Titina Maselli (Roma 1924-2005) nasce da una famiglia di intellettuali, la madre era Elena Labroca discendente da una famiglia di musicisti e il padre era il critico d’arte e giornalista Ercole Maselli che nella Roma degli anni trenta e quaranta rappresenta una figura di riferimento per gli artisti e i letterati. Sin da piccola Titina vive immersa in questo milieu culturale che vede tra i protagonisti Emilio Cecchi, Silvio d’Amico, Corrado Alvaro, Massimo Bontempelli e Paola Masino, Palma Bucarelli, Alfredo Casella, Alberto Savinio e Luigi Pirandello.
Ancora bambina espone, con il supporto del padre, le prime opere nel salotto di casa nel 1936 quando ha appena 12 anni. Di quel periodo è infatti Pianoforte con ragazzo (Citto), nella quale l’artista dipinge con colori tonali e pennellate rapide il fratello Francesco intento a leggere seduto in un angolo; quel ragazzino diventerà poi il noto regista, Citto Maselli.
Una traccia importante nel percorso di Titina l’ha lasciato Toti Scialoja che dal 1945 diventa suo marito per un breve periodo. Sono opere come Macchina da Scrivere, 1947 e Natura Morta sull’asfalto, 1948 – che risentono della tangenza con Toti all’epoca pittore già affermato – nelle quali figurazione e astrattismo si compenetrano, è evidente l’attenzione all’oggetto di uso quotidiano e il colore è denso e materico.
La prima mostra personale è nel 1948 alla galleria L’Obelisco di Gaspero del Corso a Roma ed è presentata da Corrado Alvaro. Titina non ama la pittura della Scuola Romana e dei Tonalisti che ha però frequentato grazie al padre negli anni giovanili. Divenuta adulta, in giro per Roma non è catturata dalle immagini della città monumentale, barocca o imperiale, ma va in cerca di una città più moderna che scorge nelle immagini notturne delle periferie desolate e piene di fantasmi. La voglia di sprovincializzarsi e distaccarsi da una famiglia che, seppur borghese e profondamente inserita nel contesto romano aveva origini molisane, la porta a trasferirsi a New York nel 1952 – dove rimane per quasi quattro anni. Qui le sue visioni notturne si fanno ancora più evidenti, la figurazione si semplifica sempre più tanto da diventare essenziale e talvolta lascia il posto a una composizione maggiormente astratta come in Albero nella notte, 1955.
La lezione dell’avanguardia storica è evidente – in particolare quella del Futurismo – ma viene superata con la ricerca degli archetipi della modernità. Calciatore verde, anni ’50, è un’opera che prelude quasi a quella che sarà la produzione del periodo newyorkese dove la sua indagine mira a mettere in relazione spazio, corpo e movimento elementi che stanno alla base della serie dei calciatori che Titina porta avanti per lungo tempo come Calciatore parata, 1951, Calciatore rosso, 1970 ca, Calciatore, 1970 ca, Calciatori in Corsa, 2002. L’attenzione dell’artista non è volta tanto all’oggetto nello spazio e nel tempo ma all’oggetto che modifica lo spazio e il tempo. Il calcio come la box sono sport di massa e Titina oltre ai calciatori inizia a dipingere anche i boxer. Anche queste – Boxeurs, 2002, Boxeurs, Paris 2003 – sono opere attraversate da un dinamismo vibrante con una potente forza espressiva.
New York, simbolo della città moderna, rimane in sottofondo in molte opere come ad esempio Elevated Grattacieli/ Calciatore ferito, 1984 che verrà presentato alla Biennale di Venezia di quell’anno, la suggestione che l’artista ha avuto arrivando nella città americana è talmente forte che prosegue a dipingerla in continuazione.
Titina ha sempre mantenuto un certo distacco con gli artisti della Pop Art e seppur Baci Perugina, 1960 ca., citi esplicitamente uno dei simboli clou dell’era capitalistica italiana, l’atteggiamento dell’artista rimane di diffidenza rispetto alla profusione dei nuovi simboli oggetti merceologici che hanno caratterizzato il Pop americano con la sua limpidezza e nettezza visiva.
Negli anni settanta si trasferisce a Parigi e risiede alla Ruche; frequenta Eduardo Arroyo, Gilles Aillaud e Camilla e Valerio Adami; le tematiche della sua pittura rimangono le stesse ma viene attenuato lo sguardo indagatore e il focus sui particolari che aveva caratterizzato il periodo precedente. In questi anni si avvicina al teatro realizzando moltissime scenografie, sia in Francia che in Italia, che si caratterizzano per l’estrema sintesi espressiva e per il minimalismo degli elementi.
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