Sculture indossabili in Rete: 3 artiste che fanno della loro arte un abito

di - 29 Ottobre 2020

Alice Hualice, Paola Idrontino e Venera Kazarova creano sculture indossabili evocate dalle più varie ispirazioni: rituali personali e folkloristici, cambiamento climatico e materiali inaspettati.

Alice Hualice

L’artista russa Alisa Gorshenina, in arte Alice Hualice, nasce a Yakshina e cresce a Izhny Tagil, piccola cittadina industriale tra le montagne russe, dove tuttora vive e lavora.

Nel 2014 apre un profilo Instagram che presto diventa la sua galleria personale, in cui racconta la connessione inestricabile tra il suo corpo e ciò che crea, e dove ad oggi viene seguita da più di 30mila persone. Durante l’intervista precisa: “Considero Instagram la mia galleria personale poiché grazie ad esso risulto accessibile allo spettatore, rendendo più semplice comprendere il mio lavoro. Infatti qui non espongo solo le mie opere terminate, ma anche il processo di creazione delle stesse, così come gli avvenimenti che mi hanno portato a idearle. Questo procedimento permette al pubblico di non percepirmi come un mistero, bensì come un soggetto comune, che si dedica non solo all’arte, ma anche alla vita umana”.

Artista a tutto tondo che lavora con molteplici mezzi e tecniche. “Penso che al momento tutte le aree della mia pratica artistica si siano dissolte per unirsi in un qualcosa di unico. Disegno, dipingo e cucio sculture, costumi, maschere, realizzo ceramiche, videoarte, faccio animazione e ho intenzione di realizzare un film, ciò nonostante tutto esiste in costante connessione”, spiega.

Alice Hualice sembra trasformare se stessa in strumento per condividere la sua arte, creando opere autobiografiche che interagiscono fisicamente con il corpo e ne esaltano la fragilità: “Il tema anatomico nella mia pratica artistica è importante, e ha origine anche nei sentimenti personali derivanti dal mio stesso corpo, che studio costantemente”. In particolare, “le maschere e alcuni costumi sono elementi inalienabili da me, attraverso i quali esprimo il mio mondo interiore”.

Self-art è come lei stessa descrive la sua produzione, indossa il suo lavoro e appare nelle sue immagini: “Il fatto di mostrare le mie opere attraverso me stessa è diventato una specie di rituale, ho una relazione molto stretta con i miei artefatti, ed è ciò che voglio mostrare al pubblico: l’impossibilità di separare la creatrice, dalla creazione”. Entrare nel mondo dell’artista è infatti un viaggio alla scoperta dei rituali della sua vita quotidiana, inevitabilmente intrecciati al suo mondo interiore, un viaggio che ha una destinazione surreale e, permettetemi, estremamente pura.

“Penso che nella mia arte tutto sia mescolato, ma in un modo o nell’altro, ogni elemento è collegato a me e alla mia vita. E lo è sempre stato; solo parlando di me stessa posso rimanere il più onesta possibile”.

Paola Idrontino

Italiana di origine e catalana di adozione, Paola Idrontino è un’artista visiva multidisciplinare che, oltre alla fotografia, si dedica alla creazione e all’ideazione di costumi e design tessili. Durante l’intervista ci racconta da dove provengono le ispirazioni che guidano il suo lavoro: “I tessuti presenti in natura, il mondo marino, l’abbigliamento dell’era elisabettiana, il mondo delle creature grottesche e ultraterrene sono solo alcune delle mie ispirazioni, oltre alle tradizionali maschere antiche balinesi, africane, nepalesi, veneziane e messicane”.

Anche per lei i social media sono un mezzo fondamentale per entrare in contatto con il pubblico, ma soprattutto per ridurre il divario sempre più ampio con curatori e collezionisti: “Personalmente la presenza online mi ha aiutato a essere riconosciuta nel sistema, anche grazie alle connessioni ottenute dalle piattaforme che sponsorizzano il lavoro di diversi artisti. Inoltre grazie alla visibilità offerta dai social media ho avuto l’opportunità di essere coinvolta in alcune mostre e collaborazioni, nonché di ricevere importanti commissioni”.

Da sempre la produzione di Idrontino è incentrata sulla creazione di costumi – completi di maschere e copricapi – che negli anni si sono trasformati in mezzi per coinvolgere il pubblico nella storia degli oceani e della vita che li anima, sempre più in pericolo a causa del riscaldamento globale. Quest’ultimo è un tema fondamentale nella sua produzione e a cui è ispirata la serie di costumi dedicata alla barriera corallina, sbiadita a causa del cambiamento climatico.

Del suo interesse per le sculture indossabili dice anche: “Per secoli le maschere sono state utilizzate in rituali appartenenti a varie culture, per rappresentare e connettersi agli spiriti superiori. Si ritiene che chi indossa questi costumi sia in grado di comunicare con l’essere simboleggiato da essi. Oggi il fascino moderno che deriva dall’indossare una maschera è molto diverso: da una parte l’impellente desiderio interiore di nascondere il proprio vero io, e dall’altra invece il desiderio opposto di dare vita ad esso. Entrambi sono aspetti  che trovo interessanti”.

Visibile nei suoi accessori e sculture tessili è la spontanea passione per la narrazione, che esplora nuovi modi di evidenziare e quasi drammatizzare la silhouette naturale del corpo, attraverso complessi arrangiamenti tessili, i quali manipolano le proprietà delle fibre e dei materiali inaspettatamente utilizzati, sia nuovi che riciclati.

“A mio parere lo storytelling inizia indossando una “maschera”, reale o invisibile che sia, che agisce come un filtro tra i mondi”

Venera Kazarova

L’artista armena Venera Kazarova, ora residente in Russia, costumista e fashion designer, crea abiti per il teatro e coreografie contemporanee. L’ideazione e la creazione di maschere è stata fin da subito una scelta spontanea, dettata dalla sua esperienza nel settore teatrale: “Quando realizzo i personaggi e i loro costumi, mi piace farlo in maniera completa, ricreando anche i lineamenti del viso”, una scelta che poi ammette essere diventata prettamente estetica e non-funzionale.

Durante l’intervista racconta come nel lavoro ama combinare la sua passione per la carta e per i tessuti con elementi quotidiani più inusuali, come cibo e arredi per la casa. La carta – un amore di lungo corso – l’ha accompagnata durante tutta la sua produzione artistica, nonostante ogni materiale per Venera Kazarova abbia un valore simbolico, la carta rimane quello prediletto:  “Per me rappresenta fragilità e purezza”, dice.

L’artista spiega inoltre il motivo per cui spesso nelle sue opere sono presenti alimenti quali pane, carne e pesce: “Il pane è un riferimento a Salvador Dalì, grazie al quale è nato il mio interesse per l’arte. Carne e pesce raffigurano ciò che un tempo era in vita ed è stato ucciso. A mio parere questi rappresentano al meglio l’ordinarietà della violenza e del male, tema che recentemente ha destato il mio particolare interesse”.

Notevoli nella sua produzione sono le similitudini con la corrente surrealista e a questo proposito racconta: “Magritte, e numerosi altri artisti appartenenti alla sua generazione, sono da sempre una forte fonte di ispirazione per me, ma anche la moda giapponese – in particolare la stilista Rei Kawakubo –  così come le maschere africane, sono elementi da cui attingo”.

Anche Venera Kazarova utilizza assiduamente Instagram, soprattutto per la particolarità del suo format, che le permette di condividere in modo spontaneo foto al lavoro, e selfie indossando le sue opere, ma a riguardo pone anche una problematica: “Indubbiamente la rete mi aiuta a condividere la mia arte, ma la complessità sta nel continuare a esistere anche al di fuori di essa”.

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