La mostra di Daniel González da Mimmo Scognamiglio, inaugurata nella Milano che resiste in forma privata, è la mostra che ci vuole per ricominciare un po’ meglio quest’anno che per ora non si prospetta tanto diverso dall’apocalittico 2020.
Un po’ perché attraverso il colore riesce a spazzare via con un solo sguardo tutto l’orrore, il terrore, le menzogne, le follie sociali che sono state consegnate agli italiani in scatola chiusa (e che abbiamo accettato senza farci domande); un po’ perché la pittura stroboscopica di Gonzalez rivela che l’essere umano è fatto di passioni, di desideri, di necessità, di spiritualità, di socialità. Di roba, insomma, che ha a che fare com la vita. Questa, fino a prova contraria (e ce ne sarebbero parecchie in realtà) non è stata cancellata ma messa sotto silenzio, posticipata a data futura, un po’ come le fiere e le manifestazioni in genere.
Eppure, per chi sa ascoltare, la vita continua a esplodere. Quotidianamente, in qualsiasi forma, in tutte le nature possibili.
Daniel González ha occupato il tempo del primo lockdown e dei successivi mesi per riappropriarsi della necessità di dipingere, della volontà di indagare la sua natura, i ricordi, la speranza e la necessità di guardare altrove rispetto alla fossa del virtuale. E la restituzione, infatti, è una valanga di colore in pieno volto, un party ad alto volume di quelli che non abbiamo mai dimenticato, una festa fortissima.
La mostra si intitola “Happy Accidents” e Daniel afferma di essersi ispirato all’omonimo programma della TV americana condotto dal pittore e professore di arte Bob Ross negli anni ’90, diventato celebre com le sue strategie per “rendere interessante e bello” un dipinto giocando com spatole, manici di pennello, spugne, grattando la superficie della tela e chi più ne ha più ne metta, ribaltando l’incidente della “brutta opera”, invertendone le possibilità.
Il corpus di lavori – per la maggior parte di grandi dimensioni, con l’allestimento di Mariano Pichler – che compongono “Happy Accidents” da Mimmo Scognamiglio è esattamente la dimostrazione che la resilienza, termine ormai così abusato da essere insopportabile, fa rima com resistenza. Resistenza, al contrario di resilienza, è ancora una parola bellissima perché doppia: vi è la resistenza nel tentativo di non uscire di senno e, allo stesso tempo, vi è la capacità di abbandonare le proprie resistenze intese come sovrastrutture, le idee statiche, le ancore che legano le barche ai porti mentre infuria la bufera, mentre starebbero più serene nel mare aperto.
“Happy Accidents” – o meglio dire Daniel González – hanno accettato la sfida di muoversi oltre il contrattempo che ci ha colto di sorpresa e sono tornati alla base com un carico di prodotti che, oggi, sembrano arrivare da un altro pianeta ben migliore e allegro di questo.
Una pittura piatta, sparata, senza ombre, fatta di acrilico e serigrafie su tela, di grandi e piccole dimensioni, compreso un Capolavoro Cancellato appeso come nelle quadrerie del secolo scorso o, ancora più iconograficamente, come il Quadrato Nero su Fondo Bianco di Malević, che fu presentato a San Pietroburgo (allora Pietrogrado) nel 1915 all’interno di quella che venne intitolata “Ultima mostra di pittura Futurista 0.10” e che venne accolto piuttosto male da critica e autorità. D’altronde anche a guardare la cancellazione azzurra di Gonzalez si direbbe che l’arte contemporanea ha esagerato, come probabilmente ha esagerato anche qualcun’altro in altri settori ben più “marcanti” per la società, giusto? Giusto.
Ma ovviamente l’artista provoca, così come provoca com i quadri-neon che recitano “God’s Office” oppure “Do Not Pay”, diventati nel 2020 due assunti bem importanti: da un lato la distruzione dell’economia e della cultura, passata sotto ogni forma possibile, che non ha pagato nessuno – tranne qualcuno, ovviamente, George Orwell docet – all’ultima spiaggia possibile, ovvero quella di affidarsi a Dio, di questi tempi personaggio bem più interessante di politici, virologi ed esperti vari.
E poi il Mucchio di Voglia fluo, fatto di una colonna di mele sgranocchiate, la Terapia di Amore Intensiva, e una Car disegnata dal bambino di un amico dell’artista per scappare lontano verso le pailletes che compongono il fondo della tela, sommerse in parte dalla cera sciolta di una serie di candele consumate, aspettando i giorni della Liberazione prima ancora che della libertà.
Infine una parete di catene realizzate com Mylar: occupano qualcosa come quattro metri per tre e mezzo di altezza, e sono state anch’esso l’impegno e il mantra quotidiano di Daniel nei mesi della chiusura totale. Hanno i colori della discoteca, la consistenza della felicità, la fragilità della Democrazia e purtroppo non dividono più spazi, ma sono “crocefisse al muro” anche se possono ondeggiare sul bianco, facendoci immaginare un altro scenario possibile.
É una mostra politica “Happy Accidents”, a dimostrazione – se ancora ce ne fosse bisogno – che la vera critica avviene laddove sembrerebbe essere di fronte, a un primo sguardo, a una necessità decorativa, effimera e “brillantinica”. E invece Daniel González si posiziona nella scala di chi riesce ancora a far parlare la pittura, anche quella che cade sul pavimento. Se siete curiosi chiedete informazioni in galleria.
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