30 luglio 2024

Roma, Contemporary Cluster verso una nuova sede: intervista a Giacomo Guidi

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Una nuova esperienza per Contemporary Cluster, lo spazio di Roma dedicato ai linguaggi della creatività contemporanea si sposta sull’Aventino: ne parliamo con il fondatore, Giacomo Guidi

Contemporary Cluster, Via Beccari, Installation view
Contemporary Cluster, Via Beccari, Installation view

Da sempre impegnato nel proporre progetti innovativi che coniughino tutte le declinazioni del contemporaneo, dal 18 settembre 2024 Contemporary Cluster avrà una nuova sede: lo spazio di Palazzo Brancaccio chiuderà infatti i battenti, per dare l’avvio a una nuova esperienza in via Beccari, sull’Aventino. Attivo dal 2016, Contemporary Cluster rifugge lo stereotipo di galleria d’arte e si innesta nel panorama romano con una linea inedita, per dare voce alle istanze artistiche più diversificate. A illustrare le novità e i progetti futuri di Contemporary Cluster è il fondatore, Giacomo Guidi.

Contemporary Cluster, Via Beccari, Installation view

Contemporary Cluster è divenuto ormai punto di riferimento nella scena artistica contemporanea di Roma: a cosa è legata la scelta di una nuova sede e quali orizzonti vi prefissate di esplorare con questa nuova collocazione?

«Dopo tre anni di attività all’interno di Palazzo Brancaccio, in cui abbiamo organizzato mostre incredibili spingendo lo spazio oltre i suoi limiti strutturali sentivamo l’esigenza di avere una architettura differente che potesse permetterci di sviluppare mostre molto più rigide e con una visione unitaria. Da qui è nata l’esigenza di trovare un nuovo spazio, oltre al fatto che sentivamo satura l’esperienza Esquilino, un quartiere ormai fin troppo inflazionato. La nuova sede di Contemporary Cluster sarà in via Odoardo Beccari 10, all’Aventino; la scelta è stata abbastanza semplice e immediata, sia per l’architettura dello spazio che per la zona. La nuova galleria risponde alle nuove esigenze progettuali: è un ambiente molto rigoroso che permetterà di avere mostre dalla visione unitaria, con più rigidità, più severità e opere di grandi dimensioni; è un ritorno all’ordine, e ci permetterà di sviluppare mostre più installative».

Arvin Golrokh, Idrofobia di Stato senza guinzaglio, 2020
Arvin Golrokh, Idrofobia di Stato senza guinzaglio, 2020

Quale direzione si intende intraprendere a livello curatoriale con questo cambio di rotta? Quali sono i punti di forza del nuovo spazio rispetto alla sede precedente a Palazzo Brancaccio?

«La prossima stagione vedrà impegnati molti giovani curatori chiamati a dirigere artisti in mostre personali e collettive di rilievo, provenienti da varie parti della penisola. La nostra mission è infatti quella di creare un network e un dialogo con altre realtà e altri luoghi; anche fuori Roma, tanto che diversi curatori della prossima stagione provengono da Milano, come Federico Montagna che sta seguendo una collettiva per aprile 2025 o Arnold Braho, autore del testo critico che accompagnerà la mostra inaugurale Fatmah. Continueremo inoltre a supportare il tessuto cittadino e a stimolare i nostri talenti rinnovando collaborazioni già ampiamente sperimentate (ndr. Niccolò Giacomazzi) e intraprendendo nuovi rapporti, uno su tutti, la curatela di Angelica Gatto per la mostra personale di Jonathan Vivacqua a novembr».

In questo nuovo spazio sarà possibile approfondire ancora di più la vena installativa di alcuni nostri artisti, infatti lo spazio della galleria porterà molti di loro a lavorare sull’orizzontalità delle opere».

Sofiia Yesakova, Cargo-200. Experimental projections on the surfaces, 2022

Fatmah sarà la mostra che inaugurerà il nuovo spazio: ci racconta le ragioni del progetto? Quali sono le premesse da cui parte?

«Fatmah è una mostra collettiva che vuole mettere in evidenza fin da subito le caratteristiche e le potenzialità del nuovo spazio, tanto che sono stati selezionati artisti che sono accumunati da un’estetica simile, caratterizzata da una forte severità e rigidità stilistica. Avremo in mostra opere di Nicola Ghirardelli, Arvin Golrokh, Giuseppe Lo Cascio, Lorenzo Montinaro, Jacopo Naccarato, Linus Rauch, Franziska Reinbothe, Sofiia Yesakova, accompagnate da un testo critico di Arnold Braho.

L’essenza della mostra sta tutta nell’etimologia del titolo: فاطمة – Fatmah. Il nome Fatmah è una variante di “Fattūmah”, che deriva dal superlativo di “Fatah”. Nella lingua araba, “Fatah” significa “aprire” o “rinnovare”. Questo riferimento all’apertura e al rinnovamento riflette non solo la vitalità insita nel nome: è una promessa di crescita e prosperità, un augurio di continua rigenerazione che porta con sé un’aura di sacralità e di rispetto, spesso associata a qualità come la resilienza. Il termine ha molti significati, radicati profondamente nelle tradizioni del Medio Oriente; non è solo un nome, ma un simbolo ricco di storie e interpretazioni, che riverberano attraverso narrazioni e rituali. Per comprendere Fatmah sarà necessario immergersi in un tessuto complesso di memoria e identità, in cui il sacro si intreccia con il quotidiano».

La programmazione dello spazio vede spesso coinvolti artisti emergenti, che trovano tra le mura di Contemporary Cluster un luogo di espressione in grado di veicolare le istanze più recenti del panorama romano: ci sono modelli, come istituzioni o realtà consolidate, che seguite nell’impostazione della vostra offerta culturale? Come si coniugano con le contraddizioni della realtà romana?

«Non seguiamo un modello in particolare, abbiamo il nostro modo di fare le cose e ci atteniamo ad una nostra visione dell’arte. Lavoriamo con giovani artisti e dal prossimo anno li combineremo insieme ad artisti molto maturi per creare una galleria che lavori simultaneamente su ciò che già in fase di storicizzazione e su ciò che sarà storia. Abbiamo scelto di lavorare con molte istituzioni per creare dialoghi.

Il nostro rapporto con Roma è quello che è, Roma la nostra città ma noi non lavoriamo sull’idea di Roma; il nostro scopo è portare nella capitale correnti artistiche che magari senza di noi non sarebbero visibili, sempre seguendo il nostro gusto, il nostro modo e il nostro stile. Roma è una bandiera, c’è poi un mondo che ti osserva, ci sono i social con cui si dialoga in tutto il mondo, ci sono le fiere estere, ci sono i progetti internazionali che faremo, ma Roma è la nostra casa».

Nicola Ghirardelli, Made In Artissima, 2023

Può fornirci qualche anticipazione sui progetti futuri e su come questi si sposeranno con la nuova location?

«Non voglio anticipare troppe informazioni prima del tempo ma ritengo giusto concentrarmi su alcune novità, prima fra tutte il ritorno di alcuni grandi artisti con cui ho collaborato in passato. La nuova galleria avrà la volontà di unire la nuova via con una via già abbondantemente percorsa da me, ci saranno molti artisti giovani ma si assisterà anche al ritorno di artisti di una generazione molto più alta con l’obiettivo di creare una galleria dove giovani ed establishment convivano secondo una linea storica che segua alcuni dettami fondamentali dell’arte contemporanea.

Continuerà poi la nostra affermazione in campo internazionale con progetti a lungo termine a Madrid e negli Stati Uniti, oltreché alla partecipazione a fiere internazionali in modo da consolidare sempre di più la nostra presenza sul panorama estero. Come sempre, poi si avranno vari progetti esterni grazie alla collaborazione con istituzioni pubbliche di vario grado».

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