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Tullio Brunone, Lo sguardo indagato
Arte contemporanea
«Cercare nuovi percorsi linguistici all’interno del linguaggio tecnologico, indirizzarne i messaggi, in funzione di un allargamento degli orizzonti di visione e dei processi di relazione… Presupposto di fondo è la convinzione che il ruolo dell’artista, soprattutto oggi, stia proprio in questa capacità di produrre uno scarto riflessivo e produrre l’intensità di un punto di vista altro sull’esistente». Sono parole di Antonella Marino sull’opera di Tullio Brunone, tratte dal libro “Lo sguardo indagato” edito da Scalpendi 2024, con prefazione di Angela Madesani promotrice di un serrato dialogo con lo stesso artista, e ‘compagna di viaggio’ dal 2004, avendone seguito i molteplici sviluppi.
Senza tema di smentita possiamo dire che queste poche parole contengono i cardini su cui poggia buona parte della riflessione artistica e filosofica della nostra contemporaneità, di cui Tullio Brunone, come artista e ricercatore si è fatto interprete.
Il libro – che accompagna la mostra in corso presso la galleria di Francesco Clivio di Milano – racchiude uno dei percorsi più significativi del nostro panorama artistico contemporaneo. Basti pensare alle ricerche degli anni Settanta; a quel Laboratorio di Comunicazione Militante fondato da Brunone nel 1976, insieme a Paolo Rosa, Ettore Pasculli, Giovanni Columbu e Claudio Guenzani, in cui le problematiche – già presenti a partire dal 1968 nell’esperienza dello Studio G28 – arrivano a maturazione nei circoli delle realtà del proletariato giovanile e nelle scuole, con le lucide analisi dei linguaggi mediali, di cui si darà ragione con l’ occupazione dell’ex chiesa di San Carpoforo di Milano – che diventa Fabbrica di Comunicazione – uno «Spazio – come recita l’incipit del manifesto – aperto nel centro cittadino per una cultura che ci appartenga, per affermare un nuovo diritto sociale a conoscere, inventare e produrre».
Un percorso, quello di Brunone, in cui si intrecciano più linee di ricerca, che spaziano dalla didattica – portata avanti con la Scuola di Nuove Tecnologie all’Accademia di Brera – alle numerose esposizioni personali in cui l’artista si interroga sugli effetti dello sviluppo tecnologico sulla cultura. Non a caso, al centro di queste interrogazioni, resta proprio la questione del ‘sociale’ in cui la posta in gioco è lo sviluppo dell’individuo nella società; una partita che non può prescindere dalla conoscenza, dall’influenza e dall’uso delle nuove tecnologie nel campo della comunicazione e della formazione. Tutto ciò – sostiene l’artista – è “l’elemento che ha generato il mio pensiero sull’arte. La certezza e il motivo per i quali fare arte si identificano con il profondo radicamento di questa nel tessuto e nella dimensione sociale. L’imprescindibilità e la necessità dell’arte di un intenso significato nell’individuo, e non soltanto un fenomeno da inserire in un sistema produttivo, bensì dotata di un fondamento e una funzione di crescita culturale.”
E dunque, a ben vedere, basterebbe quest’ultima locuzione di Brunone per interrogarsi sulla deriva attuale del sistema dell’arte, aprendo l’osservazione anche sui risvolti negativi e ipertrofici dell’hype, che sul piedistallo tutto d’oro della grande finanza porta la kermesse di quell’arte trasformatasi in merce – in buona parte molto lontana da una profonda necessità di rinnovamento spirituale – ancorchè svincolata da una cultura di appartenenza radicata nel tessuto sociale.
E dunque una ricerca, quella di Tullio Brunone, che ci conduce sul sentiero della critica radicale, ad osservare con acutezza la perdizione dell’individuo nelle maglie della tecnologia; qualora quest’ultima non venga conosciuta ed assunta in funzione creativa e conoscitiva.In particolare, una conoscenza creativa rivolta verso temi di fondamentale importanza, come quello del ‘tempo’, dell’ ‘attimo’, indagato a più riprese in mostre – per nominarne alcune – come ‘Asimmetrie del tempo II’ al Festival di Locarno del 1990, in cui il gioco del pendolo è affidato ad un monitor oscillante, che mette in luce “il contrasto tra pesantezza della materia e la leggerezza impalpabile del filmato realizzato con effetto Larsen”. Si pensi anche all’opera Galileo presentata anche ad Innsbruck nel 1992 e poi a Sant’Arcangelo Festival- Teatro dell’ascolto nel 1995 in cui il tema affrontato è quello del moto perpetuo.
Brunone apre lo sguardo, e lo arricchisce con la sapienza di una ricerca profonda. Uno sguardo all’esistente, all’individuo colto nella sua pregnanza, di essere nel tempo e nello spazio; con l’assoluta e imprescindibile necessità della vicenda umana colta nella sua complessità; in cui l’uomo è sempre agente tra agenti, in quanto essere ‘sociale’ che costruisce la storia nella sua ‘polis’, nella comunità di appartenenza. Lo testimoniano alcune opere presenti in galleria, in cui lo sguardo dell’uno si riflette e si ritrova in quello dell’altro, e verso sè stesso. Il che vuol dire, ‘relazione’ e ‘interazione’. Uno ‘sguardo indagato’ che rivela la sua originaria matrice di interattività.
Sono – queste ultime – acute consapevolezze, già anticipate nel Manifesto del Laboratorio Militante: “Sociale è la gestione e non lo spazio: sociale quindi può essere la cella di una galera se costituisce la ragione e l’occasione per innescare idee, azioni e rapporti sociali. Anche una piazza affollata, invece (o una manifestazione) può non essere sociale se si risolve in pura immagine, in forma e colore, destinata alla contemplazione privata. Il concetto di sociale quindi non equivale né può essere ridotto a quello di ambiente ed è frainteso anche da chi crede di operare nel sociale solo in quanto opera nell’ambiente, determinando, su scala urbana, la trasposizione dei metodi e dei contenuti espressi all’interno delle strutture tradizionale (quadro/murales, scultura/monumento)”.
“La forza della sua ricerca” – scrive Angela Madesani nella prefazione – “è coincisa proprio con la riflessione, lo studio, l’informazione continua che lo hanno portato a essere un libero battitore, assai anticonformista, dell’arte”.