Fino al 9 novembre, in via privata Massimiano 25, Francesca Minini ospita le opere e le performance di Jacopo Benassi (1970), protagonista di una nuova mostra personale intitolata Sàlvati Salvàti presso la galleria milanese.
Una volta all’interno della sala principale ci troviamo di fronte a una barriera assemblata con grandi stampe fotografiche e materiali edili, dalla quale s’innalza a mezz’asta un rozzo vessillo bianco su cui è raffigurata l’effige di una chela. Al di là di questo muro, veniamo circondati dalle opere di Benassi che si susseguono appese alle pareti della stanza, unite da una foggia apparentemente rudimentale e improvvisata. La maggior parte dei lavori in mostra sono infatti esposti all’interno di cornici di fortuna realizzate in compensato, schermate da sottili fogli di vetro che simulano una protezione aggiuntiva. Tale peculiarità riveste le opere di una livrea post-apocalittica, come è possibile notare in Panorama della spiaggia di Pachino (Sicilia), nel dittico La fine del mondo?, o in Turner is not dead!, tutte del 2024. In queste opere, l’artista confeziona le sue foto all’interno di tele incorniciate allo stesso modo, fissandole tra loro con vecchi tiranti per tensostrutture. In Autoritratto in Pantofole e Frocio (archivio), invece, il procedimento è esattamente l’opposto: sono le stampe a contenere i dipinti e altre immagini.
In tutta la mostra, solo due lavori sono presentati come fotografie pure e provengono dalla serie Duello con il sole. L’utilizzo del flash è altamente significativo per Benassi, che ne massimizza le paradossali capacità, conferendo dinamismo e sprazzi di luce a figure e situazioni silenziose. La scelta dei soggetti infatti richiama la passione e la fragilità che in fondo sono i tratti distintivi della fotografia dell’artista spezzino. Benassi ha saputo trasformare l’imperfezione in un elemento essenziale del suo lavoro. Le sue cornici bruciate, il vetro tagliato, il legno di recupero: tutto sembra partecipare a una poetica della distruzione e della rinascita, che riflette il continuo dialogo tra creazione e autodistruzione.
Al centro dello spazio espositivo si trova il proscenio in cui si è consumata la performance del 17 settembre, la prima di quattro, le prossime prenderanno luogo presso la galleria il 3 e il 23 ottobre e il 6 novembre. Appesi al soffitto, grazie a tiranti in acciaio, diversi strumenti musicali, tra cui una tromba, un tamburo, un gong, una tuba e il manico di una chitarra elettrica, oscillavano su un palco improvvisato, delimitato da un tappeto persiano e realizzato sotto la barricata. All’ombra di quest’ultima, puntellata da una impalcatura, si trovavano dei calchi in cemento delle mani e dei piedi dell’artista, come resti archeologici di un tempo passato, messi proteggere l’opera che dà il nome alla mostra: Sàlvati Salvàti del 2024. Quest’opera, composta dall’unione di uno speaker, un giradischi e un sintetizzatore, ha fatto da set artigianale per il delirio che ha seguito: durante l’inaugurazione, l’artista e Khan of Finland si sono esibiti in un dj-set punk-voodoo, uno spettacolo che celebrava il rumore caotico del flusso di coscienza creativo, inneggiando alla perdita di controllo, in un’estetica nostalgica degli anni ’80, perfettamente incorniciata dall’imponente bastione.
Tuttavia, simili performance sembrano riflettere un linguaggio che, per quanto efficace, inizia a sembrare un po’ retrò. Ci troviamo infatti in un momento in cui l’arte contemporanea si sta riavvicinando a espressioni più elaborate, lontane dalla necessità di decostruire a tutti i costi. Questa riscoperta di forme più sostanziali rappresenta un movimento verso una maggiore riflessione, rispetto al caos puramente provocatorio del passato. Essere al di qua della barricata ci riporta a quella caverna, in cui gli occupanti si illudono di comprendere cosa c’è là fuori, ma vedono solo ombre. La realtà si mostra spesso in forme che non cogliamo immediatamente, e forse il vero atto rivoluzionario oggi è guardare oltre la superficie per trovare un significato più profondo.
Detto ciò, la performance di Jacopo Benassi è stata d’impatto, grunge. Un nugolo di suoni, materiali e parole a tratti surreale e coinvolgente, a tratti estraniante ed è sicuramente riuscita nel suo intento di riprodurre il caos della realtà odierna, affermando il pensiero e la volontà dell’artista. Ma quello che ha colpito di più, è stata la spontaneità: l’artista si è davvero divertito, in modo disarmante. Questa autenticità e spontaneità lo hanno infine salvato dall’essere intrappolato in una semplice provocazione.
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