Nel contesto dell’arte contemporanea globale, dove le narrazioni culturali e nazionali spesso affrontano stereotipi e semplificazioni, la mostra Nigeria Imaginary, curata da Aindrea Emelife, curatrice di Arte Moderna e Contemporanea presso il MOWAA, si distingue come un tentativo coraggioso di sfidare e rinnovare le percezioni comuni della Nigeria. Attraverso l’esplorazione di nuove prospettive e immaginari alternativi, la mostra si propone di ridefinire le narrazioni dominanti e di offrire una visione più sfumata e complessa del paese, attraverso opere commissionate e site-specific di un gruppo intergenerazionale di artisti: Tunji Adeniyi-Jones, Ndidi Dike, Onyeka Igwe, Toyin Ojih Odutola, Abraham Oghobase, Precious Okoyomon, Yinka Shonibare CBE RA e Fatimah Tuggar.
Situato nelle mura del Palazzo Canal del XVI secolo, Nigeria Imaginary si presenta come il contemporaneo del Mbari Club, vivace centro culturale fondato nel 1961 a Ibadan da Ulli Beier e dai giovani scrittori come Wole Soyinka e Chinua Achebe. Conosciuto anche come The Art Society, ambiva ad essere un ‘laboratorio di idee’ nei primi anni dell’indipendenza, un luogo in cui miti, esperienze della modernità coloniale, educazione morale e fantasia utopica si intrecciavano. Credevano fermamente che l’arte dovesse essere un impegno nazionale, una questione di interesse pubblico. Ed è sulla base di questi sentimenti che la curatrice Aindrea Emelife, ha pensato il Padiglione Nigeria, contenitore di quelle innovative e stravaganti re-immaginazioni di questa nuova scuola di artisti.
Interessati dalle modalità con le quali Aindrea sia risuscita a trattare tali delicate tematiche legate alle narrazioni culturali e nazionali africane, spesso stereotipate ed eccessivamente semplificate, le abbiamo posto alcune domande:
La mostra si propone di riflettere sulle costruzioni culturali e sociali che definiscono la Nigeria contemporanea. Come hanno affrontato gli artisti i temi dell’identità culturale, del cambiamento sociale e della memoria storica nel contesto di “Nigeria Imaginary”, e quali sono stati i risultati più significativi o provocatori di questi approcci?
«Molti artisti usano momenti della storia come punti di partenza, immergendosi in questi passati immaginari per esplorare nuove configurazioni del passato e del presente. Entrando nella mostra, si percepisce la speranza che permea la nostra nazione. Una volta immersi in quella speranza, i suoni provenienti dal paesaggio sonoro collettivo di Precious Okoyomon ci trasportano in uno stato di sogno.
Il lavoro di Yinka Shonibare nel Padiglione spinge a riflettere su come la perdita del patrimonio artistico influenzi l’immaginario della nazione. Shonibare immagina un futuro alternativo: gli oggetti sono reclamati e esposti con audacia, non come reliquie di una cultura primitiva perduta, ma come esempi di sofisticazione e innovazione artistica.
Tunji Adeniyi-Jones continua una tradizione modernista di sua invenzione contemporanea, interagendo con la tradizione della pittura a soffitto, spingendoci a immaginare un pittore nigeriano patrocinato dalle scuole o confraternite di Venezia. Le figure di Toyin Ojih Odutola comunicano nell’immaginario e la casa Mbari diventa un sito e una metafora. Abraham Oghobase complica la narrazione dell’obiettività e dell’autorità nei documenti scritti e fotografici del periodo coloniale della Nigeria.
Onyeka Igwe esplora quali prospettive avrebbero potuto avere i film realizzati in Nigeria dall’Unità Cinematografica Coloniale gestita dallo Stato britannico poco prima dell’indipendenza. Ndidi Dike analizza l’intersezione tra le proteste EndSARS del 2020 e la riemergenza del movimento Black Lives Matter, collocandosi sul vettore della criticità e della speranza. Infine, con Fatimah Tuggar esploriamo il potenziale immaginativo e innovativo del nostro artigianato, riflettendo sulla pressione coloniale che ha de-prioritizzato la creazione artigianale e guardando a un futuro di ibridazione culturale.»
Nel contesto dell’arte contemporanea globale, come cerca “Nigeria Imaginary” di sfidare e rinnovare le narrazioni dominanti e le percezioni comuni della Nigeria esplorando nuove prospettive e immaginari alternativi? E come le tue esperienze precedenti come curatore di mostre coloniali e decoloniali hanno influenzato il tuo approccio a questa mostra?
«Gli artisti sono volutamente interdisciplinari, multigenerazionali e rifiutano una presentazione molto “maschile”, in parte per affrontare gli stereotipi ristretti solitamente attribuiti all’arte contemporanea africana. Questa diversità di approccio, memoria culturale ed emotiva e medium presenta una sorta di “manifesto” per una Nigeria nuova o immaginaria.
L’idea è di comprendere il postcoloniale e contemporaneamente andare oltre. La colonialità non è la conversazione dominante, l’immaginario lo è. Questa è la chiave per la liberazione; attraverso l’immaginario, guardiamo indietro e esploriamo strade non percorse, storie alternative e futuri ancora da realizzare.»
Considerando l’importanza della Biennale di Venezia come piattaforma internazionale per l’arte, quale ruolo cruciale gioca l’arte nel mettere in discussione e ridefinire le identità culturali e nazionali? Come speri che le opere esposte in “Nigeria Imaginary” contribuiscano a una comprensione più profonda e sfumata della cultura nigeriana, e quali riflessioni o risposte più profonde speri che i visitatori portino con sé?
«Il ruolo, a mio avviso, è quello di mettere in discussione. La nazionalità è costantemente in evoluzione. Presentando opere di artisti con molteplici punti di interazione con il loro paese d’origine, viene mostrata la vastità multifaccettata e la complessità. La storia della Nigeria è prioritaria e si infiltra nell’esperienza contemporanea e globale per immaginare nuovi futuri. Spero che le persone portino con sé la consapevolezza che c’è molto di più nella storia della Nigeria e del mondo di quanto ci sia stato raccontato. Che l’immaginario vive nel passato e nel futuro, e che l’arte è la memoria emotiva e il catalizzatore per sognare per il mondo.»
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