Tre grandi maestri dell’arte e del design per raccontare altrettanti percorsi di ricerca che, tra punti di contatto e divergenze, vanno a delineare l’ampio e vitale panorama della creatività italiana del Novecento. Così apre le porte il Robert Olnick Pavilion, il nuovo spazio di Magazzino Italian Art a Cold Spring, New York, con una rara panoramica del lavoro pionieristico degli anni ‘60 e ‘70 di Mario Schifano (1934-1998), un’installazione di dipinti e sculture di Ettore Spalletti (1940-2019) e una selezione di capolavori in vetro di Murano di Carlo Scarpa (1906-1978), dalla collezione dei fondatori di Magazzino, Nancy Olnick e Giorgio Spanu.
Un ampliamento, dunque, non solo di spazi ma anche di visione e di concetto. Il primo spazio, che aprì al pubblico nel 2017, con i suoi 1.800 metri quadrati continuerà a essere dedicato all’Arte Povera, movimento che riveste un ruolo centrale nella Collezione Olnick Spanu. Progettato dagli architetti spagnoli Alberto Campo Baeza e Miguel Quismondo, il nuovo padiglione darà invece la possibilità di far spaziare lo sguardo su tutta l’arte italiana moderna e contemporanea, attivando al contempo importanti collaborazioni con altre istituzioni. Simbolo del nuovo padiglione sarà la sala isotropa progettata da Alberto Campo Baeza: un cub perforato in ciascun angolo da finestre di forma quadrata, che generano un flusso di luci e ombre in continua evoluzione.
Esposta fino all’8 gennaio 2024, Mario Schifano: The Rise of the ‘60s è la prima grande retrospettiva negli Stati Uniti che offre una panoramica completa dell’attività di Mario Schifano nel decennio 1960 – 1970. In mostra 80 opere, la maggioranza delle quali in prestito da importanti collezioni internazionali, tra cui 12 provenienti dalla Collezione Fondazione Maurizio Calvesi e mai esposte prima d’ora. L’idea di questo progetto nasce dal desiderio espresso da Maurizio Calvesi e sua moglie Augusta Monferini ai fondatori di Magazzino Italian Art, Nancy Olnick e Giorgio Spanu a cui erano legati da profonda amicizia. Dopo la morte di Calvesi, nel 2020, il progetto non si è fermato e l’apertura del nuovo padiglione del museo ha costituito l’occasione giusta per far conoscere al pubblico americano il grande artista.
Organizzata da Magazzino Italian Art, in collaborazione con l’Archivio Mario Schifano e curata da Alberto Salvadori, la mostra è presentata nel 60mo anniversario della prima visita di Schifano negli Stati Uniti, avvenuta nel 1963. Fu in quella occasione che ebbe modo di entrare in contatto con Andy Warhol, frequentando anche la Factory e le serate del New American Cinema Group. Includendo opere realizzate a partire dall’inizio degli anni ‘60 in omaggio ai pittori italiani di cartelloni pubblicitari, ma anche altre serie, dai monocromi alle tele emulsionate dedicate ai Paesaggi TV, fino alle fotografie di viaggio negli Stati Uniti, l’esposizione punta a individuare la specificità dell’arte di Schifano rispetto alla Pop art americana. Pur essendo sensibile alle correnti del momento – come riconosciuto dal titolo Rise of the ‘60s, ovvero “L’Ascesa degli Anni ’60”, ispirato a un libro dello storico dell’arte Thomas Crow – Schifano sviluppò un punto di vista indipendente, attingendo anche alla ricca eredità italiana, con richiami a Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Leonardo da Vinci, Piero della Francesca.
La mostra sarà accompagnata dalla pubblicazione Schifano: The Rise of the ‘60s, curata da Alberto Salvadori, Lara Conte e Francesco Guzzetti, con testi di Alberto Salvadori, Andrea Cortellessa, Claire Gilman, Daniela Lancioni, Francesco Guzzetti, Giorgia Gastaldon, Giuliana Bruno, Lara Conte, Luciano Chessa, Raphael Rubinstein, Riccardo Venturi e Stefano Chiodi.
In esposizione fino all’8 gennaio 2024 anche Ettore Spalletti: Parole di colore, progetto realizzato con il supporto di Marian Goodman Gallery, Galleria Lia Rumma e Galleria Vistamare., appositamente concepito per il nuovo Padiglione dalla Fondazione Ettore Spalletti e da Alberto Salvadori, in collaborazione con l’architetto Alberto Campo Baeza.
In mostra all’interno dello spazio più suggestivo del nuovo edificio, tre grandi opere murali monocromatiche – Sia o no così, rosa; Così, rosa; Sia o no così, azzurro – dipinte nel 2009 con colori stratificati, applicati ritualmente nello stesso modo e alla stessa ora del giorno. Le opere sono messe in dialogo con Colonna nel vuoto, del 2019, una scultura realizzata con una centina di legno dipinta che entra in rapporto anche con l’architettura di Campo Baeza. Accanto ai dipinti e alla colonna troviamo Disco, del 1981, un’opera in legno laccato nero inserito in una delle pareti, a introdurre un elemento magico e asimmetrico nello spazio.
«La sezione aurea, da Vitruvio ad oggi passando per Leon Battista Alberti fino a Campo Baeza, è sempre la stessa ma in ciascuno di loro è diversa, è in movimento con il proprio pensiero», spiega Salvadori. «Così gli archetipi di Ettore Spalletti mai fissi su sé stessi costruiscono luoghi unici e irripetibili nella loro similitudine. Luoghi che portano al raccoglimento, alla meditazione, che sfuggono alla superficie e alla superficialità, che richiedono tempo, dove è possibile ritirarsi personalmente, in preghiera, o condividere l’ascolto di poesie o di un concerto».
Visibile al pubblico fino al 31 marzo 2025, è la mostra Carlo Scarpa: Capolavori senza tempo che presenta una selezione di 56 opere in vetro di Murano dalla Collezione Olnick Spanu. Curata da Marino Barovier, l’esposizione ricostruisce il percorso creativo del celebre architetto dal 1926 al 1947, periodo in cui collaborò con le due più importanti fornaci muranesi dell’epoca: M.V.M. Cappellin & Co. e Venini.
«Il termine capolavori – afferma Marino Barovier – è il più appropriato per questi vetri, perché si tratta di opere straordinarie per la qualità del disegno e della materia; opere che hanno fatto la storia delle vetrerie dove sono state realizzate e di riferimento per il panorama artistico del vetro di Murano del Novecento».
La Collezione Olnick Spanu comprende ad oggi 596 opere in vetro di Murano realizzate da 43 artisti e designer, tra cui Vittorio Zecchin, Artisti Barovier, Napoleone Martinuzzi, Fulvio Bianconi, Massimo Vignelli, Giorgio Vigna e Yoichi Ohira. Tra le opere in collezione, anche il mitico vetro di Thomas Stern, La Sentinella di Venezia. Di questa celebre opera esistevano tre esemplari, di cui uno è quello della Collezione Olnick Spanu, che la acquistarono direttamente dall’artista e designer originario di Philadelphia, con il quale c’era un lungo legame di amicizia. Un altro esemplare è andato in asta nel 2018 raggiungendo il prezzo più alto mai battuto per un vetro di Murano, 737mila partendo da una stima compresa tra 300 e 500mila dollari. Infine, il terzo esemplare è andato perduto nella laguna veneziana durante il suo trasporto e mai più ritrovato.
La Collezione Olnick Spanu conserva anche ben 156 capolavori di Scarpa, un numero che la rende una delle collezioni più vaste al mondo delle opere dell’architetto e designer veneziano. Tra le opere in vetro create per M.V.M, la mostra include la serie Pasta vitrea, creata tra il 1929 e il 1930 e caratterizzata dai colori brillanti, dalla matericità e dall’applicazione di foglia d’oro. Tra le opere in vetro create per Venini, esempi significativi includono un vaso e una tazza dalla serie Laccati neri e rossi del 1940, il cui colore caratteristico conferisce loro l’aspetto delle lacche cinesi.
«Scarpa in fornace guarda tutto, è curioso e ha sete di sapere, vuole gestire la materia, cambiarne l’aspetto, i colori, le forme», scrive Barovier. «Il percorso avviene con discrezione accanto ai maestri vetrai che hanno l’esperienza, conoscono i trucchi di un antico mestiere radicato nella tradizione tramandata da maestro a maestro. Ma lui stesso si fa maestro: avvia lunghe conversazioni con gli artigiani, specialmente con i maestri Ferdinando Toso detto Fei e Arturo Biasutto detto Boboli, con cui stabilisce un rapporto privilegiato, stimola la ricerca, apre la strada verso proposte inattese».
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