Soltanto un anno fa, quando gran parte del genere umano era costretto dalla pandemia al chiuso della propria casa, si è verificato uno spettacolo insolito: altri esseri viventi hanno popolato quegli spazi momentaneamente disabitati. In una manciata di settimane l’intero pianeta ha respirato aria nuova, il canto degli uccelli è stato più vivo che mai, i delfini si sono avvicinati alle coste e gli animali selvatici hanno invaso ambienti urbani. Un evento straordinario vissuto collettivamente da remoto, attraverso il filtro di uno schermo. Per certi versi, quel senso di irrealtà e spaesamento vissuto in quel momento si ripropone nelle immagini fotografiche di Simona Ghizzoni presentate nella mostra “Quaderni di un mammifero”, presso la Maria Livia Brunelli Home Gallery di Ferrara. Il filo conduttore è l’immaginario dialogo con Antonio Ligabue, le cui opere sono esposte in contemporanea presso l’adiacente Palazzo dei Diamanti. I due artisti sono accomunati dalla terra natia, Reggio Emilia, e da una ricerca visiva incentrata sulla natura e sull’autoritratto: «Gli animali da sempre per me rappresentano uno specchio, uno sguardo muto che risponde al mio, interrogandomi sulle distanze che ci separano. Condivido con Ligabue l’urgenza di immergersi nella natura, ma la mia è una natura che non è mai realistica».
Difatti, nella serie Innaturale le immagini sembrano travolgere letteralmente lo spettatore per proiettarlo in suggestioni fiabesche, sempre sul filo tra reale e fantastico. La vorticante ruota di un pavone, dal movimento quasi futurista, appare come la manifestazione di un essere ultraterreno, così come le atmosfere del bosco del Sasseto, non a caso scelto dal regista Matteo Garrone per il suo film Il Racconto dei Racconti (2015). Il potere evocativo di tali immagini si mescola con elementi “fuori posto” in un sottile gioco percettivo, in cui panorami e animali si confondono con diorami e situazioni ricreate dall’uomo, operando un vero e proprio cortocircuito cognitivo. In tal senso, l’uso dell’inquadratura in Ghizzoni assume il carattere di una precisa scelta stilistica, decisiva nella costruzione delle opere e della loro duplice chiave di lettura.
Tale volontà si ravvisa anche nei suoi Autoritratti, in cui lo sguardo dell’autrice si rivolge verso un’indagine più intima, delineando una «punteggiatura», un sistema per «fissare la propria presenza nel mondo». In questo frangente, la rievocazione di atmosfere alienanti, sempre sul limite dell’immaginario, ricalcano il solco tracciato da autrici come Diane Arbus e Francesca Woodman. In mostra, la serie Autoritratti su Rosso presenta la trasfigurazione della figura umana in fattezze bestiali, descrivendo ancora una volta il complicato rapporto dell’Io con l’Altro: «Nella serie di Autoritratti su Rosso riprendo l’idea delle Metamorfosi di Ovidio, mi trasfiguro e divento io stessa natura, animale, cespuglio, lupo, sorpresa nel mezzo della metamorfosi». Anche in questo caso, la relazione con l’opera di Ligabue riemerge ma contestualizzata in chiave contemporanea, nella costruzione di un’artefatta essenza animale, in un tempo in cui la vita umana sembra sempre più lontana dal mondo naturale.
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