Ogni mostra crea naturalmente una relazione con il territorio che la ospita, in quanto lo spazio pubblico circostante al museo, alla galleria o allo spazio espositivo crea ulteriori connessioni con i contenuti espressi dalle opere esposte. Se questa mostra, poi, è di Sarenco, la riflessione sorge spontanea e in un certo senso obbligata. Inaugurata il 31.03.2022 e visitabile fino al 14.01.2024, SARENCO. La Platea dell’Umanità, a cura di Giosuè Allegrini, ripercorre tutta la produzione dell’artista occupando l’intero secondo piano del CAMeC di La Spezia.
Isaia Mabellini, in arte Sarenco, è l’artista che ha teorizzato la Poesia Totale: prendendo come punto di avvio le avanguardie poetiche dei futuristi e dei dadaisti, passando per la poesia visiva del gruppo 63 e poi del gruppo 70, ha sviluppato l’idea che ai poeti tutto fosse concesso e niente fosse loro precluso, nessun medium o confine, e il loro scopo fosse quello di rifondare la società, stimolando una autocoscienza nel popolo. Qui si inserisce un concetto di praticità dell’arte e dell’artista: ma come è possibile creare questo moto? Già nel 2008 Sarenco aveva presentato al CAMeC, in collaborazione con la galleria Il Gabbiano, una performance con una modella nuda, le cui tracce sono documentate in Senza titolo (Il poeta gioca a scacchi con la morte): un’azione dissacrante e scioccante per la città.
D’altronde, nonostante i tentativi di dare uno spazio pubblico all’arte contemporanea come gli archi di Daniel Buren in piazza Verdi, non sembra esserci in città nessun interesse specifico nella creazione di un dialogo armonico e integrato tra cultura e il contemporaneo, viste le continue critiche negative che accompagnano le azioni meno tradizionali. Forse per questo motivo la mostra di Sarenco si apre con Gedicht macht frei (la poesia rende liberi), un cancello che richiama quello di Auschwitz, che diventa un ideale portale al di là del quale è possibile trasformare la memoria e le tradizioni in una rigenerante fonte di consapevolezza, di cultura, richiamando quindi l’estrema necessità di ripensare al passato come un elemento germinativo per il futuro.
La poesia, e di conseguenza il poeta, rivestono per Sarenco un ruolo cruciale per la creazione di una società migliore. L’idea del ruolo sociale della sua poesia è rafforzata dall’opera Poetical License, la foto di una ragazza intenta a lanciare una pietra contro la polizia inglese durante le rivolte contro la repressione cattolica nell’Irlanda del nord, alla quale è stato aggiunta la frase Poetical License. La licenza poetica che Sarenco si prende trasforma il poeta visivo in un attivista che, tramite la creatività, contribuisce alla lotta politica per migliorare la società in cui vive. «Ciò che desideriamo proporre, con questa mostra, è il “Sogno di Sarenco sull’Arte”; quella forma poetica anarchica e rivoluzionaria, al contempo pubblica, anticonformista e dissacrante, tramutato in realtà, ed attraverso di essa porre la luce dei riflettori sulla cultura italiana, europea e internazionale del secondo Novecento, in rapporto alla società dei consumi e della comunicazione», dichiara il curatore, Giosuè Allegrini.
Il focus principale di Sarenco era quindi quello di esaminare criticamente la realtà, creando un cambio costante del punto di vista, come testimoniano i suoi viaggi in Africa e le sue opere che si relazionano con altre culture, quasi ricercando il minimo comun denominatore tra ogni forma d’arte. Come dichiarato dall’artista nell’intervista che chiude la mostra «l’arte è un sistema per esprimere sentimenti. [..] La voglia di esprimersi e di creare è universale, non c’è niente come l’arte che restituisce un’immagine del mondo». Un mondo che, come evidenziato dalla mostra, si compone di più voci, nel presente e nel passato, che condizionano le azioni del singolo.
«Quindi qual è il rapporto che ha Sarenco con il post colonialismo e l’Occidente?», la domanda che sorge spontanea durante la conferenza stampa. Allegrini risponde: «Sarenco era contro ogni forma di confine, e contro ogni velleità del potere», «Nella cultura”, aggiunge il sindaco Peracchini, lì presente. Così, sembra che l’istituzione cittadina divida ermeticamente l’arte e la vita, suggerendo l’idea che le mostre debbano rimanere all’interno dei musei, depotenziandone la reale capacità. Questa affermazione stona all’interno della mostra di Sarenco in quanto non solo, come già detto, la poesia totale andava al di là di ogni limite, ma anche per i contenuti delle singole opere, come ad esempio Avanti popolo, alla riscossa. «Futurismo e dadaismo avevano capito che l’arte non era riproduzione della realtà, nè sparizione dalla realtà ma un modo di entrare nella descrizione culturale e letteraria della realtà, modificandola attraverso l’uso del testo o del suono», dichiara ancora Sarenco nell’intervista sopraccitata.
Quale valore aggiunto potrebbe dare la mostra di Sarenco alla città? La storia della crescita di La Spezia evidenzia come l’economia si sia improntata principalmente sulla produzione di armi e sulla marina militare, nonché sul lavoro portuale. Queste attività hanno agevolato la creazione di una mentalità maschilista, molte volte tossica e fragile, che riverbera i suoi afflati in diversi campi: è ormai prassi che la tifoseria dello Spezia finisca sulle prime pagine cittadine, e non solo, per azioni violente; è sempre più frequente inoltre che gruppi,che si rivendicano neofascisti, compiano azioni intimidatorie, come quelle davanti alla sede di un circolo ARCI, o pestaggi a scapito di privati, senza nessuna condanna ufficiale da parte delle istituzioni; il circolo Almirante, istituito senza nessuna interferenza governativa, ha pubblicato su un noto quotidiano poi rimosso un comunicato stampa, canzonatorio e blandamente intimidatorio, all’alba del primo La Spezia Pride. Forse ciò che Sarenco potrebbe dare alla città è semplice, e lo enuncia nella sua intervista: «è la cultura che salva, perchè rimane; non le guerre, che passano; non le bombe che esplodono e non si possono ricomporre».
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