Ad ar/ge kunst, a Bolzano, inaugura oggi, 6 settembre, la prima personale in Italia di Romy Rüegger (1983), “Echoing Movements To Come”, a cura di Emanuele Guidi.
«La mostra – ha spiegato ar/ge kunst – prende le mosse dal recente libro Language is Skin: Scripts for Performances (Archive Books, 2018) di Romy Rüegger e traduce ulteriormente la sua pratica performativa e time-based nella temporalità dello spazio espositivo. L’installazione concepita per ar/ge kunst organizza le due sale della galleria così da rendere visibili modi paralleli di assemblare segnali che anticipano, frammenti e materiali di ricerca delle performance dell’artista e allo stesso tempo aprire una riflessione sul loro potenziale associativo, il loro status e la loro presenza temporanea».
Una serie di performance accompagneranno l’intera durata della mostra: la prima, A Fabric in Turkey Red, si svolgerà durante l’opening di questa sera, le altre il 12 ottobre, alle 17, e il 9 novembre, alle 11. Abbiamo posto alcune domande sulla mostra a Emanuele Guidi, direttore artistico di ar/ge kunst.
Come è nata la personale di Romy Rüegger ad ar/ge kunst?
«Come spesso succede una pubblicazione è stata il punto di partenza. In questo caso il libro di Romy Rüegger Language is Skin, Scripts for Performances uscito con Archive Books nel 2018, che ho trovato interessante come gesto di traduzione inter-mediale, tra azione performativa e scrittura, come possibilità di offrire un’altra circolazione e un’altra temporalità alla sua ricerca che era pubblica soltanto nel momento del live. Mi interessano i tentativi di cercare un’altra forma a testo e immagini che raggiungano, in questo caso, un lettore e non più per uno spettatore. Le ho chiesto che cosa sarebbe successo con una traduzione ulteriore da libro e mostra, due formati che presuppongono spazi, tempi e modi di “leggere” ancora differenti».
Che tipologia di opere saranno in mostra e come sarà articolato il percorso espositivo?
«Insieme abbiamo lavorato sull’estrazione di elementi che appartenevano a tre performance diverse, ma che potessero avere una valenza, scultorea, visiva, spaziale, narrativa, anche in mostra, senza il supporto dell’azione dal vivo. Sono dei tessuti, una planimetria e un’installazione sonora, che convivono nello spazio e dialogano anche se appartenenti a tre performance diverse. Ci è sembrato interessante il fatto che insieme andassero a formare quasi uno stage. E attraverso il programma di performance questi elementi saranno attivati e “restituiti” alle loro performance originali. La seconda stanza, serve invece a supporto alla prima: una scultura/display che Rüegger ha pensato per esporre immagini e testi che ha raccolto durante le varie ricerche, anche in questo caso in una forma nuova e autonoma».
Potresti riassumerci, in estrema sintesi, la poetica dell’artista?
«Userei il titolo del suo libro: la lingua è pelle».
Come si inserisce questa mostra nella programmazione di ar/ge kunst?
«Il lavoro di Romy Rüegger ha un’affinità tematica e formale con il mio programma ad ar/ge kunst – a partire dal rapporto tra libro e mostra come “forme del rendere pubblico”. La sua pratica performativa centrata sul discorso è portatrice di una ricerca approfondita che spesso attiva la storia per offrire punti di vista trasversali sull’attualità – dai temi più urgenti come migrazioni economiche, lavoro, critica istituzionale fino alla riflessione sulla produzione e circolazione delle immagini oggi».
Quali appuntamenti o mostre proporrete nei prossimi mesi?
«Il 21 novembre inaugureremo il progetto dell’architetto e ricercatore Lorenzo Pezzani (co-fondatore di Forensic Oceanography) dal titolo Hostile Environment’s. È il quarto episodio del nostro ciclo di residenze One Year-Long Resarech Project che porta artisti, architetti e ricercatori a Bolzano e Alto Adige per progetti di ricerca site-specific. Lorenzo ha iniziato la ricerca a fine 2018 ed è tornato in questi giorni per un laboratorio per la raccolta di testimonianze che andranno poi a formare parte dell’installazione in mostra».
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