L’artista danese-islandese Olafur Eliasson è noto per le sue installazioni spettacolari, e low tech, fondate sull’utilizzo di materiali “naturali” in grado di attivare nello spettatore una maggiore cognizione del sé e del mondo circostante.
Lo dimostra il fatto che, spesso, la sua arte non abbia solo apportato modifiche all’architettura del museo che le ospitava, ma anche allo skyline della città stessa, come «esperienza di consapevolezza superiore non solo del lavoro, ma anche della nostra posizione in relazione all’istituzione».
Proseguendo questa traiettoria, l’artista presenta una nuova esposizione, intitolata The Living Observatory, presentata allo spazio culturale The Art Space 193 di Daejeon, in Corea.
L’ultima opera di Eliasson appartiene a una coerente serie di sculture, film e installazioni che trattano questioni attuali quali la condizione dei rifugiati e la crisi climatica. In tale lista troviamo la sua creazione sotto forma di realtà aumentata per The Shed, a ovest di Manhattan; Life, la mostra “mutante” alla Fondazione Beyeler di Basilea fino all’iconica trasformazione nel 2003, con The Weather Project, dei 3.400 mq della Turbine Hall, alla Tate Modern di Londra.
The Living Observatory è un “co-prodotto dell’esperienza fisica del fruitore”, secondo quanto detto dall’artista, da sempre lontano dall’idea di soggetto neutrale e a favore di installazioni “vitali” che fungano da “autoritratti dello spettatore”. Tale concezione biocentrica, secondo la quale le opere d’arte vengano completate dall’esperienza fisica del pubblico, dimostra quanto Eliasson abbia una rinnovata fiducia nel potenziale della posizione soggettiva. L’intento dell’artista non risiede nel superare il sistema, riferendosi alla sua struttura, piuttosto cambiando la nostra percezione di esso, partendo proprio dall’individuo.
Caratterizzata da sei interventi interconnessi e attraversabili, quest’ultima installazione coinvolge lo spettatore in un tour di forme e colori, tecniche e concetti, proiettandolo verso una continua esplorazione della pratica dell’artista. Dal punto di vista formale, passaggi e tunnel geometrici presentano un’infinità di illusioni ottiche, come il trompe l’oeil e l’anamorfosi, nelle quali il visitatore vi può accedere ed esplorare.
In un primo momento esse si intravedono a distanza, secondo una distribuzione spettrale, e in un successivo momento appaiono, invece, su diversa scala. Materiali e motivi ricorrenti rievocano una narrazione spaziale, spingendo i visitatori sempre più nella profondità dell’opera. Dal punto di vista cromatico, Eliasson divide The Living Observatory in quattro regioni, correlate allo schema dei colori primari CMYK (Cyan, Magenta, Yellow, BlacK), standard nell’ambito della stampa e della fotografia analogica. Il nero corrisponde al nord, il giallo al sud, il ciano all’est e il magenta all’ovest.
Sia i quattro campi di colore che gli interventi rivolgono lo sguardo verso l’esterno: i primi visibili dalle finestre illuminate e i secondi, che assorbono il paesaggio urbano dai riflessi e dalle immagini caleidoscopiche, creano un cortocircuito continuo tra interno e esterno.
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