-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Siamo lo spazio che abitiamo: Antony Gormley al Musée Rodin di Parigi
Arte contemporanea
Punti discreti, estreme discontinuità e conformazioni spaziali. Nella riflessione di Antony Gormley, questi elementi si intrecciano inevitabilmente nella profonda riflessione sul ruolo della scultura nella contemporaneità. L’esposizione Critical Mass permea completamente gli spazi del Musée Rodin di Parigi, dialogando direttamente con le opere di Rodin, alterando gli spazi delle sale, inserendo cortocircuiti di significato.
Gormley riprende il concetto di massa critica che, nella fisica nucleare, rappresenta la massa necessaria allo sviluppo della fissione, per concentrare la visione dello spettatore sul momento in cui la materia è estremamente instabile. La criticità della materia è la criticità stessa del corpo, in perenne tensione tra la sua scomparsa e la sua fisicità. Per l’artista, la materialità degli oggetti – in primis del corpo – è qualcosa da cui gli individui non possono prescindere: dipendiamo dalla fisicità degli oggetti, soggetti ad alterazioni nella loro posizione, contesto e nella percezione del pericolo.
Nello spazio dedicato alle esposizioni temporanee, Gormley inserisce Critical Mass II (1995), un’installazione monumentale con 60 sculture a grandezza naturale. L’artista ha isolato 12 posizioni fondamentali del corpo per riproporle in cinque configurazioni differenti nello spazio. Un’architettura instabile, in cui pesanti corpi di bronzo sono appesi al soffitto e giacciono sul pavimento, in questa alternanza costante tra vuoto e pieno, alto e basso, distante e vicino.
Negli spazi esterni della corte d’onore, Critical Mass II – The Line, che accompagna visivamente lo spettatore verso la Porta dell’Inferno (1880-1917) di Rodin attraverso 12 sculture che estendono progressivamente il corpo, da seduto e rannicchiato alla posizione eretta.
Negli spazi della galleria, le sculture si affiancano alle opere di Rodin. Direttamente accostate alle opere del celebre scultore francese, sembrano riattualizzarne l’energia, la Kunstwollen, nella frammentarietà estrema del contemporaneo. Opere come Compact (2017) di Gormley sono affiancate a Danaid (1889) di Rodin: la danaide che si fonde con la terra – marmo e corpo non hanno nessun confine – si intreccia con la precisione geometrica di una nuova anatomia intima.
L’artista rilegge la vasta opera di Rodin generando molteplici discontinuità visive. Si inserisce tra le sculture, rompe l’allestimento delle opere per ingenerare nuove riflessioni e mutare la percezione dello spettatore. L’intuizione di Gormley costruisce una prospettiva differente sugli oggetti e sul loro ruolo: privano altri oggetti del loro spazio; creano ambienti in configurazioni potenzialmente infinite.
Ogni esposizione di Critical Mass, come quella al Museo Madre di Napoli tra il 2006 ed il 2007, ha permesso la possibilità di essere identificata con il luogo per via della capacità dell’artista di creare associazioni molteplici tra le sculture per ripensare la conformazione stessa dello spazio in cui vengono inserite. In questo caso, è chiaro lo studio profondo dell’artista sulla Porta dell’inferno di Rodin: la composizione è confusa, il ritmo è concitato. Posizioni eterogenee di individui endomorfi riprendono l’organizzazione delle figure e la loro topografia all’interno dell’opera di Rodin. Costruiscono nuovi corpi che mutano nel loro rapporto con lo spazio: creature senza identità, costrette in un corpo che appare parcellizzato o compatto, atomizzato nelle sue forme elementari. Mutuando i riferimenti alla fisica, queste sculture rappresentano la necessità, dell’individuo, di insistere ed esistere nello spazio in quanto espressione dello zeitgeist.
Nella mostra, visitabile fino al 3 marzo 2024, l’artista inglese invade lo spazio per mostrarci quanto la pratica della scultura sia necessaria. Permette di riflettere sul ruolo del corpo, sul movimento nello spazio, sulle relazioni che gli individui costruiscono e di ripensare il ruolo dell’essere umano.
Gormley non si erge a paladino di un progresso effimero ma, per riprendere L’incidente del futuro di Paul Virilio (Raffaello Cortina Editore, 2002), nella cognizione della possibile spoliazione futura del mondo, insiste per ristabilire una gerarchia della realtà, privata della sua naturalezza in favore di un nuovo paradigma artificiale. Come nella massima di Eraclito, per cui «Nessun uomo può bagnarsi nello stesso fiume per due volte, perché né l’uomo né le acque del fiume saranno gli stessi», tutta muta inevitabilmente trascinato dal tempo. Persino le sculture, nella loro forma scomposta, appaiono impercettibilmente soggette a un perenne movimento spasmodico.