Treviso, con quel suo centro storico ricco di palazzi che colpiscono per la loro bellezza e la loro cura, si presenta come luogo naturale per un armonioso matrimonio tra arte antica e arte contemporanea. Grazie all’amore della famiglia Benetton per il territorio di origine – che vede nella Fondazione il suo strumento operativo – è proprio l’arte contemporanea la protagonista indiscussa della città veneta. Se in Piazza del Duomo le Gallerie delle prigioni della Fondazione Imago Mundi ospita “Italian Twist”, una ricca collettiva di 19 giovani artisti, e mette al centro la produzione artistica italiana, in via Cornarotta Palazzo Bomben della Fondazione Benetton Studi Ricerche, accoglie l’elegante personale “InDivenire. La metamorfosi del sughero” di Silvia Canton.
La ricerca della Canton sottolinea una attenzione particolare della città di Treviso nei confronti di linguaggi artistici capaci di trasmettere messaggi profondi e ricchi di etica. Grazie alla disponibilità e al supporto di Amorin Cork Italia, azienda leader mondiale del sughero, la grammatica espressiva della Canton, che si basa sul riciclo del sughero vergine, si pone al centro di una tematica molto attuale che è la tutela dell’ambiente e lo sviluppo sostenibile. Partendo da un materiale di poco valore economico, la Canton non solo ha saputo rendere i suoi lavori materici, ma è anche riuscita a dare al sughero un valore estetico in grado di indagare e scuotere l’animo dell’osservatore. In Vaia. Il supertite, l’artista ha impresso le sue emozioni sulla tela dopo avere osservato le zone devastate dalla tempesta Vaia delle Dolomiti bellunesi e, come scrive Alessandra Redaelli, curatrice della mostra, «è un’opera dinamica, vorticante, dove l’imprimersi della pennellata sulla tela è a tratti vento incalzante e a tratti tronco tagliato del quale si possono leggere gli anni nei cerchi concentrici della sezione, in cui la pittura si alza in onde che sono al tempo stesso folate e rami, e in cui il sughero si pianta come un paladino, una protezione». Nell’opera Acqua Granda chiari sono i riferimenti alla grave marea che nel 2019 ha devastato la città di Venezia procurando vari danni anche a luoghi ricchi di storia e cultura come la cattedrale di San Marco esplicitamente inserita nel quadro quasi fosse un «vascello fantasma, oramai sradicata, rapita al mondo». In Mattanza il sughero si colora di rosso a simboleggiare la crudeltà di una pesca che colora di sangue le onde del mare. Così realismo e simbolismo diventano due poli essenziali di tutta l’opera di Silvia Canton e, essendo perfettamente integrati tra loro, non mancano di catturare non solo lo sguardo, ma anche l’anima di un attento fruitore che non può rimanere inerme di fronte a tematiche tanto attuali.
Altre tematiche vengono affrontate dai giovani artisti italiani – nati tra gli anni ottanta e novanta del secolo scorso – che espongono alla Galleria delle prigioni. Sono circa una quarantina le opere presentate che – utilizzando una definizione cara al filosofo francese Renè Daumal – si potrebbe dire essere il corollario di un ampio “lavoro su di sé”, un modo per studiare il problema della definizione dell’individuo nel contesto ambientale e sociale. Infatti, l’obiettivo di Elisa Carollo e di Mattia Solari – curatori di “Italian Twist” – è quello di far emergere la vivacità artistica italiana in uno stato di ricerca incessante, fremente e dinamico. Sperimentatori di forme, linguaggi e colori, gli artisti ospitati nelle vecchie celle della prigione analizzano i grandi temi della società odierna. Questi artisti oscillano tra un recupero della tradizione artistica figurativa come, ad esempio, la pittura di Paola Angelini e di Iva Lulashi, e un’arte da considerarsi più di ricerca, sia ideologia che spirituale.
È il caso di Serena Vestrucci, Fabio Roncato e Luca Trevisani che analizzano in modo originale la tematica del tempo e catturano l’occhio del fruitore con opere di forte impatto visivo. Invece Christian Fogarolli – con il suo progetto Stones of Madness – esplora il tema del disagio mentale, mentre Riccardo Giacconi espone due maschere e tre tende a simboleggiare i sipari di un teatro vuoto, come vuoti sono stati, nel periodo della pandemia, i luoghi di cultura. Interessante è White torture, l’installazione site specific di Alessandro Simonini che riveste completamente una cella di tortura con 1200 calchi di gesso del dito indice che si rifà all’idea della Vergine di Norimberga, celebre strumento di tortura: un chiaro messaggio sia in termini letterali come condanna giudiziaria, sia in termini psicologici.
Il tema dell’intolleranza e del bullismo viene affrontato da Ruben Montini nel video Se non uccide fortifica e con le sue Pale d’Altare sulle quali compone parole utilizzando indumenti personali che diventano un vessillo per l’uguaglianza nella diversità e uno strumento di visibilità per coloro che lottano per una società più inclusiva ed equa.
Ad affiancare la collettiva le collezioni di Imago Mundi che raccontano la vasta e varia creatività italiana. Una raccolta di 420 artisti che hanno presentato, in formato 10x12cm, la loro idea di arte e di Italia e che il curatore, Luca Beatrice, ha intitolato “Praestigium” perché, come scrive Luciano Benetton nell’introduzione al primo catalogo «partendo dalle prestigiose radici latine su cui poggia la nostra eredità, ha l’ambizione di far scoccare una scintilla di ottimismo, creatività, energia vitale».
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