23 aprile 2020

Tim il solitario: l’opera vivente di Delvoye continua lo streaming dal MONA, chiuso per Covid

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In questi giorni in cui tutti i musei del mondo sono chiusi, Tim, l’opera d’arte vivente di Wim Delvoye, continua a trasmettere in diretta dal MONA

Photograph: MONA/Jesse Hunniford 'Tattoo Tim', Wim Delvoye (2006. Image courtesy of the artist and MONA Museum of Old and New Art.

Nel momento in cui sto scrivendo, cioè le 16:25 di giovedì, 23 aprile – ma sì, infrangiamo questa parete dell’atemporalità tra l’autore e il lettore – Tim non c’è. Al suo posto, tutto intorno all’alto cubo nero sul quale è solitamente seduto per diverse ore al giorno, possiamo scorgere solo una penombra vagamente inquietante, espressione di quella sensazione, un po’ innaturale, di finitezza e di immobilità che emanano i musei quando sono chiusi e i corridoi sono silenziosi. Perché in Tasmania sono le 24:25 e il MONA-Museum of Old and New Art è chiuso. In effetti, il MONA, come quasi tutti i musei al mondo in questo eccezionale momento storico, è sempre chiuso al pubblico ma, nonostante l’emergenza Covid-19, Tim continua a svolgere ogni giorno e diligentemente il suo lavoro di opera d’arte. We’re still here, so is Tim, noi siamo ancora qui, e anche Tim, c’è scritto sulla pagina del sito del MONA, che trasmette in streaming questa opera d’arte “umana”, presentata dal controverso artista belga Wim Delvoye per la prima volta nell’ormai distante 2006.

Famoso per la sua ricerca radicale e provocatoria, Delvoye, attraverso il tatuatore Matt Power, ha disegnato sulla schiena di Tim – ex direttore di un salone per tatuatori – per due anni, fino al 2008, per 40 ore di incisioni: nacque così Tim 2006-2008. Da quel momento, Tim gira i musei più importanti del mondo insieme a Delvoye, come una tela umana, per mostrare ai visitatori il vistoso tatuaggio che ricopre tutta la sua schiena, completato dallo stesso Delvoye nel 2008. Dal 2011, Tim si espone al MONA, ambizioso museo a pochi chilometri da Hobart, conosciuto anche per l’organizzazione del festival di musica elettronica Dark MOFO, oltre che per la sua bella collezione, composta da oltre 1900 opere, di cui molte d’arte contemporanea, appartenenti alla collezione di David Walsh.

Tim però è esposto solo per sei mesi all’anno al MONA, visto che è stato acquistato dal collezionista Rik Reinking. Quando Tim morirà, la sua pelle verrà rimossa e conservata, come una tela. Fino ad allora, come parte del contratto, Tim, che non si considera un’opera ma solo un “supporto”, ha accettato di essere esposto in non più di tre musei all’anno. Da novembre 2019, Tim continua a venire ogni giorno al MONA, tranne il martedì, giorno di chiusura, rimanendo seduto al suo posto, di spalle, sul suo basamento, dalle 10 alle 16.30.

«Quando Tim ha chiesto se poteva stare seduto nel museo anche durante questa crisi, sono rimasto sbalordito ma non avrei dovuto. È il suo lavoro», ha commentato Walsh. Quando è seduto, del suo corpo vediamo solo la schiena riccamente tatuata, una madonna in preghiera, delle rose blu, dei pettirossi e delle carpe koi. La posizione delle luci nasconde il resto del corpo, la testa, le braccia e la metà inferiore è come se non ci fossero. Durante la performance – se si può ancora definire così –, Tim non parla e in questi giorni anche tutto intorno a lui c’è solo silenzio. E ora che qui è giorno mentre lì è notte e su quel basamento non è seduto nessuno, dalla camera in streaming, da quella inquadratura fissa e, adesso, assente, passano anche altre sensazioni, difficili da definire.

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