Fino al 22 novembre, nella suggestiva cornice rinascimentale di Palazzo e Giardino Giusti – cuore della Veronetta, l’antico quartiere di Verona culturale e underground -, si accendono le opere di “To be Played – Video, immagine in movimento e videoinstallazione nella generazione ottanta”, grazie alla collaborazione di Artverona e Careof. Curata da Jessica Bianchera e Marta Ferretti e promossa da Giardino Giusti e dall’associazione culturale Urbs Picta, “To be Played” raccoglie le opere prodotte dopo il 2010 da 10 artisti nati negli anni Ottanta, giovani – tuttavia già inseriti nel sistema dell’arte – che conducono una “ricerca fresca ma strutturata”.
In esposizione a Palazzo Giusti, per “To be Played”, la produzione di Helen Dowling, Nina Fiocco, Anna Franceschini, Adelita Husni-Bey, Invernomuto, Michal Martychowiec, Elena Mazzi, Jacopo Mazzonelli, Giulio Squillacciotti e Luca Trevisani è accomunata da una proliferazione ibrida dei linguaggi – forme documentarie, cinema, fiction e sperimentazione radicale racchiuse in opere scultoree, foto o video – e da un uso estensivo dell’installazione. Prerogativa della generazione ’80, che – nonostante l’intensa esposizione – si è meglio adattata al cambiamento epocale dall’analogico al digitale, è sicuramente quella di “non essere monodimensionale”, scrive Bianchera.
Nessuno degli artisti coinvolti si è consacrato ad un unico linguaggio o ha optato per una definizione univoca del sé. In un territorio, sia esistenziale che artistico, dove i caratteri sincretici sono conciliabili, Jacopo Mazzonelli (Trento, 1983) è un musicista e artista visivo che si cimenta con sculture, assemblaggi e installazioni nel segno del “gesto musicale” (le mani in aria del direttore d’orchestra Leopold Stokowski in Dido’s Lament). Giulio Squillacciotti (Roma, 1982) invece, è regista e ricercatore orientato all’indagine antropologica sull’archivio e sulle storie riattivabili nel discorso di finzione, o attraverso un elemento accidentale (il messaggio in segreteria di Scala C, interno 8).
Per il polacco Michal Martychowiec (Lublino, 1987), nelle serie concettuali – compiute ma simultaneamente aperte alla riorganizzazione – di fotografie, film, disegni, neon, oggetti, installazioni e ambienti multimediali – le immagini e il supporto si fondono. Non si tratta più di un’opera video immateriale trasportata da un file, ma di un medium che ingloba la radiazione del suo dispositivo. Parliamo di uno schermo che si espande, e inondando altre superfici, trasforma le opere in ambienti. L’imperativo è uscire dallo schermo. Immagine che fa subito pensare al display Wax, Relax – copia della copia in cera della grotta di Lourdes a Vernasca – del duo Invernomuto (Piacenza, 1982/83). Questa presenza organica “extraschermo”, con i suoi universi estetici e registri eterogenei, viene sradicata e sovrapposta alla memoria dell’Appartamento 900 di Palazzo Giusti (riaperto al pubblico dopo lavori di ristrutturazione). Ma Wax, Relax dinamizza anche l’esperienza fruitiva richiamando l’asse principale del giardino – il viale dei cipressi – che conduce ad una grotta reale rivestita in origine da specchi.
La stessa materia rifrangente di cui si serve Elena Mazzi (Reggio Emilia, 1984) per il video (Pirolisi Solare) installato in giardino, che documenta un progetto energetico avveniristico. Se l’opera monumentale di Invernomuto, l’installazione a due canali di Helen Dowling (Windsor, 1982) e il video di Mazzonelli occupano il salone d’onore, innestandosi sugli affreschi a soggetto mitologico e sulle numerose specie arboree, le altre opere si dispiegano nelle restanti 7 sale secondo una prassi mimetica. Il luogo le incorpora in maniera discreta e naturalmente istintiva, favorendo il contatto diretto fra poli concettuali estremi.
La danza dei serpenti nel video Physical Examination di Luca Trevisani (Verona, 1979) esalta proprio questo aspetto: la possibilità di esplorare tattilmente una superficie bidimensionale – il video – sprizzando tridimensionalità . Esattamente ciò che si può fare in mostra con il device interattivo che permette di sfogliare il prezioso archivio video (8500 opere catalogate) di Careof.
In un’ottica di approfondimento “dilatato”, lo strumento permette di dare scientificità ad una mostra “volutamente non esaustiva” e dar seguito al Programma Educational (di formazione e studio) lanciato durante questa 15ma edizione di ArtVerona.
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