«Mi sento parte integrante dei temi e dei progetti della Mostra Centrale. Nella mia vita ho avuto la fortuna di viaggiare molto e a volte ho ricevuto il trattamento riservato ai viaggiatori del sud del mondo pur non essendo un rifugiato ed essendo in possesso di uno dei passaporti migliori dell’area. Mi identifico anche come queer, il primo direttore apertamente queer della Biennale di Venezia. Tutto parte dal mio paese di origine. Il Brasile è una terra di stranieri: oltre ai portoghesi che lo hanno invaso e colonizzato, ospita anche grandi comunità provenienti da varie parti del mondo, anche una italiana. La Biennale sarà una celebrazione dello straniero, dell’outsider, del queer e dello strano». Sono le parole di Adriano Pedrosa, nominato Curatore della 60. Esposizione Internazionale d’Arte alla Biennale di Venezia, che prenderà vita dal 20 aprile al 24 novembre 2024 con il titolo di Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere. Già direttore del Museo de Arte de São Paulo in Brasile, Pedrosa ha gettato le linee guida teoriche e di ricerca della prossima Biennale che si preannuncia fortemente partecipata, con la presenza di circa 90 paesi e 30 mostre collaterali diffuse su tutto il territorio veneziano. 4 i Paesi che partecipano per la prima volta alla Biennale Arte: Repubblica del Benin, Etiopia, Repubblica Democratica di Timor Leste e Repubblica Unita della Tanzania. Invece Nicaragua, Repubblica di Panama e Senegal avranno per la prima volta un proprio padiglione. L’inizio della 60. Esposizione Internazionale d’Arte coinciderà inoltre con la chiusura del mandato quadriennale del Presidente della Biennale Roberto Cicutto, che passerà il testimone a Pietrangelo Buttafuoco, con il quale ha tenuto a sottolineare un clima di «piena e aperta collaborazione» che sta preparando il terreno per il suo insediamento.
«Questo periodo di ricerca è stato un viaggio straordinario e intenso grazie al quale ho potuto completare i nomi dei partecipanti. Un periodo di conversazioni e confronti con artisti di tutto il mondo». In questa cornice, si colloca con chiarezza la visione di Adriano Pedrosa, primo curatore proveniente dal Sudamerica nella storia di questa istituzione. Una scelta che offre l’opportunità di analizzare il contesto geopolitico e artistico internazionale guardandolo dal punto di vista del Sud Globale, un nuovo paradigma che si pone in continuità con le precedenti edizioni di Arte e Architettura. Un’operazione analoga, infatti, era stata compiuta da Lesley Lokko nel 2023, che con il suo The Laboratory of the Future (Il Laboratorio del Futuro) aveva percorso una strada parallela mettendo al centro la progettualità africana e distinguendosi per una forte trasversalità delle discipline. Allo stesso tempo, ci aspettiamo di vedere assonanze con la Biennale Arte di Cecilia Alemani, che nel 2022 aveva riscosso un inedito successo di pubblico, grazie anche alla spinta post pandemica: nonostante la diversità dei temi (Il Latte dei sogni) quella della curatrice italiana era stata una mostra densa e quasi enciclopedica, trainata da una forte attenzione verso le culture indigene, non occidentali, di provenienze remote e inusuali. Un fatto che aveva dato modo di porre l’attenzione su autori e autrici poco noti, a pratiche sperimentali e a medium quali il tessile e l’artigianato. Uno scenario in questo simile si prospetta a partire dal prossimo aprile.
Chi sono, dunque, questi stranieri? Come spiegato in precedenza, il titolo è stato mutuato da una serie di lavori realizzati a partire dal 2004 dal collettivo Claire Fontaine, nato a Parigi e con sede a Palermo, i quali l’hanno preso a loro volta da un omonimo collettivo torinese che nei primi anni Duemila combatteva contro il razzismo e la xenofobia in Italia. Ma ciò che rende questo tema ancora più interessante sono i molteplici livelli di significato che vi si possono ricavare. Si intende che innanzitutto che «ovunque si vada e ovunque ci si trovi si incontreranno sempre degli stranieri: sono/siamo dappertutto» spiega Pedrosa. «In secondo luogo, a prescindere dalla propria ubicazione, nel profondo si è sempre veramente stranieri». A livello linguistico, il termine italiano “straniero”, il portoghese “estrangeiro”, il francese “étranger” e lo spagnolo “extranjero” sono tutti collegati sul piano etimologico rispettivamente alle parole “strano”, “estranho”, “étrange” ed “extraño”: straniero, estraneo o “strano”, l’originario significato (dispregiativo) della parola Queer che, anche all’interno della Mostra Centrale, farà da ponte tra questi due mondi. Un’altra connessione ricercata è quella tra il XX e il XXI secolo, articolando la Mostra in due nuclei distinti tra il Padiglione Centrale ai Giardini e l’Arsenale: Nucleo Contemporaneo e Nucleo Storico. «La Biennale nasce nel 1895. L’importanza del nucleo storico risiede nel fatto che molti artisti, importanti e iconici del proprio paese, sono stati esposti nel XX secolo e poi dimenticati», ha affermato il curatore. «Ecco perché riportare oggi alla memoria questi artisti e contestualizzare il loro lavoro nel nuovo secolo».
Il nucleo contemporaneo raccoglierà i lavori di artisti queer (coloro che si muovono all’interno di diverse sessualità e generi e sono vittime di discriminazione); outsider, ai margini del mondo dell’arte, spesso autodidatti; gli artisti indigeni, trattati come stranieri nelle proprie terre. Questi artisti troveranno spazio in tutta la Mostra e costituiranno il fulcro di un’ampia sezione nelle Corderie, nonché di un’area dedicata all’astrazione queer nel Padiglione Centrale. Ancora le Corderie ospiteranno Disobedience Archive, un progetto del curatore italiano Marco Scotini che dal 2005 sviluppa un archivio video incentrato sulle relazioni tra pratiche artistiche e attivismo. Importanti interventi saranno invece nella facciata esterna del Padiglione Centrale, con un murale monumentale del collettivo brasiliano Mahku e nelle Corderie, con una grande installazione nella prima sala del collettivo Maataho di Aotearoa/Nuova Zelanda. Il Nucleo Storico, invece, sarà costituito da tre sale nel Padiglione Centrale: la sala intitolata Ritratti (dipinti e opere su carta realizzati da 112 artisti ritraendo per lo più persone non bianche), la sala dedicata alle Astrazioni (che comprende 37 artisti) e una terza sala dedicata alla diaspora artistica italiana nel mondo lungo il corso del XX secolo. A quest’ultima, prenderanno parte artisti che spesso hanno avuto un ruolo significativo nello sviluppo delle narrazioni del Modernismo al di fuori dell’Italia come Lina Bo Bardi, italiana trasferitasi in Brasile, Leone d’Oro speciale alla memoria della Biennale Architettura 2021. «Il Nucleo Storico è composto da opere del XX secolo provenienti dall’America Latina, dall’Africa, dall’Asia e dal mondo arabo», prosegue Pedrosa. «Si è scritto molto sui modernismi globali e su quelli del Sud del mondo, motivo per cui in alcune sale saranno esposti lavori provenienti da tali territori, come a costituire una sorta di saggio, una bozza, un ipotetico esperimento curatoriale volto a mettere in discussione i confini e le definizioni del Modernismo. Conosciamo fin troppo bene la storia del Modernismo in Euroamerica, ma i modernismi del Sud globale rimangono in gran parte sconosciuti».
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