Nel 2019 scompare Ettore Spalletti, classe 1940, natoin provincia di Pescara dove ha trascorso tutta la sua vita, maestro della luce e del colore che ha operato sulla profondità spaziale oltre i confini della cornice o della scultura immerso nella bellezza della natura; un paesaggio incantato che ha influito sulla sua ricerca artistica. A Milano, la galleria Lia Rumma, a 12 anni dall’inaugurazione e dopo un periodo di chiusura, ha riaperto con la mostra dedicata all’artista abruzzese di fama internazionale, che ricevuto la laurea honoris causa in architettura presso l’Università di Pescara (2017), con un progetto espositivo “metafisico” e rarefatto da lui concepito e avviato prima della sua scomparsa.
Al piano terra dell’algido spazio, Colonna nel vuoto (2019) con Elisse (2016), in purissimo marmo bianco, invitano lo spettatore a riflettere “sull’apparizione della sostanza pittorica e i suoi effetti di riverbero e di affioramento”, scrive Spalletti. La sua prima colonna è del 1978, commenta l’artista “portavo con me questo desiderio della verticalità , ma anche il desiderio di un oggetto che avesse attraversato proprio tutto l’arco della storia dell’arte, e che si rendesse riconoscibile continuamente in momenti diversi”. Anche l’ellisse è un elemento ricorrente nel suo lavoro come il parallelepipedo, forme utilizzate per rompere la rigidità geometrica attraverso il colore, la materia che si fa luce anche in relazione simbiotica con lo spazio.
La sua è una pittura tridimensionale grazie a una tecnica sofisticata di un impasto di gesso e colla steso a caldo sulla superficie da dipingere, in cui il pigmento aggiunto, una volta assorbito, conferisce colore a tutto lo spessore, mentre il risultato cromatico dipende dalla quantità di bianco mescolato. Spalletti è noto per la sua ricerca minimalista sui generis tesa a superare il confine tra pittura e scultura, presenza e sottrazione, volta a un’ asimmetria poetica, iscritta nella luce, che si risolve attraverso un approccio manuale e concettuale insieme, attraverso l’uso materico diafano del colore. E chi non riconosce i suoi rosa, azzurri, grigi, bianchi, gialli e verdi smaterializzati e pulviscolari che danno forma a volumi cromatici dalla rigidità geometrica compromessa per effetti stranianti,? Chi non vorrebbe uno dei suoi instabili monoliti di aurea classica così instabili?
Dietro le sue scelte monocromatiche racchiuse in forme euclidee, si stratificano strati di pittura sovrapposti, grumi di materia ruvida che si luce. I suoi quadri strabordano dalla cornice, si compenetrano nello spazio e mettono in discussioni le convenzioni formali. Come si comprende al primo piano della galleria, dove una serie di opere realizzate nel 2019 dal titolo Dittico, oro trasudano di tensione sacrale, in cui i suoi azzurri atmosferici che vivono come condizione ambientale e l’impalpabile rosa, sono colori non di superfice ma di profondità, impreziositi da foglie oro sulle cornici , evocano un non so che di mistico.
Al secondo piano della galleria (consigliamo di prendere l’ascesa verso l’alto attraverso le scale esterne dell’edificio per godere di uno spaccato di Milano vista da “dentro” il cuore della periferia degno di nota), metaforicamente si arriva in Paradiso, con l’opera Libreria (2018), quasi un testamento poetico, presentata in occasione della sua ultima personale al Nouveau Musée National de Monaco, nel Principato di Monaco, per certi versi ancora inedita poiché sviluppata da Spalletti, dopo la mostra monegasca. Questa installazione ambientale comprende quasi 1500 libri allineati sugli scaffali di una sequenza di librerie. Le pagine dei libri non sono stampate, ma “volumi” monocromi di carta velina. Scrive Spalletti “cerco di trovare nella carta una sensazione tattile che appartiene al mio lavoro, per questo ho usato carta velina”.
A noi spettatori difronte a questa biblioteca strutturata da libreria in legno laccato con libri con lamina oro stampata a caldo, non resta altro che meditare sullo sconfinamento del colore, sull’immensità di una pittura che si fa scultura e architettura del Tempo. Scrive Spalletti, “ho pensato a questa stanza come fosse un quadro che si dispiega alle pareti. Come entrare in una stanza-biblioteca, con un quadro da una parte e un quadro dall’altra. Avevo in mente le prospettive di Vermeer”. Al centro della sala c’è una scultura di tre elementi, basi ideali per un libro aperto e un vaso di fiori; è l’annunciazione di una futura bellezza.
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