Si è inaugurato il 29 maggio a Villa Rospigliosi a Prato “It’s time” di Serena Fineschi, a cura di Riccardo Farinelli. L’artista è stata invitata dal collezionista Claudio Seghi Rospigliosi a produrre un progetto nel contesto architettonico e naturalistico della Villa nel suo personale modo di leggere questo spazio e di condividerlo coi visitatori.
Ciò che colpisce di “It’s time” è la complessità e il reticolo di letture che innesca nel visitatore. “It’s time” non è una mostra, “è come un luna park personale”- dice Fineschi- in cui ci si può divertire, ma anche sentirsi profondamente tristi e malinconici.
I cinque lavori esposti possono vivere singolarmente perché strettamente legati allo spazio per cui sono stati pensati, spazio che diviene un vero e proprio innesco entrando in una relazione osmotica.
Tutte le opere rapportate tra loro possono poi aprire tante porte diverse: un paso – doble, ragnatele che generano incroci di senso differenti…Tutti i lavori hanno la caratteristica di essere “fuori contesto” e sono fortemente provocatori. Si sa, la provocazione accende la riflessione.
Un’auto dorata rivestita di di chewingum masticate nel mezzo del parco ordinato della monumentale villa settecentesca (Popular Car /About Decadence); una massa di maleodoranti elastici nella rimessa a fianco del parco di erba vera e profumata (Take your Choice/Landscape); una meridiana che indica, con una fusione del dito dell’artista, un tempo interiore e non un tempo reale (It’s Time to come Clean); un inno alla vita in un neon rosa “sparato” che accentua il sentimento di amore/disprezzo (Viva questo mondo di merda/Pink) ; i lati oscuri di “agiografia alternativa”, dannate icone “salvatrici” nascoste nella limonaia (The Helpers).
Ma non finisce qui: il progetto di Fineschi innesta un dialogo tra l’area poderosa e architettonicamente monumentale nel parco principale della villa, consumata da false icone e feticci in cui siamo immersi e il territorio segreto e apparentemente vergine del giardino, luogo paradisiaco, dall’altra parte del piccolo cancello in ferro, in cui il tempo sembra arrestarsi provocando un cambio di registro visivo e temporale.
Fineschi mescola le carte, disegna riconducendo le sue scritture automatiche su carta con penna bic sulle volumetrie accidentali degli elastici sul pavimento della rimessa e fa pittura puntinista con cicche masticate sul fondo dorato riferibile ai fondi oro trecenteschi della panda super pop. E molto altro…
Come dichiara l’artista: “Questo progetto non a caso parte idealmente dal mio indice realizzato in fusione i bronzo perché tutto il percorso parla del ritmo del tempo che, da tempo accelerato di ingordo consumo, deve transitare in un tempo squisitamente individuale, personale. Un tempo lento che aiuta a ritrovare una consapevolezza in se stessi e nelle relazioni con il mondo”.
Il sentore di questa necessità era già evidente nella mostra realizzata nel 2018 a Bruxelles: “After the party”: la festa è finita, alias non c’è più niente da consumare e, per contrapposizione, nella mostra “Vogliamo parlare d’amore?” del 2020 in cui l’intimità della relazione e i sentimenti associati assumono un ruolo di primo piano: il bisogno di un cambio di registro.
Nel fare questo, Fineschi ribadisce che “reimparare a rapportarsi con il proprio corpo e ascoltarsi in questo processo è fondamentale: gli odori, la luce, il peso dei piedi sul terreno camminando sulla sua pelle. Il corpo ci consente anche di congiungerci con la nostra dimensione spirituale. Non ignorare chi ci vive accanto, non perdere il senso della presenza, ritrovare un proprio centro in relazione alla Natura… siamo esseri naturali e sociali”.
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