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Sulle spalle dei giganti #2. Intervista a Valentina Gensini per il MAD di Firenze
Arte contemporanea
Sulle spalle dei giganti: questa rubrica nasce per indagare come l’arte, anche inconsapevolmente e in tutte le sue variegate forme, possa determinare le nostre vite. L’arte contemporanea, l’arte del nostro tempo, si avviluppa e si sviluppa nel presente, ne fa conoscere ritmi e pulsioni. Attraverso l’arte leggiamo e interpretiamo i dettagli della storia, fra le tradizioni da seguire e le sue rotture. Conoscerla porta quindi, inevitabilmente, a conoscere l’essere umano? Questo il quesito dal quale siamo partiti per la nostra indagine. Oggi la parola va a Valentina Gensini, direttrice di MAD Murate Art District.
MAD Murate Art District
Murate Art District è un centro di arte contemporanea e residenze artistiche del Comune di Firenze, articolato in uno spazio dedicato alle arti contemporanee, una grande sala con pedana danza dedicata a performance e teatro, una sala al primo piano, insieme alle tre celle, dedicata a mostre internazionali. Altre celle al secondo e terzo piano ospitano uffici e studi di curatori e artisti in residenza.
MAD si trova nel complesso monumentale delle Murate, di proprietà comunale, che comprende l’ex monastero quattrocentesco trasformato in carcere dal 1883 al 1985, articolato su due piazze: piazza delle Murate e piazza della Madonna della Neve. Nello specifico, MAD – Murate Art District si trova negli spazi del vecchio convento e custodisce il Carcere Duro, una testimonianza pulsante della Resistenza operata dai padri della Repubblica in epoca fascista. MAD eredita la memoria del complesso monumentale e la riattiva grazie alla presenza degli artisti che lo abitano quotidianamente, facendone un luogo di libertà e ricerca.
Si tratta di un progetto che vuole unire produzione e valorizzazione, ricerca ed educazione della cittadinanza ai temi e ai linguaggi artistici del contemporaneo, con un approccio transdisciplinare, aperto ad artisti di ogni età e provenienza, attraverso la committenza, la ricerca e la partecipazione. Oltre alle mostre internazionali, si propongono talk, conferenze, performance e workshop centrati sulle tematiche e i linguaggi artistici del contemporaneo, con un taglio interdisciplinare. Tutti gli eventi e le attività sono completamente gratuiti, dalle mostre ai workshop, dai programmi di residenza per gli artisti ai convegni, dalle presentazioni agli eventi culturali.
La parola a Valentina Gensini
Sulle spalle dei giganti: che rapporto avete con loro, con i giganti, in una città come Firenze?
«Di Firenze mi piace l’intraprendenza storica, le passioni dialettiche, la vis polemica che ha sempre visto un confronto ferrato tra le diverse opinioni e posizioni. Mi piace anche l’intelligenza lucida e ironica, talvolta cinica, che purtroppo arriva a perdersi in controversie sterili e fini a se stesse. La grandezza degli antichi è un privilegio: ci fa crescere in luoghi di rarefatta bellezza e poetica quotidianità, educandoci all’eleganza, al gusto, al senso estetico. Per contro la concezione passatista che accoglie come buono e bello esclusivamente quanto si ferma storicamente al medioevo e rinascimento preclude molte possibilità.
Come ha scritto Maurizio Nannucci sulla facciata degli uffizi All Art has been contemporary pertanto è semplicemente ingenuo e folkloristico pensare che l’arte antica sia irraggiungibile e che il contemporaneo abbia poco da esprimere. Del resto la mia esperienza quotidiana mi insegna esattamente il contrario».
La sua prima impressione quando è entrata al MAD. Cosa ha provato? Cosa le è balenato nella mente in quel momento?
«Quando, nel 2013, ho visitato le Murate ho trovato un luogo affascinante ma estremamente spoglio. Il recente passato era ancora molto forte nell’energia degli ambienti e negli spazi restaurati senza alcuna specifica destinazione. La prima cosa che ho immaginato è uno spazio per gli artisti, un centro di produzione e residenza abitato in ogni ora del giorno e della notte e attrezzato per le diverse esigenze. Ho concepito subito uno spazio interdisciplinare e transdisciplinare, simile ai centri di produzione e residenza europei, così lontani dalla specificità disciplinare italiana. Ci è voluto molto tempo per arrivare ai risultati della comunità abitante che segna adesso questo luogo, ma ce l’abbiamo fatta, ed è stata, secondo quanto ci riportano gli addetti ai lavori nonché premi dell’Unione Europea, una delle migliori operazioni di rigenerazione urbana fatte negli ultimi 20 anni».
L’arte contemporanea, talvolta, può risultare elitaria, un affare per pochi eletti. In che modo invece l’arte può diventare alla portata di tutti? E perché questo, secondo lei, è importante?
«Art is easy, diceva provocatoriamente il grande Giuseppe Chiari.
L’arte è per tutti e di tutti. Gli artisti lo ripetono continuamente. I prescritti circoli di addetti ai lavori sono sempre stati estremamente fittizi e limitanti, e per fortuna sono finiti, non è più il tempo. Chi produce arte oggi desidera incontrare le persone della strada, gli artigiani e i lavoratori, gli insegnanti e i giovani in crisi, le madri con i neonati, i medici e i muratori.
Ogni giorno apriamo le porte ai nostri vicini, gli abitanti delle case popolari, che talvolta hanno partecipato ai nostri progetti come protagonisti; a docenti che desiderano aggiornarsi e trovare nuovi stimoli per i loro studenti; a giovani fiorentini o internazionali che cercano qualcosa di diverso dalla città rinascimentale delle cartoline; agli artisti e i curatori che cercano brandelli di autenticità lontani dalla retorica degli spazi istituzionali o dalle logiche delle gallerie; a cittadini intelligenti e curiosi, non per forza addetti ai lavori o al commercio dell’arte».
Al vostro interno, oltre alle sale espositive, ospitate anche le residenze artistiche, ce ne parlate?
«Le residenze sono un dispositivo molto interessante, e questo termine ad oggi è abusato ed utilizzato con molta ignoranza. La residenza ha radici antiche: fino dal Settecento e Ottocento i giovani talentuosi andavano a Roma per studiare la grande arte del passato. Oggi il sistema residenze mette l’artista in mobilità, lo rende cittadino del mondo, ritagliando spazi per la creazione, la sperimentazione, ma soprattutto la ricerca.
Noi cerchiamo di destinare molte ore e molti spazi alla ricerca degli artisti: si tratta di danzatori, musicisti e performer che utilizzano la sala Ketty La Rocca, con la pedana danza in legno e il soffitto in vetro; di artisti visivi, registi, fotografi che chiedono uno studio e trascorrono settimane o mesi nelle nostre celle al terzo piano, nel silenzio del loro lavoro, senza distrazioni, ma con la straordinaria possibilità di uscire dalla stanza ed incontrare molti altri artisti e curatori vicini alla loro sensibilità.
Uno spazio dedicato, offerto senza chiedere in cambio opere ad hoc, ma piuttosto in ascolto delle necessità degli artisti stessi, che lavorando mettono a fuoco i tempi necessari, e decidono cosa condividere con la cittadinanza e in che tempi, senza obblighi contrattuali, in piena libertà creativa che si traduce sempre – lo dico con cognizione di causa- in momenti di grande generosità verso la cittadinanza che li ospita».
Come scegliete gli artisti? Che percorso, lei con i suoi collaboratori, instaurate con loro?
«Ogni anno cerchiamo di indire almeno due bandi ordinari, ovvero due call per gli artisti che intendono lavorare a MAD per tempi superiori a una settimana. Agli artisti viene messo a disposizione uno studio o la pedana danza, e risorse economiche per i materiali o i trasferimenti o l’ospitalità.
Inoltre ogni anno produciamo almeno 5 mostre con residenze nazionali o internazionali con curatori e artisti direttamente chiamati a lavorare qui, con la committenza di nuovi lavori artistici, su tematiche di grande impegno sociale, dal post-coloniale al genere, dall’ecologia al paesaggio.
L’intero staff è vicino agli artisti: chi si occupa degli aspetti amministrativi, chi del calendario e dell’organizzazione, chi dei materiali e degli allestimenti, chi ancora di aspetti curatoriali. Ogni membro del gruppo di lavoro partecipa ad ogni fase della ricerca degli artisti».
Nel vostro complesso, la cittadinanza è parte attiva e partecipativa; che attività proponete per loro, oltre alle esposizioni e alle personali?
«Non tutti gli artisti desiderano fare progetti partecipativi. Ultimamente abbiamo invitato due artisti desiderosi di sperimentare progetti inclusivi e fortemente partecipati. Si tratta di Jacopo Baboni Schilingi, con Il respiro dei sogni, e di Ilaria Turba con Le simmetrie dei desideri. Entrambi i lavori hanno coinvolto la cittadinanza in modo molto forte e all’interno della processualità della creazione artistica, che ha interessato direttamente i corpi, i sogni, oppure i desideri, le abilità e gli aneliti delle donne e degli uomini della nostra comunità. Però anche quando gli artisti non praticano percorsi di questo tipo, amano confrontarsi con gli altri, talvolta con giovani artisti, come Adrian Paci, talvolta con particolari cittadini come i carcerati, al centro della ricerca di Nicolò de Giorgis.
In ogni caso noi valorizziamo il lavoro degli artisti accompagnando le persone in mostra, raccontando loro il processo di generazione delle opere che nascono qui, rendendoli partecipi del mistero della creazione artistica».
Un luogo particolarmente toccante è quello delle celle di questo ex Carcere del Comune di Firenze, il Carcere duro, dove furono imprigionati tanti antifascisti. In quelle celle raccontano parte della loro storia. Che cosa sente, attraverso il lavoro fatto al MAD, di restituire alla loro memoria?
«Da sempre valorizziamo il carcere duro come uno spazio unico, un luogo iconico della resistenza antifascista e non solo. Nell’ultimo anno abbiamo lavorato con il dipartimento mediazione Mus.e, educatori, archivisti e storici dell’Istituto Storico della Resistenza Toscana, insegnanti e giovani museologi ad un progetto di valorizzazione dedicato alle scuole medie e alle scuole superiori, attraverso due diversi laboratori esperienziali ed emotivi, che faranno rivivere il carcere ed il contesto di cui è stato protagonista».
Pensando a Murate Art District, il suo stato d’animo attuale.
«MAD è un luogo unico nel panorama nazionale. Ne siamo fieri e allo stesso tempo non siamo mai soddisfatti del lavoro, che deve sempre andare oltre».
Come vi vedete domani.
«I tempi richiedono una vera e propria militanza culturale. Mi auguro che avremo modo di crescere in spazio e in comunicazione, con possibilità di offrire sempre maggiori possibilità agli artisti, opportunità di mobilità, supporto alla produzione, ma soprattutto una comunità di appartenenza, di scambio e di resistenza».