Siamo arrivati alla quinta edizione della Straperetana, che sta rendendo appunto Pereto – borgo in provincia dell’Aquila – sempre più una sorta di museo a cielo aperto.
Nelle stradine in salita e in discesa si trovano ancora alcuni dei lavori delle edizioni precedenti, mentre quelli di questa nuova edizione li vediamo, quasi tutti, negli spazi più istituzionali, Palazzo Iannucci, Palazzo Maccafani e luoghi limitrofi.
In mostra moltissimi artisti, per lo più di età piuttosto giovane. La traccia da seguire, quella che i curatori Saverio Verini e Matteo Fato hanno trovato più interessante, è uno sguardo da volgere verso il perturbante, lo stupefacente, lo straniante. Così si racconta nel testo che ci viene fornito e in effetti queste sono le attitudini che si trovano più frequentemente nei lavori.
Straperetana è una collettiva allargata, una idea di riappropriazione di luoghi perduti più che una collettiva con arterie che portano verso la vena centrale, ma probabilmente questo è il senso di una mostra pensata in un luogo di questo tipo, e sicuramente è la sua arma vincente. La mostra, dicevamo, ha moltissimi artisti ed altrettanti lavori, alcuni di questi di una bellezza travolgente. Per esempio il bellissimo video di Francesca Grilli, che incolla lo spettatore per circa 14 minuti alla sedia, sospeso da una poesia di immagini e testi, in un luogo altrettanto sospeso nel tempo lontano da noi; un palazzo abbandonato diventa un luogo di gioco e di ritrovo per alcuni bambini, e poi, anche, per alcuni adulti. Rays si chiama l’opera video, che si vede al secondo piano di Palazzo Iannucci.
Molto interessante anche il lavoro di Sacha Kanah, che realizza una piccola colonna di polvere. Fissa e ferma come un basamento, come una colonna, in realtà la sua leggerezza e la sua vacuità sono la forza di questo lavoro, che con il vento, la pioggia o altri agenti atmosferici potrebbe disperdersi in poco tempo o poter durare per anni.
Altro lavoro intenso quello della giovane Giulia Mangoni la quale, ispirandosi al film Picnic ad Hanging Rock, ha trasformato le atmosfere cupe del film nel contesto del paese e nello specifico in una stanza del palazzo Iannucci, dove alcune tavole bruciate con la tecnica giapponese Shou Sugi Ban impediscono e trattengono la visione di altro.
Sempre nello stesso palazzo tanti altri lavori, alcuni pittorici che ci sembrano ancora un pò ibridi nelle forme e nel contenuto, ma abbiamo anche un bel lavoro della sempre audace Moira Ricci, ed anche una foto di Giacomo Alberico, dal titolo Tenda di Ciniglia.
Lo stesso artista é presente anche con una serie di fotografie nel paese, i cui soggetti sono sempre ingrandimenti di immagini particolari, zone d’ombra che sembrano diventare punto di forza della fotografia stessa.
Opera particolarmente riuscita, seppure non realizzata specificamente per la mostra, è quella di Enzo Cucchi. Il lavoro, dal titolo Lingue in bocca, è una scultura in bronzo e ceramica che letteralmente si aggrappa ad un angolo di palazzo Maccafani. L’opera, talmente allestita bene e sapientemente scelta, pare davvero essere un inserto del palazzo, recuperato e restaurato per l’occasione.
Ancora un lavoro interessante sempre nello stesso luogo, quello dell’artista Giulia Poppi, che ha realizzato un’opera site specific, delicata ed allo tesso tempo presente, leggera ma gassosa, che dialoga bene con un acquerello dell’artista forse più importante della collettiva, Carol Rama, tra le più eccentriche artiste italiane, morta da pochi anni, che ci ha lasciato una eredità artistica ancora da scoprire.
Nel paese, da scoprire poi le deliziose opere di Raffaele Fiorella, presente nella edizione del 2019, così come dello stesso anno gli altrettanto interessanti frammenti di vetro di Silvia Mantellina Faieta, piccoli pezzi di vetro al cui interno immagini di paesaggi urbani, inseriti nella parete rocciosa.
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