Tra storia e arte: in mostra il Rinascimento Bresciano di Moretto, Romanino e Savoldo

di - 26 Ottobre 2024

La Leonessa d’Italia, Città delle Mille Miglia, o, più semplicemente, Brescia. Questo è il nostro punto di partenza geografico.

Quello, invece, temporale, lo possiamo collocare nel Rinascimento, in particolare nel Cinquecento in cui Brescia risultava essere tra le venti città più popolose del continente europeo, più di Roma e più di Madrid; uno dei centri nevralgici della Repubblica di Venezia in terraferma, uno dei maggiori centri economici, sociali e culturali dell’Europa del tempo. L’anno di svolta è il 1512, momento in cui le truppe francesi, condotte da Gaston de Foix, saccheggiarono la città provocando un trauma che generò fermento, un capovolgimento dell’ordine costituito che ebbe ripercussioni immediate alla città.

Foto di Alberto Mancini

Proprio in questo ‘nuovo clima’ inizia il viaggio all’interno della nuova mostra di Fondazione Brescia Musei e Comune di Brescia, co-prodotta da Skira, Il Rinascimento a Brescia. Moretto, Romanino, Savoldo. 1512-1552, a cura di Roberta D’Adda, Filippo Piazza e Enrico Valseriati, in cui attraverso oltre 60 opere d’arte, con prestiti nazionali e internazionali, usando come teatro di tutte queste rappresentazioni la città di Brescia, restituisce al pubblico di oggi lo spirito di un’epoca. L’esposizione è resa straordinaria grazie alla presenza di prestiti provenienti da alcune tra le più importanti istituzioni internazionali.

Inoltre, non sono esposte solo opere pittoriche ma anche oggetti, libri, armature, strumenti musicali che diventano testimoni di questo periodo. La mostra che presenta cinque sezioni – Sterminio, Devotione, Armonia, Virtù, Affanni – è ospitata presso il Museo di Santa Giulia.

Nella prima sezione, STERMINIO, la drammaticità del Sacco di Brescia è straordinariamente evocata dalla Presa di Brescia dello scultore milanese Agostino Busti detto Bambaia, concepita per il monumento funebre del comandante francese Gaston de Foix che guidò l’operazione militare. Fresco di restauro è invece lo Stendardo dei disciplini di Moretto, esposto nella seconda parte, DEVOTIONE, conservato nel Tempio Canoviano di Possagno. L’opera, appartenuta ad Antonio Canova, documenta l’importanza assunta nella Brescia del Cinquecento dalle confraternite laiche e dalle pratiche di orazione mentale in uso presso di esse.

Le inquietudini generate dal Sacco trovano pacificazione, come illustrato nella terza sezione della mostra, ARMONIA, nella musica e nella natura, sintetizzate dal Pastore con flauto di Savoldo dal Getty Museum di Los Angeles. L’effigiato, probabilmente un gentiluomo sotto mentite spoglie, incarna lo spirito dell’intellettuale del tempo, dedito alla pratica musicale e attratto dalla vita rurale a contatto con la natura.

Foto di Alberto Mancini
Foto di Alberto Mancini

Virtù, lusso e modalità di autorappresentazione sono veicolate nel quarto segmento della mostra, VIRTÙ, in cui spicca lo sfolgorante Gentiluomo di Romanino, ammantato da un indimenticabile veste d’oro damascata.

L’immagine guida dell’intera esposizione, nell’ultima parte, AFFANNI, è il celebre ritratto di Fortunato Martinengo – in mostra grazie allo straordinario prestito dalla National Gallery di Londra – nel cui sguardo enigmatico Moretto ha riversato le passioni, i dubbi, le aspirazioni e i sentimenti che caratterizzano i decenni raccontati dalla mostra.

L’esposizione risulta essere un progetto che si propone come occasione per immergersi in un periodo storico comprendendone gli aspetti artistici e umani. Un percorso tra arte, storia, filosofia e religione che svela un Rinascimento che ha saputo celebrare le donne, che ha identificato nella natura uno spazio di armonia e una fonte di possibile sviluppo, che non è rimasto indifferente ai primi fermenti di riforma religiosa e che è stato segnato da una immane tragedia ma ha saputo superarla. È il racconto di una città che indaga la sua storia e la sua identità attraverso i capolavori della sua più grande stagione pittorica.

Foto di Alberto Mancini
Foto di Alberto Mancini

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