Entrare in un luogo riaperto al pubblico dopo 40 anni può generare stupore ma anche suscitare riflessioni e connessioni inaspettate. È quello che accade varcando la soglia della Chiesa della Compagnia della Disciplina della Santa Croce, nello storico quartiere di Forcella, a Napoli, facendo il primo passo sul pregiato pavimento maiolicato. Sede dal 1290 di una delle confraternite più antiche, l’Augustissima Compagnia della Disciplina della Santa Croce, questa chiesta è lo spazio scelto da Art Days Napoli Campania – la manifestazione d’arte contemporanea diffusa in tutta la Regione – per accogliere SUPERFICI IRREGOLARI. Sette narrazioni sulla frammentazione dell’animo umano, progetto espositivo che presenta una selezione di opere della Collezione Iannaccone, raccolte in «Un unico grande contenitore di racconti senza tempo, legati da un filo conduttore che crea un dialogo tra di loro».
Con l’organizzazione di Martina Campese e Letizia Mari, la mostra si inserisce nel più ampio progetto La Porta dei Sogni, avviato nel 2022 da Altra Napoli in sinergia con l’Augustissima Compagnia della Disciplina della Santa Croce, con il coinvolgimento di enti del terzo settore che già operano sul territorio, quali l’Associazione Sanitansamble, ASSO.GIO.CA. e la cooperativa MANALLART, giovane realtà che si occupa della promozione turistica di Forcella. La mostra sarà visitabile fino al 26 novembre 2023, mentre sabato, 18 novembre, alle ore 17, si terrà una visita guidata d’eccezione con il collezionista Giuseppe Iannaccone e il curatore Daniele Fenaroli (prenotazioni qui).
Giuseppe Iannaccone, di origini avellinesi, fonda nei primi anni ’70 l’omonimo studio legale a Milano. Nei primi anni ’90 scopre la passione per l’arte e inizia la sua raccolta, collezionando prima opere degli anni tra le due guerre e poi lavori contemporanei, che riflettono le realtà dei nostri giorni nelle loro sfumature.
«Ogni artista presente in questa suggestiva cornice – scrive il curatore della mostra, Daniele Fenaroli – porta con sé la necessità di trasmettere un messaggio, non necessariamente esplicito, ma che inviti a una profonda riflessione su ciò che la mera apparenza non è in grado di mostrare, che ci conduca, strato dopo strato, al profondo significato celato ad una vista superficiale». Ce ne parla meglio lo stesso Iannaccone, che abbiamo raggiunto per una intervista.
La sua collezione rispecchia la sua visione del mondo. Una visione che subisce nel tempo delle evoluzioni, fino a diventare una vera e propria narrazione. Per l’esposizione nella Chiesa della Compagnia della Disciplina della Santa Croce (Na) le narrazioni sono sette, c’è un motivo in particolare?
«Devo fare una premessa. Dopo aver fatto mostre in tutta Europa, fare una mostra a Napoli ha un valore particolare per me, che sono di Avellino. In realtà questa mostra si inquadra perfettamente con la mia ricerca, con la mia collezione degli anni ‘30, con le opere tra le due guerre, ovvero con l’intento di ricercare la poesia dell’animo umano. In questa ottica è normale che l’animo umano subisca delle ritorsioni diverse in base alle condizioni storiche nel quale si trovano. Non c’è una ragione in particolare: sette sono i luoghi della chiesa che ospitano le mie opere. C’è invece un collegamento tra le sette opere perché sono artisti provenienti da varie parti del mondo, che esprimono però delle riflessioni diverse di quello che appare, ovvero delle riflessioni dell’intimo umano, delle realtà che raccontano una storia in qualche modo completa dell’animo dell’uomo».
La mostra ha come titolo Superfici irregolari. Cos’è per lei l’irregolarità e quanto può essere necessaria per realizzare una collezione valida nel tempo?
«Il valore non deriva dall’estetica dell’opera ma dalla poeticità dell’animo umano, che è irregolare. Per esempio, nell’opera di Pietro Moretti la cipolla al suo interno è regolarissima, ci sono dei centri concentrici perfetti. Se invece si volesse tagliare l’animo umano lo troveremmo irregolare, caratterizzato da segni che collimano l’uno con l’altro. La meraviglia dell’arte è proprio quella di poter spaziare fra mille irregolarità, fra mille discese e strade che non hanno mai una dimensione prevedibile».
Le narrazioni proposte fanno riferimento alla frammentazione dell’animo umano. Un tema importante, che ricorre in molteplici forme nelle opere in mostra e apre innumerevoli domande sull’attualità e sul prossimo, se non imminente, futuro. Quale domanda o domande si pone, prima di acquistare un’opera per la sua collezione?
«Non faccio nessuna domanda, perché la domanda è cosa si cerca nell’arte. La poesia sublime. Quando incontro un’opera che esprime in maniera originale una poetica mai affrontata prima, io la compro. Perché quell’opera stava cercando me».
Tre gli artisti italiani in mostra – Pietro Moretti, Patrizio Di Massimo e Roberto Cuoghi -, poi la vietnamita Tammy Nguyen, l’olandese Rineke Dijkstra, e la sudafricana Zanele Muholi con la turca Zehra Doğan. Che differenze o punti in comune si possono individuare tra queste visioni che, inevitabilmente, risentono delle influenze politiche e culturali dei propri Paesi di provenienza?
«L’animo umano è la parte più sensibile di noi. L’artista è colui che prima di altri si accorge dei dolori e delle tensioni e, attraverso la sua opera, scatena momenti di riflessione. Gli artisti in mostra, a seconda della loro provenienza e del loro vissuto, raccontano una storia ogni volta diversa. Ci sono artisti italiani come Patrizio di Massimo, Pietro Moretti – che sarà in mostra in collezione a Milano (dal 25 novembre al 2023 ad aprile 2024, ndr) – o Roberto Cuoghi che non hanno nulla da invidiare agli artisti stranieri. Io non sono uno psicologo, non vado alla ricerca degli stati d’animo ma delle poesie. Io mi fermo solo a guardare quegli artisti che riescono a declinare, in modo poetico, quello che hanno dentro».
La sua passione nel ricercare il capolavoro assoluto di un artista minore, piuttosto che l’opera minore di un grande artista, ha decisamente caratterizzato la sua collezione, donandole uno spirito militante. Cosa l’ha portato a scegliere una strada così coraggiosa?
«La ricerca appunto del capolavoro. A me non interessa il mercato o se un artista è veramente affermato o no. Io voglio un’opera da fuoriclasse. La gioia più grande è stata quando Pietro Moretti si è innamorato di Arnaldo Badolli, un artista che ho acquistato molto ma che sul mercato non ha un grande valore e non è molto conosciuto. Ma si tratta di uno degli artisti degli anni Trenta in grado di esprimere poesie sublimi. Nella mia collezione non è l’artista più famoso ma è certamente, in un mio ideale, il più grande di quegli anni, tra i primi cinque. Ecco perché l’opera minore del grande artista non arriverà mai a dare un’emozione, mentre il capolavoro dell’artista minore può commuovere».
Dopo più di 30 anni di esperienza nel mondo dell’arte, che consiglio si sente di dare a un giovane collezionista e ad un giovane artista?
«Studiare la storia dell’arte. Il gusto personale deve essere educato. Gli artisti non si possono innamorare della loro tecnica, perché non è abbastanza. Chi non merita di aggiungere una pagina nuova alla storia del passato, meglio che non ne faccia parte».
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