Spazi molto ampi, scenografia sobria e grandi tele: abbiamo visitato in preview la mostra che il Centre Pompidou dedica a Georg Baselitz fino al 6 marzo 2022, aperta in occasione della settimana della FIAC. La programmazione dell’istituzione, per il biennio 2021-2022 è molto intensa, in previsione della chiusura per lavori: sulla facciata il bellissimo neon Qu’y a-t-il entre nous? di Tim Etchells, nelle sale una retrospettiva sull’artista americana Georgia O’Keeffe, aperta l’8 settembre scorso e da pochi giorni la seconda su Georg Baselitz. Con la complicità dell’artista, che ha oggi 83 anni, il pubblico parigino e non scoprirà le stagioni più importanti della sua attività artistica.
Era necessario un percorso cronologico per permettere di “sfogliare” l’indagine artistica di Baselitz prima e dopo la caduta del muro di Berlino. Un fascino particolare è emanato dalle tele dai paesaggi di campagna sottosopra o da una maestosa aquila. L’animale è a testa in giù, prospettiva che diventerà la cifra stilistica di Baselitz. Dipinta nel 1972, l’opera Fingermalerei-Adler ci fa riflettere: l’aquila sta spiccando il volo o sta precipitando? Si tratta di un motivo ripreso dal blasone e simbolo della Germania o di un souvenir dell’infanzia dell’artista trascorsa in campagna? Il motivo emblematico dell’aquila ritorna più volte in altre opere della mostra. Provocatore e oggetto di processi, Georg Baselitz propone in una sua opera proprio una svastica: Pauls Hund (Remix) del 2008 ha al centro il simbolo (in rosso) del sole usato durante in Nazionalsocialismo e una sedia, copiata dal dipinto La Chaise de Paul Gauguin della collezione Van Gogh a Amsterdam.
Come prolungamento della sedia, la svastica si impone con il suo colore rosso ma anche come simbolo di potere e di pace, come lo intendevano le numerose culture ancestrali. Il simbolo è stato poi strumentalizzato dal regime nazista dopo averlo ruotatun contesto astratto. A metà percorso si trovano una serie di dipinti (sempre in formato monumentale) dedicati a Edvard Munch. Si tratta di una reinterpretazione dei dipinti Autoportrait en enfer e Le Noctambule dei primi anni del Novecento del pittore norvegese. I volti macrabi, i violenti rossi di Baselitz sono ancora più spaventosi per via delle pareti che passano dalla tonalità bianca al grigio scuro. La penultima sala lascia senza fiato: al centro delle teste in legno dipinto di giallo circondate da grandi tele degli anni 80 e 90. Troviamo una donna viola nell’opera Bildneunundzwanzig del 1994, i cerchi neri e le chiazze colorate del Bildacht del 1991 e il Die Madchen von Olmo II del 1981, dove due ragazze in bicicletta viste dall’artista in Italia diventano delle silhouettes. Come non ricordarsi le figure femminili ritratte dal gruppo Die Brücke ?
Unica mancanza della mostra: la presenza di un’intervista a Georg Baselitz o di un filmato dell’artista in attività. Le piccole immagini in bianco e nero all’inizio del percorso nella sua biografia non hanno la stessa forza.
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