Un omaggio a Roma proveniente da un artista poliedrico come Sterling Ruby (1972) non può che essere sorprendente. Questa volta Sterling ha scelto la cifra dell’eleganza, che non viene solitamente associata alla sua arte, spesso provocatoria e disturbante, come in “Soft Work”, la sua personale al Macro Testaccio del 2013. Tutt’altra atmosfera domina la mostra “Future Present”, aperta fino al 5 febbraio 2022 da Gagosian e alla Galleria Doria Pamphilj, costruita come una sorta di Grand Tour contemporaneo, dove lo sguardo sul mondo classico si combina con l’allarme per il collasso ecologico.
“Viviamo in uno stato di costante distruzione e divenire, girandoci intorno continuiamo a reiventare il passato come se fosse presente” spiega l’artista, che alcuni anni fa , durante una visita al Colosseo, rimase colpito dai papaveri fioriti che crescevano in mezzo alle rovine. Non è un caso che la chiave della mostra – la prima dell’artista nella sede romana di Gagosian – sia questa riflessione sulla circolarità del tempo, che prende avvio da una serie di preziosi collage di piccole dimensioni, intitolati DRFRTS (2013-) e simili ad una sorta di appunti dedicati alla città eterna in chiave concettuale. Un’intenzione annunciata fin dal titolo, un’abbreviazione della parola inglese drifter (senzatetto), che riunisce queste opere su carta che rappresentano arcobaleni che sovrastano frammenti di ossa umane ritagliate da riviste di archeologia, intesi come possibili risposte alla domanda “Che cos’è un arcobaleno se non rimane nulla di vivo a guardarlo?”.
Una sofisticata introduzione alle opere presenti nel salone ovale della galleria: si tratta di sei grandi DROPS, gocce monocromatiche in vetroresina poggiate su piedistalli in formica e concepite come monumenti al sangue, all’urina, all’acqua, al carbone, al petrolio e alla flora. Su ogni base, dello stesso colore lucido e brillante della goccia, Ruby ha iscritto le iniziali del tributo con un stile che ricorda i graffiti urbani, quasi ad inserire una nota stonata nella perfezione formale e cromatica dell’opera. La seconda sede della mostra è ancora più sorprendente: la sala della Toletta di Venere all’interno della Galleria Doria Pamphilj, aperta per l’occasione. Un ambiente intimo e prezioso, rivestito di stucchi affreschi e specchi, dove l’artista ha collocato due opere, che dialogano attraverso colori e materiali diversi con l’atmosfera rarefatta del boudoir settecentesco. La prima è WIDW CRASH CULTURE (2021), un dipinto rosso e verde della serie delle finestre (windows) , collocato in corrispondenza della porta d’ingresso, che conferisce una nota di vivace energia cromatica all’aulico e preziosa ambiente. La seconda, BONNET (7483) (2020) è una scultura in ceramica dorata ispirata alla forma di un berretto rinascimentale, come un oggetto dimenticato da una dama alla fine di una festa. Degna conclusione di una mostra da non perdere, che dimostra come Roma possa costituire ancora oggi, come già nel Settecento, una fonte di ispirazione non banale per gli artisti contemporanei d’oltreoceano.
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