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Tino Sehgal a Bologna per lo Special Project di ART CITY
Arte contemporanea
Se fosse qualcosa di isolato, di separato da tutto, significherebbe che non è vita. L’arte è parte della vita ed è di tutti.
Tino Sehgal, uno degli artisti più radicali del nostro tempo, maestro nel trasformare l’idea di una coreografia di persone, vere e proprie sculture viventi, in un’azione performativa con cui il pubblico si confronta e genera movimento e situazioni nuove e irripetibili, è l’artista invitato per l’edizione del 2022 di Special Project di ART CITY Bologna.
Dal 13 al 15 maggio, Piazza Maggiore di Bologna, da sempre luogo di incontro e scambio, si trasforma in un’eccezionale cornice per 45 ballerini che si muovono, danzano e condividono storie con visitatori attenti e passanti casuali contribuendo alla definizione effimera di un corpo unico.
Non ci sono oggetti nell’arte di Tino Sehgal, le sue azioni hic et nunc nascono da una profonda riflessione sul valore e sullo spazio dell’arte come esperienza diretta: acquistano un senso specifico in quanto agite in un determinato tempo e in un determinato luogo, reagendo a particolari condizioni socio-emozionali, formali, politiche, culturali, temporali, legate a esigenze imprescindibili di site-specific.L’azione in Piazza Maggiore nasce e svanisce senza lasciare una traccia fisica ma favorendo l’occasione di un’esperienza da vivere. Là dove “occasione” vuol dire che il significato di qualcosa è determinato nel suo contenuto dall’occasione a cui deve servire, in modo che in tale contenuto ci sia più di quanto vi sarebbe indipendentemente da tale occasione. L’occasionalità così definita è contenuta nell’intenzione dell’opera e non le è solo imposta dall’interprete. È l’opera stessa che, nell’evento dell’esecuzione, accade.
Possiamo provare a comprendere quello che accade attraverso i corpi degli interpreti a Bologna immaginando delle relazioni fondamentali tra alcuni concetti chiave: effimero/archivio, azione/idea, collaborazione/estraneità, realtà/rappresentazione. In Piazza Maggiore accade qualcosa che è effimero, riconoscendo però che l’effimerità del lavoro non è in antitesi con la sua possibilità di archiviazione ma, al contrario, essa è garantita dalla documentazione solo esperienziale e mnemonica che ne sopravvive. Accade qualcosa che è il risultato di un’addizione, ovvero la somma di azione e idea che ci permette di comprendere quale gesto abbia in sé la portata estetica, la natura e la qualità dei processi coinvolti nell’azione. Accade qualcosa che è reale e al contempo rappresentato, che noi percepiamo come immediato perché è un rapporto sapientemente mediato tra esperienza e medium. Quanto alla collaborazione e all’estraneità, invece, Tino Sehgal lascia la possibilità di scegliere di entrare nell’azione o di andarsene.
Se si sceglie di entrare, accade qualcosa che va oltre la semplice azione. Entrare significa partecipare allo stato di concentrazione dell’artista, degli interpreti e dell’opera stessa. Ci si lascia avvolgere, dandosi la possibilità immensa di aprirsi all’inaspettato, fondendosi con gli interpreti, muovendosi con loro, condividendo i loro racconti o diventando destinatari di una loro storia. Come, per esempio, quella di una ragazza fino a poco prima sconosciuta e poi all’improvviso initmamente connessa a te, una storia che nasce da una riflessione sui rimpianti. Quanti rimpianti abbiamo nella nostra vita? Tanti, forse troppi. Ma solo valutandoli tutti insieme riconosceremmo quelli significativi. E una volta riconosciuti ci sentiremmo forse svuotati, nuovi. Pronti, vale a dire, a ripresentarci a qualcuno con una nuova storia. E sarà naturale raccontarsi in una situazione piena d’amore, qualunque sia la sua forma, perché allora né rimpianti passati né dubbi futuri conteranno più: ci sarà solo quell’hic et nunc colmo di significato, quel momento reale, e unico, che impedirà il mero ritorno dell’identico.
L’azione di Tino Sehgal in Piazza Maggiore è tutto questo, da un punto di vista critico e al contempo partecipato, ma la sua natura effimera ne impedisce la conservazione. E allora, cosa resta? Rievocare l’esperienza non significa riprodurla: rievocarla implica un atto creativo il cui tratto essenziale è proprio quella capacità di condurre l’azione nel margine più o meno stretto, ma densamente ricco di possibilità, che si apre tra il preordinato, ovvero la partitura, e il contingente, ovvero l’occasione concreta e sempre differente di ogni singola esecuzione.
Ecco, cosa resta.