È una vera e propria immersione nell’opera e nello spazio quella proposta da Paul Maheke (1985, Brive-la-Gaillarde, Francia) all’interno della Fondazione Arnaldo Pomodoro di Milano. Per il secondo appuntamento di Corpo Celeste, ciclo espositivo a cura di Chiara Nuzzi nel progetto osservatorio Project Room, la Fondazione ospita la prima mostra personale in Italia dell’artista francese la cui pratica esplora, a partire dal corpo inteso come archivio, la costruzione di memoria e identità attraverso storia e cultura dominanti, visibilità e rappresentazione.
Con The Purple Chamber – questo il nome della mostra milanese – Paul Maheke concentra e propone il frutto della sua continua ricerca, utilizzando media diversi che si contaminano tra loro, spaziando dall’installazione al video, dalla scultura al suono, al disegno e alla performance, elemento – quest’ultimo – considerato da lui centrale per la sua capacità di trascendere l’uso del linguaggio. In Maheke infatti il movimento, il gesto e l’ambiente diventano veicoli per esplorare il limite, il potenziale e la trasformazione in relazione all’identità e alla percezione umana. Ed è qui che l’artista condensa i temi che da sempre caratterizzano il suo lavoro all’interno di uno spazio di reinvenzione e meditazione: una vera e propria cosmologia, intesa dall’artista come un mondo che prende forma davanti al pubblico. Uno spazio in continuo mutamento nel quale elementi diversi – scultura, disegno, performance – si incontrano e si intrecciano l’un l’altro mantenendo tuttavia una loro potenziale autonomia.
Il pubblico è invitato ad addentrarsi in un ambiente intimo e spaesante, le cui pareti sono coperte da tende lilla che lasciano intravedere, in un continuo gioco di stratificazioni, sculture e disegni. Tra questi ci sono il corpus inedito The Purple Chamber series (2023) e un imponente wall painting – realizzati appositamente per la mostra – e alcune opere precedenti, come Sans titre (ombre blanche) (2020) e You & I (fallen orbiters) (2023). Nel loro insieme i lavori compongono un intenso dialogo tra corpo e superficie materica che scandisce il ritmo espositivo e trascende i limiti spazio-temporali. I disegni, realizzati con matita acrilica su pannelli di alluminio nero, traggono ispirazione dallo Psychomanteum, una stanza buia utilizzata da medium o sensitivi nel tentativo di entrare in dialogo con i morti attraverso uno specchio scuro. La superficie riflettente, qui restituita grazie all’alluminio nero dei pannelli, ha lo scopo di permettere l’apparizione spontanea di immagini e figure provenienti dall’aldilà, che l’artista evoca attraverso i disegni, confondendo il confine tra i vivi e i morti. I lavori possiedono una forte componente performativa che coinvolge il corpo dell’artista in un dialogo attivo con la superficie materica, similmente ad una coreografia e», come spiega la curatrice Chiara Nuzzi, «risultano da un processo di emersione, simile alla scrittura automatica, in cui le immagini non sono predeterminate né guidate intenzionalmente dall’artista, ma che nel processo di creazione si manifestano sulle superfici affiorando quasi inconsciamente».
In The Purple Chamber l’artista evoca così fantasmi e creature non umane che invitano il pubblico a riorientare il proprio modo di percepire, vedere e sentire. La mostra si configura dunque come progetto site-specific che, attraverso elementi eterogenei, guida i visitatori tra visioni sconosciute e identità ignote, approfondendo ulteriormente una ricerca tesa a individuare nuovi modi di comprendere il mondo e di produrre conoscenza, aprendo riflessioni immaginifiche in contrasto con le narrazioni tradizionali dello spazio e del cosmo. «The Purple Chamber tenta di articolare e destabilizzare le narrazioni dominanti – spiega ancora Nuzzi – trascendendo il limite del visibile umano attraverso la creazione di uno spazio sospeso per la meditazione e l’immaginazione, invitando a riconfigurare un sapere identitario capace di andare oltre le dinamiche gerarchiche e colonialiste attraverso una continua tensione tra ipervisibilità e cancellazione, intimità e voyeurismo».
Come per la prima mostra del ciclo di Project Room del 2023, dedicata al lavoro di Lito Kattou, anche in questa occasione un’opera di Maheke, legata ai temi della sua esposizione, viene allestita negli spazi di Fondazione ICA Milano creando una connessione spazio-temporale tra le istituzioni.
E se la prima esperienza si era già rivelata più che positiva, in questo caso potremmo dire: buona la seconda, per la Fondazione e per la curatrice. «Sono particolarmente soddisfatta e orgogliosa di questa collaborazione con la Fondazione Arnaldo Pomodoro», spiega Nuzzi a exibart, «e dei risultati che stiamo avendo da questa contaminazione di spazi e di creatività. Anche in questo caso, l’artista si è lasciato contaminare dalle molteplici influenze dell’ambiente che lo ospita, avendo già assimilato nella sua arte i notevoli influssi consegnati da Pomodoro nella sua lunga storia di artista».
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