-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Storie ancestrali nel contemporaneo: 63 artisti alla Fondazione Opale, in Svizzera
Arte contemporanea
La Fondazione Opale invita il salone artgenève a dialogare lungo Interstellaire, un percorso onirico e singolare che accoglie dipinti, installazioni, sculture, fotografie e video di 63 artisti aborigeni e internazionali contemporanei, fino al 12 novembre a Lens/Crans-Montana in Svizzera. Le creazioni di Lucio Fontana, Wolfgang Tillmans, Carla Accardi, Leandro Erlich, Philippe Decrauzat, Jean-Marc Bustamante, Not Vital, Alicja Kwade o Sam Falls proposti da artgenève si confrontano con quelle di Emily Kame Kngwarreye, Michael Nelson Jagamara o Ganbilpil White Ganyidjinu della magnifica collezione Bérengère Primat, dedicata all’arte aborigena. Tematica della mostra? Noi e l’universo. Un rapporto vitale per alcuni, arcaico per altri, di cui Interstellaire ci mette a parte, in un fruttuoso scambio tra culture lontane geograficamente ma prossime nella visione cosmica della vita.
Siamo nel 1971, quando nasce ufficialmente la pittura aborigena prodotta su supporti trasportabili come tele, sculture o oggettistica varia, ciò che ha restituito nel tempo una sorta di archivio culturale e umano attraverso opere dai colori vibranti come bicromatiche. Punto d’incontro tra la mitologia greca e aborigena è il cielo notturno, che riflette tracce ancestrali di leggende che accomunano miti di ogni luogo, cristallizzate nell’antica costellazione di Orione e delle Pleiadi.
La saga aborigena narra di Sette Sorelle, trasformate poi in astri, che attraversano i deserti australiani per fuggire con maestria alle angherie di Nyiru, uno stregone bramoso che le perseguita senza sosta; così come Orione con le Pleiadi, le sette ancelle di Diana, che la pietà di Zeus tramuta in stelle. Metamorfosi, danze che cancellano tracce di passaggio, buche scavate per trovare acqua o animali di cui cibarsi, sono vicende che celebrano la determinazione di sette donne con musiche e canti di diverse popolazioni del posto.
Rappresentati su enormi tele seducenti, questi eventi rivelano altresì un legame arcaico con il territorio e la natura. Seven Sisters Songline (2020) di Nyunmiti Burton (1964), ne restituisce l’epopea con eleganza e colori vivaci. L’artista è stata finalista del Wynne Prize nel 2020. C’è anche il serpente arcobaleno, chiamato Ngalyod, cioè una figura ancestrale che appare per la prima volta circa 6000 anni fa nelle pitture rupestri, e che qui vediamo nel lavoro di Bardayal Nadjamerrek. Mentre Jarinyanu David Downs dipinge il Kurtal, uno spirito serpente che assume la forma di un uomo per viaggiare attraverso la terra e portare la pioggia.
Nelle culture aborigene e degli isolani dello Stretto di Torres, tutto sulla terra si riflette nel cielo. Vedi Milŋiyawuy River of Stars 17 (pittura su corteccia, 2022) di Naminapu Maymuru-White (1952), una versione astrale dell’omonimo fiume, clin d’œil alla via lattea. Un’esecuzione che amplifica la percezione dello spazio fisico e che ritroveremo riprodotta sul soffitto dell’auditorium della Fondazione Opale, di prossima apertura. Nata in una famiglia di artisti riconosciuti, Naminapu Maymuru White è stata una delle prime donne a cui è stato insegnato a disegnare. Presente anche la serie fotografica Fake di Michael Cook, che ritrae il viaggio di una coppia aborigena e del loro figlio adottivo nel deserto dell’Australia centrale. La serie, che inverte la biografia dell’artista, ritrae una famiglia con vestiti e oggetti di lusso che scarta a mano a mano che si immerge nel paesaggio ancestrale.
Il team curatoriale nel piazzare le opere ha creato interazioni spontanee e inedite, come tra Flatsun (2011) di Rafael Lozano-Hemmer e Polkaurululga (2002) di Ronnie Tjampitjinpa, noto rappresentante della pittura astratta australiana. La composizione dell’artista messicano rappresenta un falso sole di un diametro di 140 cm – un miliardo di volte più piccolo del sole -, 60mila luci LED rosse e gialle e una fotocamera. Questo display circolare reagisce alla presenza degli spettatori con perturbazioni e attività, in assenza di movimenti il dispositivo si spegne. Polkaurululga è un invito alla contemplazione con i suoi cerchi concentrici – che vanno dal giallo all’arancione – che oscillano in uno spazio geometrico che infonde energia vitale. Attaccato alla tradizione e alla sua regione, le creazioni di Tjampitjinpa rimandano ai rituali di iniziazione dei Tingari, figure ancestrali della mitologia aborigena. Le sue opere sono nelle collezioni del Musée du Quai Branly a Parigi e del Musée des Confluences di Lione.
La produzione aborigena, spesso collettiva, gioca con prospettive diverse come quella frontale o a volo d’uccello. A mo’ di carta geografica il visitatore ripercorre linee e chiazze di colori uniformi che rimandano alla terra, al deserto, alle fonti d’acqua come agli spostamenti di animali e di persone. Creation Stories that belong to Kanpi (2021) è un magnifico esempio di composizione collettiva realizzata da dodici donne, tra cui Kaye Baker (1955), Teresa Bake (1977), Beryl Jimmy (1970-2022), Kani Patricia Tunkin (1981), Janice Woods, e Vianita Woods (1990). Un tipo di prospettiva che rimanda alla posizione degli artisti che si accomodano sul supporto cantando e dipingendo le gesta di eroi del Dreamtime, il periodo in cui gli antenati hanno costruito la natura, le tradizione e i rituali.
Interstellaire favorisce lo scambio multiculturale, e svela la volontà degli aborigeni di salvaguardare e far conoscere le proprie tradizioni e la loro concezione della vita basata sulla condivisione. Gli artisti sono accolti per lo più in centri d’arte, ossia organizzazioni di proprietà e governate da loro stessi, garantendo così stabilità e reddito. Oggi, alcuni centri stanno chiudendo per mancanza di fondi, da qui l’importanza di sostenerne le attività. Specchio del vivo interesse di Bérengère Primat, che appoggia la produzione aborigena anche con lunghi soggiorni e ricchi scambi con gli artisti, la collezione conta oltre 1500 opere di 350 artisti. Questa è accolta presso la Fondazione Opale, inaugurata nel 2018, che è l’unico centro d’arte contemporanea dedicato all’arte aborigena in Europa.
Dall’antropologia all’arte, il salto non è stato facile, oggi non si parla più di reperti etnografici ma di creazione artistica. L’arte aborigena attira sempre più pubblico, solo quest’anno Parigi ha accolto due esposizioni, di cui una dedicata a Sally Gabori alla Fondation Cartier pour l’art contemporain e l’altra al mito delle sette sorelle in Songlines presso il Musée du quai Branly.