverse».

Con quale intento è stata pensata la mostra?

«La mostra nasce dalla volontà di allargare le maglie di alcune interpretazioni dell’opera di Morris che tendono a collocare la figura dell’artista sotto la prestigiosa ma riduttiva etichetta di maestro del minimalismo e postminimalismo, una interpretazione corretta ma incapace di rendere giustizia dell’insieme della sua ricerca. Lavorando “in più di una direzione alla volta” Morris ha sempre ostinatamente evitato di declinare la propria identità artistica attraverso un’unica dimensione, tant’è che le sue opere hanno spaziato dalla pittura alla coreografia, dalla scrittura alla scultura, dal film alla performance».

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