Fino al 30 marzo, la galleria Gagosian di Roma ospita Azzurro, una personale dedicata a Simon Hantaï (1922-2008) – artista ungherese naturalizzato francese – a cura di Anne Baldassari. La monografica intende approfondire il legame di Hantaï con l’Italia e l’influenza che la tradizione pittorica italiana ha avuto su di lui, evidenziando allo stesso tempo il ricorrere del blu nella sua pratica artistica.
Nato a Bia (Ungheria), Hantaï si trasferisce a Parigi nel 1948 unendosi al gruppo dei Surrealisti di André Breton dal quale, tuttavia, prenderà le distanze nel 1955. Dopo questa parentesi, comincia il suo percorso verso l’astrazione attraverso varie fasi che lo porteranno, infine, ad approdare alla tecnica per cui ancora oggi è conosciuto in tutto il mondo: il pliage. Il pliage consiste nel piegare o annodare la tela secondo forme predeterminate o casuali, dipingendo le parti esposte, per poi aprirla, rivelando un’alternanza tra sfondo e parti pigmentate. Pertanto, l’artista non può prevedere l’esito della pittura prima che venga dispiegata.
Dopo aver rappresentato la Francia alla Biennale di Venezia del 1982, Hantaï si ritira dalla vita pubblica fino al 1998. Da quell’anno in poi, l’artista si dedicherà a una serie di serigrafie, pur continuando a lavorare perlopiù in isolamento fino alla sua morte. Hantaï ebbe un rapporto molto stretto con la capitale e in generale con l’Italia: ecco spiegato il motivo della scelta di ospitare la mostra nella sede romana della galleria. Infatti, l’artista si recò a Roma per la prima volta nel ’42 con i compagni dell’Accademia di Belle Arti di Budapest, per poi proseguire a Firenze e a Siena. Nel 1948, in occasione di un viaggio a piedi da Ravenna a Roma, visitò la 24ma Biennale di Venezia rimanendo colpito in particolare dalle opere di Max Ernst e Jackson Pollock. Il suo ultimo soggiorno in Italia risale al 1982. Durante questi viaggi egli ebbe modo di apprezzare i pittori italiani del proto e del primo Rinascimento, tra cui Giotto e Masaccio.
La prospettiva presenta 26 esemplari di pliages in ordine cronologico e accomunati da un colore specifico. Il percorso espositivo si apre con un tela del periodo giovanile intitolata Peinture (Petit Nu) del ‘49, in cui una figura emerge da uno sfondo turchese come in un affresco rinascimentale. Seguono Catamurons del ’64, costituita da molteplici strati di colore; Meun del ’67, in cui una forma astratta di colore blu lascia spazio alla libera interpretazione; Étude del ’69, in cui una tela piegata blu è interrotta da frammenti irregolari bianchi; infine, Blancs del ’74 in cui, invece, ampie campiture prive di colore si alternano a segmenti blu, verdi e neri.
Nella grande sala ovale della galleria, si trova il nucleo centrale della mostra costituito da un ricco corpus di dipinti blu, monumentali e sempre frutto di pliages, appartenenti alla serie Tabula (1972-76; 1980-82). Queste opere sono legate a ricordi d’infanzia dell’artista ed, in particolare, ai grembiuli della madre, i quali, muovendosi, davano vita a sequenze spontanee di colori brillanti. Per la produzione di tutti questi dipinti, Hantaï si è ispirato a Matisse, Cézanne, ma anche al Periodo Blu di Pablo Picasso (1901-04). E non è un caso che «Per Hantaï – scrive Baldassari – la stessa spiritualità pittorica lega il Periodo Blu alle pale d’altare e agli affreschi di Giotto, Masaccio, Piero della Francesca e Fra Angelico. Il colore era il punto di contatto». Inoltre, la curatrice racconta che «Dal 1960, avendo concettualizzato il pliage come metodo, l’associazione semantica tra il grembiule di sua madre, il colore blu e la piegatura diventò un elemento portante della pittura di Hantaï, il fulcro della su pratica artistica».
Invece, nell’ultima sala sono esposti i lavori last studio (1982-85), i quali presentano forme derivate dalla piegatura e dal dripping, eseguite mediante acrilici e acquarelli dalle tonalità equilibrate. Azzurro è accompagnata da un catalogo che comprende un saggio di Anne Baldassari.
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