Sites: un giro tra le opere en plen air di Paris+

di - 25 Ottobre 2022

Mentre diverse Istituzioni pubbliche e fondazioni private presentano mostre di sicuro interesse – Munch (Orsay), FÜssli (Jacquemart André), Monet/Mitchell (Fondation Vuitton), Anri Sala (Bourse du Commerce), Penone (Pompidou), les Choses (Louvre), l’Arte Povera (Jeu de Paume) – si è aperta nella capitale francese la prima, attesissima edizione di Paris + Art Basel.
Organizzata pressoché negli stessi luoghi della storica FIAC, Paris + conta un numero maggiore di gallerie ospitate nel Grand Palais éphémère, centocinquantasei, e un’affluenza importante di collezionisti provenienti da tutto il mondo. Il tradizionale hors les Murs, con ingresso libero e opere presentate negli spazi pubblici, finanziate dalle gallerie, è stato sostituito dalla prima edizione di Sites. All’installazione sulla Place Vendôme, curata da Jérôme Sans, alle Tuileries e al Museo Delacroix, si aggiunge quest’anno la suggestiva Chapelle de l’Ecole des Beaux-Arts.
Venti artisti, fra i quali dieci donne, provenienti da tre continenti (Africa, Sud e Nord America, Europa) sono stati invitati nel Giardino delle Tuileries, uno spazio naturale, storico e pubblico nel pieno centro cittadino, a un passo da Museo del Louvre. L’intitolato «La suite de l’histoire», l’intervento esprime l’invito di Annabelle Ténèze, Direttrice degli Abattoirs di Tolosa, nota come paleografa, archivista e femminista, a riflettere su temi attuali, fra i quali il rapporto che l’arte intrattiene con lo spazio pubblico e che la curatrice suggerisce di chiamare più appropriatamente «spazio comune». Il titolo, tradotto, significa «la storia continua», ed esprime chiaramente l’idea della Storia come prospettiva, in contrasto con un concetto in voga negli anni Novanta, «la fine della Storia». Idea, per mia parte, già allora discutibile, tanto più attualmente.

Guardians, Nina Beier, 2022

Vicino all’ingresso dello storico giardino reale, dal lato della Place de la Concorde, quattro leoni che un tempo troneggiavano dappertutto come simbolo di potere sono ridotti all’orizzontalità e deposti al suolo dall’artista Nina Beier. Sui loro fianchi, sono sparsi semi che si offrono agli uccelli. L’artista ivoriano Romé Mivekannin ha inserito fra i numerosi astanti del celebre quadro di Veronese, le nozze di Cana, personaggi dalla pelle nera. La poesia luminosa di Robert Montgomery recita con luci led su PVC : “Love is the revolutionary energy that annihalates the shadows and collapses this distance between us”. Si iscrive nella tradizione recente della luce come immagine, concetto e scrittura, da Kosuth a Nauman, Lavin, e James Turrell citato dall’artista. Judith Hopf rappresenta la relazione fra un uomo comune e l’iPhone in una scultura di cemento con voluti richiami, nel viso e nella mano, allo stile brancusiano. Le ditate che ricoprono la statua ad altezza d’uomo alludono alla lavorazione dell’argilla.

Gnom-One, two, three, Grazia Varisco

L’artista venezuelano Carlos Cruz-Diez (1923-1919), presentato dalla Galleria Continua, ha alzato una Colonna Chromointerferente dall’iconografia propria dell’Optical Art e dell’arte cinetica degli anni Cinquanta. Di giorno i colori cangianti muovono la tela assecondando la luce esterna. Di notte, vista da lontano a causa della chiusura del Giardino, appaiono rettangoli di luce che si spostano in un moto discendente e ascendente lungo le tre pareti.
Blue Obelisk (1992) di Niki de Saint-Phalle sintetizza nella forma due riferimenti: uno (o una) astante spesso raffigurato nella storia dell’arte, e un’allusione figurativa al cognome, Phalle. Si potrebbe leggere in senso autobiografico tutta l’iconografia della scultura, fino all’incesto subíto nell’infanzia e rivelato in un libro negli stessi anni, Mon secret.
Con Gnom-one, two, three Grazia Varisco, membro del Gruppo T, collettivo milanese che all’inizio degli anni Sessanta opera nell’ambito dell’arte cinetica, esprime l’instabilità dello spazio fisico. Le people des enfants dans les jardins du roi di Delphine Coindet fa coincidere la forma di un portico, alla quale sono appese varie corde colorate, con un’area di gioco. Le maschere bianche giganti dai tratti essenziali segnate da un grande naso e da una bocca largamente aperta sono di Franz West, deceduto nel 2012. Si riferiscono ai Lemuri della Roma antica, ovvero agli spiriti della notte, anime dannate che si ritrovano nel Faust di Goethe.

Lemure Heads, Franz West, 1992-2000

Christopher Weber dispone tre cubi di cemento attraversati da una frattura. Un vocabolario artistico che evoca sia il minimalismo che l’Arte Povera.
La bella installazione di Ottobong Nkanga, inserita nell’estensione di un parterre, è in sintonia con l’idea della curatrice di presentare monumenti alternativi. L’artista ha interrato nel verde 13 cassonetti quadrati, ricoperti con un foglio nero sotto un plexiglass. Le immagini bianche formate dai ritagli corrispondono ad una zona di luce. Frasi poetiche e disegni tra il surreale e la metafisica raccontano vicende umane fra natura e costruzione.
La forma suggestiva della casa di vetro dell’architetto Odile Decq, che custodisce piante verdi, è certamennte piacevole da vedere, tanto più che appartiene alla tradizione storica delle Serre da giardino, che risale al Rinascimento. Tuttavia, per quanto riguarda la relazione fra architettura e natura nella storia recente, è da osservare l’ambivalenza, quasi insostenibile, del rapporto tra edifici di vetro e spazi verdi, dopo la costruzione della Bibilothèque Nationale all’inizio degli anni Novanta. All’epoca avevamo segnalato l’incongruenza degli alberi messi in gabbia e in cantina. Recentemente, l’architetto Dominique Perrault, affiancato dal Sovrintendente ai Monumenti Nazionali, propone, nell’ambito di un vasto progetto sull’Ile de la Cité, dove sorge Notre-Dame, di ricoprire interamente col vetro le strutture esili e leggere del mitico Marché aux fleurs Reine Elisabeth II, espressione dell’architettura industriale, da Eiffel all’Art Nouveau, particolarmente apprezzato dalla regina d’Inghilterra recentemente scomparsa. Un progetto che si rivela attualmente tanto più insostenibile.

Odile Decq, The Green Pavilion, 2022

La proposta di Michael Dean si sviluppa in cinque capitoli corrispondenti ad altrettanti luoghi parigini. I fili metallici delle installazioni, deposti sull’erba o immersi attorno ad un getto d’acqua, evocano la festa; non sono fili spinati, ma assomigliano volutamente alla gabbietta del tappo delle bottiglie di spumante.
Nel proseguire la nostra deambulazione, incontriamo le opere di Alicia Penalba, Graciela Sacco, Kim Karkas, Raul De Nieves, Stijn Ank, Tal R, Ugo Schiavi, Zuzanna Czebatul.
Nella Place Vendôme, voluta da Luigi XIV, e al centro della quale in alto ad una colonna istoriata di reminiscenza romana troneggia Napoleone, interviene Alicja Kwade. Con il progetto Au cours des mondes, l’artista germano-polacca ha dislocato, nell’ampio spazio, diciassette sfere in marmo di diversi colori e dimensioni, provenienti da altrettanti paesi. Tre sono inserite in strutture di cemento a forma di scale; suggeriscono gli Holzwege heideggeriani, espressione tedesca tradotta in italiano con “sentieri interrotti », e in francese con «sentieri che portano da nessuna parte». Le sculture depositate a terra fanno eco a quelle orgogliosamente esibite nell’iconografia tradizionale del Principe che tiene in mano il globo, in segno del suo potere sul mondo.

Au cours des mondes, Alicia Kwade, 2022

Al Museo Delacroix l’artista africano-americano di novantasei anni, Taddeus Mosley, espone sculture da tavolo che evocano miticamente forme biomorfiche. Il legno lavorato è recuperato dagli alberi abbattuti. Nel giardino, le sculture in bronzo hanno dimensioni più importanti.
Nella Chapelle des Petits-Augustins delle Belle Arti, Omer Fast associa mezzi digitali e storia dell’arte. Nell’ambiente museale, l’artista ha ricoperto con un lenzuolo bianco alcune sculture e ha disposto, fra le opere, piccoli agglomerati di noccioli di ciliegi. In un angolo buio dell’ambiente, trasformato in stanza da letto, alleggia ad altezza d’uomo, un ologramma. È la maschera facciale di Karla. Sotto forma di intervista risuona una testimonianza agghiacciante: voci soavi e dimesse descrivono il suo lavoro, quello di escludere da una piattaforma di un gigante del web i contenuti di indicibile violenza caricati su Internet; Karla li visualizza per otto ore al giorno, in condizione di isolamento totale. L’estrema finzione ci riporta ad una realtà terrificante.
Malgrado la buona organizzazione, la qualità delle opere, e un nuovo pubblico giunto dall’America e dall’Asia, rimpiangiamo l’assenza di supporti cartacei, già osservata a Basilea, nelle ultime belle edizioni di Parcours. Fino al 2021 la FIAC stampava un libretto e una pianta con una breve presentazione delle opere e la loro collocazione nelle Tuileries. Quest’anno, un gruppo di studenti dell’Ecole du Louvre, in veste di mediatori, mi è venuto in aiuto, cartografando manualmente la mappa delle installazioni. Talvolta il QRcode non funziona.

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