29 gennaio 2025

Si è aperta la seconda edizione della Biennale di Arte Islamica. Il racconto da Gedda

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And all that is in between: con questo tema la biennale islamica riunisce a sé una varietà di manufatti antichi e interventi di artisti internazionali, nel segno del dialogo tra le culture

II Biennale di Arte Islamica, 2025 (ph Manuela De Leonardis)

Parole scritte, dette, sussurrate, incastonate nella salmodia accompagnano il visitatore in un viaggio stimolante che attraversa gli aspetti intangibili della fede, tema della II edizione della Biennale di Arte Islamica di Gedda, fino al 25 maggio 2025). Un versetto ricorrente del Corano – And all that is in between (E tutto ciò che c’è nel mezzo) – è il titolo della manifestazione d’arte organizzata dalla Diriyah Biennale Art Foundation che si espande in sette padiglioni e un vasto spazio esterno tra le armoniose architetture del Western Hajj Terminal dell’aeroporto King Abdulaziz di Gedda, firmate dallo studio SOM – Skidmore, Owings & Merrill. Un luogo fisico e simbolico di accoglienza per i milioni di pellegrini che ogni anno giungono da tutto il mondo per l’Hajj e l’Umrah nelle città sante di Mecca e Medina.

II Biennale di Arte Islamica, 2025 (ph Manuela De Leonardis)

La Biennale di Arte Islamica di Gedda

Per i curatori di questa biennale unica al mondo (la prima edizione è stata visitata da oltre 600mila persone) Julian Raby, Amin Jaffer, Abdul Rahman Azzam e per la sezione di arte contemporanea l’artista saudita Muhannad Shono (ha rappresentato l’Arabia Saudita alla Biennale di Venezia 2022) – affiancati da Masa Al-Kutoubi, Rizwan Ahmad, Heather Ecker, William Robinson, Marika Sardar, Joanna Chevalier, Amina Diab, Sarah Al Abdali, Bilal Badat, Faye Behbehani, Bill Greenwood e Wen Wen – l’obiettivo è stato chiaro fin dai primi step del progetto: indirizzare lo sguardo di un pubblico eterogeneo per età, formazione e provenienza verso l’osservazione, la percezione e l’interpretazione della creazione nei suoi molteplici aspetti.

II Biennale di Arte Islamica, 2025, i curatori Muhannad ShonoJulian Raby, Amin Jaffer, Abdul Rahman Azzam (ph Manuela De Leonardis)

«Percepire, pensare, fare», afferma Julian Raby soffermandosi su alcuni temi centrali di quest’edizione che guarda da una parte al processo intellettuale del pensiero e della conoscenza dell’universo attraverso numeri, calcoli, astronomia, navigazione e dall’altra alla sublimazione della componente estetica come riflesso dell’azione della creazione divina.

Altrettanto rilevante è la questione del dialogo e dello scambio attraverso la civilizzazione tra il mondo islamico e le altre culture con l’esposizione di pezzi antichi di straordinaria fattura che attraverso lo sguardo dei collezionisti riflettono l’ampio respiro dell’arte islamica nel passaggio dei secoli.

Le sezioni della Biennale di Arte Islamica

Percorsi che s’intrecciano soprattutto nelle sezioni AlMadar (L’orbita) e AlMuqtani (Omaggio) con una quantità strabiliante di manufatti di epoche diverse, realizzati con tecniche e materiali differenti: dagli astrolabi ai manoscritti di astronomia e altre discipline, dai gioielli alle maioliche, dai tessuti alle marionette del teatro delle ombre, dal vetro soffiato al legno usato per gli intricati pannelli dei roshan, finestre e balconi delle case tradizionali dell’Hijaz molto simili alle mashrabiya egiziane.

II Biennale di Arte Islamica, 2025, opera di Anhar Salem (ph Manuela De Leonardis)

Pezzi provenienti da una trentina di istituzioni pubbliche internazionali, tra cui Ahmed Baba Institute di Timbuctù, Abu Rayhan Beruni Institute di Studi Orientali – Accademia di Scienze dell’Uzbekistan, Museo di Arti Islamiche del Cairo, National Museum del Sultanato dell’Oman, Biblioteca Nazionale del Qatar, King Abdulaziz Center for World Culture – Ithra di Dhahran, Khalidi Library di Gerusalemme, oltre che Louvre, V&A, Bodleian Libraries, Museo de la Alhambra, Benaki Museum.

Tra i prestatori anche la Fondazione Bruschettini di Arte Islamica e Asiatica, fondata dall’industriale genovese Alessandro Bruschettini, grande studioso e collezionista con una selezione di pezzi focalizzati sulla figura di Marco Polo in rapporto alla corte del Gran Khan Kubila: particolarmente degni di nota i velluti e l’abito di seta con fili d’oro proveniente dall’Iran o dall’Asia Centrale del XIII secolo. Tra le rarità la mappa del Nilo, conservata presso la Biblioteca Apostolica Vaticana e restaurata con fondi sauditi, attribuita al viaggiatore ottomano Evliya Çelebi che si sviluppa in oltre cinque metri di lunghezza.

19 Islamic Arts Biennale 2025, Photo by Marco Cappelletti, courtesy of the Diriyah Biennale Foundation

Memorabilia

La sezione AlMuqtani (Omaggio) è dedicata, invece, a due eccezionali collezioni private: Al Thani Collection da cui provengono, tra i tesori più preziosi, smeraldi e rubini incisi e la coppa di Giada a forma di testa di stambecco con occhi di rubini  e la Furusiyya Art Foundation, creata da Rifaat Sheikh El Ard, con le armature mamelucche e l’acquamanile a forma di pavone, simbolico uccello del paradiso, tra i raffinatissimi esemplari in cui il dettaglio è parte di un tutto dove estetica e funzionalità sono in perfetta simbiosi. L’intero percorso espositivo di And all that is in between, nell’allestimento dello studio OMA, ha inizio con la contemplazione del divino – nella sezione AlBidayah (L’inizio) – in cui è esposta per la prima volta l’intera Kiswa, il tessuto di broccato di seta nera con versetti del Corano ricamati con fili d’oro che lo scorso anno copriva la Kaaba.

Si procede, poi, attraverso AlMadar e AlMuqtani con AlMidhallah (Il baldacchino) e AlMusalla per terminare con i due padiglioni AlMukarramah (L’Onorato) e AlMunawwarah (L’Illuminato) dedicati a Mecca e Medina che rappresentano una chiave d’accesso privilegiata all’interno della ritualità e spiritualità della religione islamica.

II Biennale di Arte Islamica, 2025, opera vincitrice del AlMusalla Prize 2024 (ph Manuela De Leonardis)

Il pellegrinaggio in un documentario

Tra passato e contemporaneità si collocano anche The Great Mecca Feast, il primo documentario sul pellegrinaggio dell’hajj dall’Indonesia a Mecca, girato nel 1928 dall’olandese George Krugers e l’iconica opera Magnetism (2009) del noto artista saudita Ahmed Mater.

II Biennale di Arte Islamica, 2025, Ahmed Mater, Magnetism (ph Manuela De Leonardis)

«Proprio nella singolare tensione tra Cielo e Terra di cui la Dimora di Dio rappresenta a un tempo il teatro, il testimone e il Soggetto, le parole e le cose che vi si celano e vi si scambiano trovano una loro proporzione, una prospettiva, un significato», scrive Slimane Zeghidour in La vita quotidiana alla Mecca da Maometto ai giorni nostri (1990) – «A tal punto l’elemento religioso permea la sfera profana, il presente tradisce il passato, il fattore locale reca testimonianza dell’universale. La Ka’ba, il “cubo”, cassa di risonanza dell’Islam».

19 Islamic Arts Biennale 2025, Photo by Marco Cappelletti, courtesy of the Diriyah Biennale Foundation

La dualità del bianco e del nero, esemplificato dal cubo nero della Kaaba e il bianco dell’abito dei pellegrini (iḥram) è proprio il filo conduttore della prima galleria AlBidayah, in cui artiste e artisti sauditi e internazionali affrontano il tema della sacralità anche nell’ambito della pratica della contemplazione del sacro lasciando affiorare una tensione subliminare: Nour Jaouda, Hayat Osamah, Saeed Gebaan, Abdelkader Benchamma, Asif Khan e Arcangelo Sassolino, unico artista italiano. Sassolino ha realizzato il site-specific Memory of Becoming (tra le 29 opere commissionate dalla Diriyah Biennale Foundation) ricorrendo alla forma archetipica di un cerchio di otto metri in movimento, rivestito di una massa di olio industriale.

II Biennale di Arte Islamica, 2025, The Great Mecca Feast (ph Manuela De Leonardis)

Arcangelo Sassolino unico artista italiano alla biennale islamica

«In qualche modo non c’è la memoria senza qualcosa che si perde, si trasforma» – afferma l’artista – «Non riesco più a concepire la scultura come qualcosa di fisso, solido. Ho bisogno che dentro la materia sia avviato un tempo, come in questo disco che è costretto a ruotare sempre, lentamente, inesorabilmente altrimenti la massa d’olio che contiene collassa. Ho scelto questo materiale, un olio industriale, un po’ perché è legato anche alla storia dell’Arabia Saudita ed è fondamentale per questo paese, ma soprattutto perché ritengo che un fluido sia un materiale che più di tutti rappresenti il tempo. Quello che vediamo sulla superficie continua a mutare, a diventare altro – non è mai uguale a se stesso – lascia delle tracce, delle memorie di quello che è stato ma che sono già superate da quello che verrà».

II Biennale di Arte Islamica, 2025, Arcangelo Sassolino (ph Manuela De Leonardis)

La forma circolare torna anche in altre opere della Biennale, in particolare in Lorsqu’on laissait encore passer le vent di Louis Guillaume e nell’installazione interattiva An Omniscience: The Sanctuary di Hylozoic/Desires (Himali Singh Soin and David Soin Tappeser), tra i lavori esposti nello spazio outdoor che si sviluppa intorno al tema del giardino islamico in una chiave concettuale di luogo contemplativo e rigenerativo. Tra gli altri site-specific anche l’opera di Joana Hadjithomas e Khalil Joreige, Takashi Kuribayashi, Nasser Alzayani, Anhar Salem.

II Biennale di Arte Islamica, 2025, opera di Asim Waqif (ph Manuela De Leonardis)

La natura ha spesso un ruolo primario: dal basilico impiegato da Fatma Abdulhadi (I wish you in heaven) al bambù di Asim Waqif (Min Rukam), alle rose nere metalliche di Raya Kassisieh (Heavy Petals), fino alle palme da dattero locali dai cui scarti lo studio di architettura EAST, in collaborazione con l’artista Rayyane Tabet e gli ingegneri AKT, ha realizzato il progetto vincitore di AlMusalla Prize 2024, prima edizione del concorso internazionale di architettura lanciato dalla Diriyah Biennale Art Foundation.

II Biennale di Arte Islamica, 2025, opera di Fatma Abdulhadi (I wish you in heaven) (ph Manuela De Leonardis)

Città sacre

Infine, in questo giardino nel deserto non passa inosservata l’opera Between Sacred Cities (Zubaydah Trail) dell’artista pakistano Imran Qureshi, che nello spazio ottagonale tra i due padiglioni dedicati a Mecca e Medina ha ipotizzato un’idea di giardino come luogo di aggregazione della comunità. Nella forma s’ispira al tradizionale giardino indo-persiano (charbagh) e nella struttura al charpai, il tipico letto pakistano di corda intrecciata: la cornice rossa e blu delimita la forma geometrica delle strisce verdi, proprio come nelle miniature.

II Biennale di Arte Islamica, 2025, opera di Imran Qureshi (ph Manuela De Leonardis)

Un luogo di sosta nel lungo viaggio dei pellegrini, per Qureshi, fruibile dai visitatori a piedi scalzi. Passo dopo passo, sull’intreccio quasi impercettibilmente elastico, attenti a trovare il giusto equilibrio ci si ritrova a godere di questo momento di pura leggerezza condivisa.

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