A Palazzo Merulana a Roma è in corso fino al 5 settembre, dopo una pausa estiva dal 9 al 24 agosto, “SNAP TRAP”, mostra di Barbara De Vivi e Francesco Pozzato a cura di Miriam Rejas Del Pino. Le opere dei due artisti, realizzate appositamente per la mostra, vertono sulla distruzione nelle sue molteplici sfumature, in un dialogo che intreccia passato, memoria e presente. Ne parliamo con la curatrice e gli artisti.
L’idea della mostra inizialmente coincideva con la volontà di approfondire il concetto di dono, impostato, però, da un punto di vista negativo, ossia inteso come dono/trappola troiano, per poi focalizzarsi sulla distruzione provocata dall’essere umano, che in alcuni casi, anche a distanza di secoli, può rivelarsi vantaggiosa, tornare dono. In che modo le opere dei due artisti riescono a raccontare questa storia ricorsiva tra distruzione e dono?
Miriam Rejas Del Pino: Dalla stanza che non si deve aprire, presente nel racconto di Barbablu fino al conosciuto cavallo di Troia o il vaso che Zeus affida a Pandora, le occasioni in cui il dono insidioso diventa un punto di non ritorno nella narrazioni sono tante. Questo tema, che si ripete a più riprese nei racconti di culture ed epoche diverse, è una sorta di prisma che in SNAP TRAP ci serve per leggere il presente. Barbara De Vivi raffigura nelle sue tele delle scene in cui dei personaggi reagiscono distruggendo dei simboli, sotto forma di statue e monumenti,  calati dall’alto. Le figure presenti nella tela hanno la volontà di reagire al proprio contesto storico, e quindi decidono di emanciparsi da un passato che non gli appartiene. Le opere presenti in mostra sommano un altro strato alla complessa ricerca di De Vivi sulla presenza di icone e immagini che tentano di imporsi nell’immaginario collettivo. Dal canto suo, Francesco Pozzato decide invece di far emergere storie di una tradizione antica distante dal mondo occidentale, sopravvissute per casualità a delle azioni originariamente mirate alla loro distruzione. L’artista “traduce” queste antiche geste all’interno di un testo grafico che ha la forma di una grottesca romana. Con questo raffinato lavoro di traslazione, Pozzato satura con un nuovo significato un elemento decorativo presente nella memoria visiva di un osservatore contemporaneo. Le opere presenti in mostra dunque intessono un dialogo a più voci che si sofferma sulle molteplici possibilità di reazione all’eredità culturale del nostro passato. La distruzione dunque, come un prisma, proietta luce su tutte le opere presenti in SNAP TRAP per farci leggere i lavori attraverso questo concetto, in apparenza sempre nocivo.
Da dove nasce la tua ricerca sulla distruzione di monumenti e statue presente in
mostra? Dono e distruzione, antico e contemporaneo coesistono nei tuoi dipinti; quale opera in mostra in particolare esprime questo equilibrio? Ce ne parli?
Barbara De Vivi: La vita delle immagini, la loro ibridazione e sovrapposizione, è centrale nella mia ricerca. In particolare sono interessata a come un’immagine sopravvive e riemerge in un nuovo contesto, trapelando dalla stratificazione di epoche che la separa dal nostro presente. Verso la fine del 2019 ho sviluppato l’interesse per un’ipotetica lotta tra immagini per emergere una sulle altre e imporsi nell’immaginario contemporaneo. Le mie opere più recenti si ispirano alla ritualità dei cortei carnevaleschi. Anticamente in questa festività le maschere incarnavano gli dèi e gli archetipi che, ciclicamente, distruggevano ogni cosa per poterla rinnovare. Sono affascinata da questo tentativo di annullamento perennemente destinato a fallire, dramma che si stempera in un’atmosfera teatrale e leggera. In Trauerspiel ad esempio, riprendo il momento culminante della festa in cui un corteo porta in trionfo la salma dell’anno trascorso – del passato superato, prima di seppellirla. La processione rimane ambigua tra la lamentazione funebre, il corteo dionisiaco e la rivolta popolare. Anche le proteste del 2020 legate al movimento Black Lives Matter che mettono in discussione alcune statue negli spazi pubblici hanno influito sulla mia ricerca. Questi episodi hanno rimesso in luce come le immagini esercitino tuttora influenza e dominio sulle persone che le fruiscono tanto da poter essere percepite come una violenza. In Nightwatch metto in scena un’azione segreta in cui alcune figure svelano una statua prima della sua inaugurazione, per spiarla e forse abbatterla. Il monumento, presentato come dono alla comunità , nasconde una volontà d’imposizione dall’alto che la spedizione notturna smaschera esponendo l’effige.
Storia, memoria e distruzione. Perché hai voluto risemantizzare degli elementi del passato, che, caso e apparente distruzione, hanno permesso la loro riscoperta? Come si collocano queste opere, realizzate appositamente per SNAP TRAP, rispetto alla tua ricerca artistica?
Francesco Pozzato: In questi nuovi lavori mi sono concentrato principalmente su due vicende che legano distruzione, casualità e ornamento. Si tratta di elementi storicamente e geograficamente molto distanti tra loro: le grandi raccolte di tavolette d’argilla del Vicino Oriente e l’antica decorazione parietale nota come grottesca. Entrambe condividono storie di distruzione intenzionale ma con esiti inaspettati come il preservarsi di testi e decorazioni.
La nuova narrazione che propongo si dispiega a partire dalle biblioteche d’argilla che, nonostante guerre e incendi, si sono conservate cuocendosi, permettendo così il loro sigillarsi sotto terra fino alla relativamente recente riscoperta. Vicissitudini analoghe alla storia delle grottesche, indissolubilmente legata alla città che ospita la mostra, in particolare alla vicinissima Domus Aurea e al suo proprietario, Nerone. Fu proprio a seguito della damnatio memoriae dell’imperatore che anche il suo palazzo venne condannato all’oblio, venendo riempito di terra al fine di farne fondamenta per successivi edifici. In realtà questo interramento permise un millennio dopo la riscoperta dei soffitti e dei motivi decorativi da parte di grandi artisti come Raffaello, e con essa la nascita tutta rinascimentale del termine grottesca. La risemantizzazione avviene dando questa forma ornamentale – attraverso oggetti della nostra contemporaneità - ai contenuti della letteratura mesopotamica, in particolare ai tre testi conosciuti come Enuma Elish, Epopea di Erra e Poema di Atrahasis. Per quanto riguarda la mia ricerca, nell’ultimo periodo ho posto l’attenzione sulla sconfitta nelle sue molteplici forme e iconografie, inseguendo ciò che è sopravvissuto, tra narrazione storica e archeologia. In questo caso quest’attenzione si rinnova, a partire proprio dalle vicende inquadrate dal corso dei fiumi Tigri e Tevere. La serie Dal Tigri al Tevere infatti attinge a storie di oggetti ed edifici condannati ad una apparente sconfitta, ad una illusoria distruzione, che, anche se non intenzionale e in modo totalmente inatteso, ne ha permesso la preservazione.
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