Una pagina estratta da un testo di lingua curda, quella dedicata alla X di Xani, “casa”, è ingigantita ed elevata a opera d’arte: un arazzo decorato con segni grafici neri stagliati su un fondo beige. Dietro il gesto di traslazione, dal campo educativo alla galleria d’arte, si cela, come un messaggio nascosto, un processo arduo e sofferto, che incrocia le trame della geopolitica. Si tratta, infatti, di un testo per l’apprendimento di una lingua praticata in una regione, il Kurdistan, non riconosciuta formalmente e per questo censurata. Il suo autore, Mehmet Emîn Bozarslan, fu addirittura arrestato, con l’accusa di inneggiare al separatismo, reo di aver diffuso con Alfabe (1968) la lingua curda e, con essa, la cultura di questa etnia.
Il Kurdistan è un’area storicamente paesaggio di sanguinose divisioni, un territorio conteso e frammentato, immolato sull’altare di molte nazioni – Turchia, Iran, Iraq, Siria – che tentano di scindere una tradizione multiforme che si manifesta attraverso alcuni elementi emblematici, primo fra tutti la lingua comune, sebbene internamente influenzata dalle diverse identità che compongono la vasta Regione.
Per l’artista Shadi Harouni, presentata dalla Galleria Tiziana di Caro con la personale “The Owl’s Made a Nest in the Ruins of the Heart”, il discorso attorno alla cultura d’origine passa, dunque, per gli elementi primari della comunicazione e attraversa la rivendicazione di una idea di casa intesa quale punto nevralgico della vita comunitaria, modello base con il quale si articola la società. Il concetto di casa – vissuta, abbandonata e profanata, come si evince dalle parole della voce narrante nel film che presta il titolo all’intera mostra – convive in diverse forme. L’abitazione diventa terreno di scontro ideologico e politico, strumento di resistenza attraverso il quale ribadire l’appartenenza a un’etnia. Di sottofondo, l’artista intende alludere al problema abitativo che, in modalità assai differenti, rappresenta il nodo di tutte le crisi, cartina di tornasole di piani di sviluppo falliti, di progetti mancati e speranze tradite.
Fa da contraltare l’ultima sala, con due sculture in ottone. I due box sembrano riprodurre il sistema “casa”, il luogo raccolto eppure aperto all’esterno. Unnamed Dwelling I: Bread, Housing, Freedom e Unnamed Dwelling II: A for Fire rappresentano, così, piccoli dispositivi architettonici entro i quali si realizza lo slogan “Pane, Abitazioni e Libertà”, riprodotto anche in persiano sulla struttura in ottone.
Tutto il lavoro di Harouni, artista nata nel 1985 in Iran e che da anni vive e lavora tra Teheran e New York, dove insegna presso la NY University, è rivolto a quelle storie marginali e di dissenso che raramente trovano rappresentazione. Video, interventi site specific, sculture, sono il viatico attraverso il quale descrivere e rivelare il suo territorio d’origine, materia prima della ricerca artistica, per sondarne tensioni, segni e prospettive, con un lessico visivo denso ma privo di retorica.
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