In occasione della mostra in corso alla Pinacoteca Agnelli fino a febbraio, ho avuto occasione di intervistare Simon Starling – tra le altre cose, vincitore del Turner Prize nel 2005 – che mi ha raccontato molte cose del lavoro esposto. Uno strano collegamento tra un antico dipinto di Tiepolo tagliato in due e una vecchia Fiat 125, anche questa frazionata.
Vorrei sapere qualcosa di più del tuo progetto sul lavoro di Giambattista Tiepolo Un alabardiere nel paesaggio, ora esposto alla Pinacoteca Agnelli di Torino (e se ricordo bene presentato qualche anno fa alla Galleria Franco Noero sempre a Torino). Come nasce il progetto?
«Nel 2018 avevo da pianificare due mostre per due diverse gallerie, una Torino e l’altra a Glasgow. Per qualche ragione, mi è venuta in mente la storia dipinto di Tiepolo che era stato diviso in due. Una parte del dipinto Il ritrovamento di Mosè fa parte della collezione delle Scottish National Galleries, mentre l’altra parte, la più piccola, Un alabardiere nel paesaggio, è nella collezione della famiglia Agnelli a Torino. In quel periodo il Regno Unito stava attraversando il processo della Brexit, un’idea assolutamente insensata dal mio punto di vista, e in qualche modo quel dipinto diviso mi sembrava riecheggiare il momento. Espongo a Torino da più di vent’anni e sono abituato a lavorare in modo molto diretto con l’arte, il design e le storie che riguardano l’industria manifatturiera della città. L’industria automobilistica in particolare ha fornito materiale a molti dei lavori che ho realizzato in occasione di queste mostre.
Per questa serie di mostre intorno al tema Beyond the collection, alla Pinacoteca Agnelli sottolineano sempre di volta in volta la posizione originale in collezione del lavoro esposto con un semplice rettangolo scuro. Questo mi ha fatto venire l’idea di esporre la mia opera dell’alabardiere di fronte al rettangolo vuoto, come se il personaggio del dipinto fosse magicamente uscito dall’opera per entrare nella galleria e nel momento presente. Per me questa è la perfetta essenza della mostra nel suo complesso, e tra l’altro implica inoltre me come attore nella storia.
Quella che si vede è la mia mano, la maschera è costruita per me. Tutto questo meccanismo, inoltre, rimanda alla natura teatrale del dipinto originale, con i suoi riferimenti alla commedia dell’arte, Con i suoi nani, il bambino che piange e il vecchio chaperon. La mostra è parte di un processo di apertura del dipinto, invita il pubblico ad entrarvi e forse i personaggi ad uscirne….
Ma i prestiti per la mostra sono una meravigliosa nuova evoluzione del progetto dalla sua prima interazione gemella a Glasgow e a Torino. Lo studio della copia intatta della tela originale non tagliata di Tiepolo, è stata decisiva per riconnettere i due frammenti storicamente. Lo studio della vicenda di quest’opera spiega in molti modi perché il dipinto fu diviso in due originariamente. A ben guardare, l’alabardiere appare curiosamente fuori scala rispetto al resto della scena, i disegni delle levriero, che sono forse per me uno dei punti più alti dell’intero dipinto, sono squisiti life studies di questi animali così particolari e ombrosi, e sono stati molto importanti anche per la composizione di altre opere di Tiepolo. Tutte queste informazioni donano nuove stratificazioni alla storia del dipinto e alle sue connessioni con la famiglia Agnelli. C’è qualcosa della soap opera in questa storia, sembra un family drama in cui gli stessi figli di Tiepolo recitano la loro parte – la figlia del pittore nel ruolo della figlia del faraone, e il figlio che ha seguito le sue impronte artistiche».
Il lavoro è anche una riflessione a proposito della relazione tra arte e cultura contemporanea e tradizione artistica del passato. E in più l’allestimento giustappone il lavoro con una operazione analoga, il taglio di una macchina Fiat degli anni ’60. Questo mi fa pensare all’anima industriale di Torino. Secondo te, in che modo l’arte e la cultura industriale dialogano tra loro? Intendo in questo lavoro in particolare, così come in altre tue opere, ma anche in un senso più ampio dal punto di vista sociale e culturale.
«Ho cominciato a pensare a vari modi per attivare la storia così particolare di quest’opera – o di queste opere, visto che il dipinto è stato diviso in due- in relazione alla storia della famiglia Agnelli e dell’industria automobilistica a Torino. Uno degli elementi chiave di A-A’, B-B’ è la macchina, una Fiat 125 del 1968 del tipo guidato da Gianni Agnelli, che è stata divisa in due pezzi nelle stesse proporzioni in scala in cui è diviso il dipinto di Tiepolo. La parte più piccola della macchina è ora posizionata in galleria direttamente sotto il dipinto tagliato. Questo semplice dispositivo formale crea un taglio fittizio attraverso l’intero spazio verticale della costruzione che ospita la mostra. Crea anche un collegamento molto diretto tra l’originale costruzione del Lingotto e lo Scrigno, la cui forma ricorda una navicella spaziale. Simbolicamente, rimanda anche all’arte del collezionare, alla manifattura automobilistica, Tiepolo, Agnelli, ecc…Naturalmente la 125 non è mai stata realizzata al Lingotto, tuttavia la connessione concettuale permane.
C’è una stampa appesa nel mio studio con sotto la scritta The meaning of making /the making of meaning. Si tratta di un semplice lavoro testuale, realizzato con ripetuti blocchi stampati di lettere fatte con patate tagliate a mano, ma rappresenta bene ciò che è in qualche modo la mission dei miei costanti tentativi di interrogare e conseguentemente attivare i mezzi espressivi e i significati del fare nel mio stesso lavoro. Questa interrogazione dei miei stessi processi produttivi è sempre andata in parallelo con l’interesse per la produzione industriale: una produzione non artistica da pensare in relazione ai manufatti industriali, ponendo il rarefatto in relazione a ciò che è prodotto in modo massificato, ciò che è fatto a mano con ciò che è fatto a macchina e così via. Questo è stato particolarmente rilevante per i lavori che ho fatto ed esposto a Torino, una città in cui la produzione artigianale e i manufatti di massa sono stati sempre intrecciati produttivamente. Sono stati questi incroci che hanno e reso il mio lavoro nella città cosi incredibilmente produttivo nei passati vent’anni, e hanno sicuramente dato forma alle mie idee a proposito di ciò che significa fare».
Tornando all’opera, alla fine, perché hai scelto Tiepolo e quest’opera in particolare?
«Giovan Battista Tiepolo è un pittore meraviglioso. I suoi lavori sono sempre pieni di luce, vita ed esuberanza. Ebbe un successo straordinario come pittore di corte, e ovviamente sapeva esattamente come affascinare le classi aristocratiche. Il ritrovamento di Mosè è un esempio perfetto di lavoro pensato per compiacere il committente, il nobile veneziano Andrea Cornaro. Tiepolo trasforma la storia biblica del ritrovamento di Mosè in una vicenda regale, creando dei collegamenti diretti tra la corte del faraone e quella della famiglia Cornaro. Il dipinto fu commissionato per una stanza di Palazzo Cornaro della Regina, che si affacciava sul Gran Canale di Venezia, e Tiepolo fa un collegamento tra le rive del Nilo nel dipinto e il corso d’acqua fuori dalla finestra del palazzo. Per me questo atto di travestimento della scena per compiacere l’aristocrazia risuona in modo molto interessante con l’immagine di Gianni Agnelli che guida 125 blu in giro per Torino. Quella di Agnelli era una strategia inversa, un dressing-down invece di un dressing -up. Forse lo faceva per compiacere i suoi lavoratori, come Tiepolo gli aristocratici?».
Come mai hai scelto proprio di lavorare proprio sulla parte più piccola del dipinto, quella scartata? Come va interpretata la tua scelta? Forse ha a che fare con il dare attenzione alla parte esclusa, spesso considerata marginale sia nella cultura, sia nella società?
«Mi chiedo se gli Agnelli fossero al corrente che L’alabardiere nel paesaggio era parte di un dipinto più ampio quando l’hanno acquistato negli anni 60. Io sono sicuro che la galleria che glielo vendette a suo tempo non raccontò tutta la storia. Ma sono anche sicuro che gli Agnelli siano stati affascinati dalla stranezza carismatica del dipinto. Una stranezza che resta in qualche modo latente proprio per il fatto che si tratta di un frammento. Ad un certo punto, mentre realizzavo il progetto sono rimasto colpito da come l’alabardiere di Tiepolo somigli in qualche modo fisicamente ad Eduardo Agnelli alla fine della sua vita. Questa impressione – che è una mera coincidenza perché Eduardo era ancora un bambino quando i suoi genitori comprarono il dipinto – assume una certa dimensione tragica in relazione a come andò a finire la storia di Eduardo, l’erede diseredato della Fiat».
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