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Sulle spalle dei giganti #2. Intervista a Massimo Scrocca per Varsi Art&Lab
Arte contemporanea
Sulle spalle dei giganti: questa rubrica nasce per indagare come l’arte, anche inconsapevolmente e in tutte le sue variegate forme, possa determinare le nostre vite. L’arte contemporanea, l’arte del nostro tempo, si avviluppa e si sviluppa nel presente, ne fa conoscere ritmi e pulsioni. Attraverso l’arte leggiamo e interpretiamo i dettagli della storia, fra le tradizioni da seguire e le sue rotture. Conoscerla porta quindi, inevitabilmente, a conoscere l’essere umano? Questo il quesito dal quale siamo partiti per la nostra indagine. Oggi la parola va a Massimo Scrocca, direttore di Varsi Art&Lab.
Varsi Art&Lab
Varsi è stata fondata nel 2013 da Massimo Scrocca come Galleria d’arte nel centro storico di Roma, per esplorare le espressioni legate al movimento artistico dell’Arte Urbana e Contemporanea, con l’intento di realizzare mostre collettive e personali e di promuovere l’arte pubblica sul territorio nazionale e internazionale.
Dal 2013 al 2019 sono state realizzate oltre 50 mostre con i più importanti artisti di nazionali e internazionali, tra cui 108, Broken Fingaz, Borondo, Alberonero, Sebas Velasco, Etnik, Run, Sbagliato, Tellas, nonché illustratori come lo statunitense Jeremy Fish, oltre a due storici writer quali Skeme e Blade, che hanno raccontato le radici di questo movimento artistico.
Nel 2019, l’attività della Galleria Varsi si è evoluta, in collaborazione con il co-working Ala/34, nella creazione di Varsi Art&Lab, una nuova realtà con un laboratorio, come luogo di sperimentazione e contaminazione, specializzato nella realizzazione di serigrafie in edizione limitata. Varsi Art&Lab inoltre, attraverso una distribuzione e-commerce, offre la possibilità a collezionisti provenienti da tutto il mondo di entrare in contatto con gli artisti e di acquistarne le opere.
La parola a Massimo Scrocca
Il primo ricordo, istantaneo, che avete di Varsi.
«La mostra di Skeme, il primo evento che abbiamo ospitato nel 2013. Ci siamo trovati di fronte uno dei pilastri della storia del writing e dovevamo trovare il modo di gestire l’interesse suscitato dalla presenza a Roma di un artista di quel calibro. Avevamo la galleria piena di gente e nessuna esperienza. È stato molto bello».
L’ultimo, in termini cronologici.
«La residenza di Nelio, artista francese, che in questi giorni lavora con 56Fili all’interno del nostro laboratorio ad una serie di opere inedite che saranno presentate all’inizio di dicembre».
Che scelte state facendo per raccontare l’arte contemporanea oggi? Realizzate residenze d’artista? Cosa è più interessante scoprire attraverso queste attività?
«La scelta che abbiamo fatto, ormai quasi tre anni fa, per continuare a raccontare l’arte contemporanea in un mondo che cambia sempre più velocemente è stata quella di “rompere” con la struttura canonica della galleria d’arte. In questo modo il nostro orizzonte ha potuto allargarsi oltre le mura di uno spazio espositivo, creando una realtà sempre più indirizzata alla sperimentazione di tecniche e linguaggi in uno luogo che ci permette di seguire il processo creativo dalla produzione alla vendita.
Nel nostro laboratorio ospitiamo infatti in residenza artisti italiani e internazionali che qui hanno la possibilità di entrare in contatto con le realtà artigianali che sono la spina dorsale di tutte le nostre produzioni: lo studio di serigrafia 56Fili, lo studio creativo di legatoria artigianale She.Lab e lo studio di design Base/34 lavorano fianco a fianco con gli artisti mescolando tematiche, tecniche, abilità e visioni artistiche.
Ciò che maggiormente ci affascina nel processo di produzione è proprio la contaminazione che avviene e che molto spesso porta alla creazione di lavori distanti dall’idea iniziale con cui l’artista si approccia alla residenza, ma che portano con sé il valore aggiunto della collaborazione e dello scambio reciproco.
Nell’ultimo anno abbiamo ospitato Borondo, 108, CANEMORTO, Matth Velvet, Sbagliato, Ciredz, mentre per l’inizio del 2023 abbiamo in calendario le residenze di Servadio, Alberonero ed Erosie».
L’online è presente nella vostra realtà anche con attraverso una distribuzione e-commerce, come valutate questa esperienza rapportata all’arte contemporanea?
«L’online è una parte fondamentale del nostro modo di raccontare l’arte contemporanea. Sin dai nostri inizi l’e-commerce è stato uno strumento che ci ha permesso di esporci verso un pubblico sempre più vasto che non fosse imprescindibilmente vincolato alla nostra posizione geografica.
Negli ultimi anni qualsiasi settore ha visto mutare il proprio processo di vendita e ha riscontrato la necessità di affacciarsi a nuovi canali e strategie. Non fa eccezione il mercato dell’arte contemporanea per il quale il digitale offre numerose occasioni che, dal nostro punto di vista, hanno il merito di ampliare i segmenti di pubblico al quale rivolgersi, contribuendo così a promuovere una nuova crescita della vendita d’arte».
A vostro avviso, il pubblico che ne fruisce sta cambiando? Se sì, in che direzione?
«Nei nostri quasi dieci anni di esperienza abbiamo visto mutare in modo significativo il pubblico che si avvicina alla nostra realtà. Come dicevamo, il lavoro di comunicazione digitale ha portato un forte incremento di acquisto da parte di clienti che si approcciano per la prima volta al collezionismo di opere o di stampe in edizione limitata. Contemporaneamente rimane vivo l’interesse di quella parte di clientela che segue assiduamente il mondo dell’arte contemporanea e i suoi protagonisti».
Cosa è oggi un’opera d’arte?
«Credo che un’opera d’arte si definisca oggi nello stesso modo in cui è sempre stata definita. L’arte è un linguaggio, un alfabeto senza codice che ciascun artista crea per sé e tramite il quale veicola un messaggio. Lo spettatore accoglie quel messaggio e lo traduce attraverso il proprio alfabeto. L’opera d’arte è come una parola di cui riconosciamo il significante “universale”, il cui significato prende invece forma “nell’individuale”».
Tre capolavori – che voi ritenete tali e di qualunque genere – per descrivere la vostra Galleria (e una spiegazione che ci faccia capire perché avete scelto proprio quelli e non altri).
«È difficile scegliere tre lavori per descrivere Varsi. Le opere che mi vengono in mente sono state realizzate da artisti con cui collaboriamo sin dagli esordi e ciascuna di esse identifica uno stadio dell’evoluzione di Varsi.
Le opere realizzate dal collettivo israeliano Broken Fingaz per la mostra personale “Reality Check” che abbiamo ospitato nel nostro primo spazio nel 2017. Tra queste quella che forse è rimasta maggiormente impressa nell’immaginario collettivo è la scultura in terracotta “FINGA”.
I lavori realizzati da 108 in collaborazione con 56Fili per la mostra serigrafica “Livelli 3rd Edition” del 2018. Esse esprimono le numerose possibilità del mezzo serigrafico per la realizzazione di opere in serie ma anche in edizione unica.
Per ultimo non posso non citare i capolavori di Gonzalo Borondo. Numerose sono le produzioni che l’artista spagnolo ha realizzato per Varsi, le ultime delle quali durante la sua residenza dello scorso Marzo. Per l’occasione Borondo ha realizzato una serie di opere dal titolo “Monumenta” che raccontano del legame tra l’uomo e il monumento. Queste opere nascono dalla ricerca caratteristica del lavoro dell’artista sul legame tra l’essere umano e il contesto che lo circonda e muovono verso nuovi interrogativi».
Domani, come vi vedete?
«Nel nostro domani vediamo quello che stiamo costruendo oggi, che speriamo diventi sempre più solido, permettendoci così di concentrare le nostre energie su nuovi progetti che coinvolgano un numero sempre maggiore di protagonisti, per creare nuove collaborazioni e sinergie. Nel futuro prossimo abbiamo in programma nuove residenze, workshop, fiere di settore (la prima delle quali sarà Roma Arte in Nuvola, dal 17 al 20 Novembre) e molto altro».
Pensando alla Galleria, il vostro stato d’animo attuale.
«Siamo soddisfatti del lavoro svolto fino qui e siamo determinati a portarlo avanti e ad evolverci ulteriormente, mantenendo stretta la nostra identità ma con un’attitudine e una mente aperta verso tutto ciò che può aggiungere valore al nostro lavoro».