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Un furgone di “affinità elettive” per Luca Vitone
Arte contemporanea
Domenica 6 settembre ha inaugurato al CSAC di Parma la Mostra “Luca Vitone. Il Canone“. L’idea della mostra nasce nel 2017 quando Luca Vitone è protagonista di una residenza d’artista di una settimana presso il CSAC dal titolo #Grandtourist. Nel corso di questi anni ci sono stati cambiamenti di rotta, rispetto all’idea originaria, che hanno influito sul risultato finale oggi visibile.
Luca Vitone è un artista da sempre interessato ai concetti di luogo, memoria, produzione culturale; con Il Canone propone oggi l’esito positivo della passata residenza, un omaggio al concetto stesso di archivio a partire dal furgone utilizzato fino all’inizio degli anni 2000 per la raccolta e il trasporto delle opere al CSAC.
Il mezzo di trasporto è allestito nell’imponente navata centrale della Chiesa dell’Abbazia di Valserena, sede del CSAC, seguito da una lunga “parata” di lavori e progetti che rappresentano un ampio spettro della ricerca artistico-culturale italiana del Novecento, selezionati dall’artista tra i fondi custoditi nel Centro Studi, scelti con un criterio del tutto personale. Nella visione di Luca Vitone il furgone è metafora dell’azione del prelevare e dell’agire per la raccolta e la costruzione dell’archivio e rimanda concettualmente all’opera Das Rudel di Joseph Beuys (1969), in cui 24 slitte in legno fuoriescono da un vecchio furgoncino Volkswagen. Come per Beuys, anche in questo caso, le 24 opere che il furgone dell’Università di Parma lascia dietro di sé sono collegate a episodi autobiografici dell’artista oppure ad autori che hanno profondamente segnato la sua crescita artistica. Tra questi figurano Ugo Mulas, Alighiero Boetti, Gianni Colombo, Lucio Fontana, Mario Schifano, Pietro Consagra, Luigi Ghirri, Erberto Carboni, Archizoom Associati/Lucia Bartolini, Walter Albini, Giosetta Fioroni, Michelangelo Pistoletto, Maddalena Dimt, Franco Albini, Danilo Donati/Sartoria Farani, Ettore Sottsass jr./Sottsass Associati, Andrea Branzi, alcuni numeri della rivista satirica «Il Male» e persino un artista anonimo. Nell’abside della Chiesa è allestito il monocromo intitolato Stanze eseguito dallo stesso Vitone nel 2017, in occasione della sua residenza, opera successivamente donata al CSAC.
Ho incontrato Luca Vitone al termine della prima giornata di allestimento. Qual è la chiave di lettura che ci consigli di utilizzare nella fruizione dell’installazione? Da cosa ci dobbiamo lasciar guidare nella visita alla mostra?
Consiglierei di iniziare il percorso osservando il furgone, lasciarsi poi guidare nella visione delle 24 opere seguendo la loro collocazione all’interno dello spazio espositivo. La sequenza delle opere rispetta la cronologia di arrivo delle stesse all’interno della collezione del Csac. Il primo artista è Ugo Mulas, perché delle 24 opere scelte il Fondo Mulas è stato il primo ad arrivare in collezione Csac nel 1973; segue Boetti e poi tutti gli altri.
La mostra si intitola “Il Canone” ci potresti spiegare la scelta di questo termine?
“Il Canone” è l’idea di mettere in mostra una serie di oggetti per delineare il percorso di formazione di un individuo: le opere scelte sono riferimenti culturali che mostrano la formazione intellettuale di una persona; dei circa 12 milioni di oggetti presenti al Csac sono state selezionate 24 opere a cui la mia biografia si relaziona. Per decidere il numero degli oggetti da mostrare mi sono riferito a un artista che considero canonico per il mio percorso e fondamentale per la cultura europea del dopoguerra, Joseph Beuys. La sua figura artistica, politica, sciamanica è stata un riferimento importante per la mia formazione, sia formale che ideologica.
“Il Canone” è un omaggio al concetto stesso di archivio a partire dal furgone utilizzato fino all’inizio degli anni 2000 dal CSAC per il trasporto e l’acquisizione delle opere. Il furgone bianco sarà allestito nella navata centrale della chiesa diventando quindi protagonista insostituibile dell’intera installazione. Quando è avvenuta questa intuizione?
La visione del furgone mi è servita per capire che cosa avrei potuto fare al CSAC. La sua presenza nel piazzale con la scritta dell’università sulle portiere gli dava un ruolo istituzionale anche se apparentemente sembrava abbandonato nell’angolo del parcheggio. Poi si è rivelato l’ultimo erede di una dinastia di furgoni serviti per trasportare gli oggetti raccolti da Arturo Carlo Quintavalle che hanno costituito l’archivio, per cui ho pensato che potesse essere l’elemento trainante della mostra. Non ricordo come sono arrivato a Beuys, però a un certo punto, durante i 7 giorni di residenza, ho pensato che il furgone potesse diventare l’immagine iniziale di questa esposizione e che il collegamento con la scultura di Beuys potesse servirmi a determinare il numero di opere da scegliere, basandomi sulle 24 slitte di Das Rudel del 1969 e sostituirle con 24 opere/oggetti della collezione CSAC. Un semplice escamotage per riuscire a selezionare il patrimonio smisurato e creare l’immagine scultorea per la mostra.
Quale criterio hai seguito nella scelta delle 24 opere?
Ho deciso che i 24 oggetti dovessero provenire da tutte le sezioni presenti al CSAC (Arte, Fotografia, Media, Moda, Progetto), ho deciso che tutti gli ambiti disciplinari dovessero essere coinvolti. Ho riflettuto sul mio percorso personale e ho pensato al primo ricordo legato all’argomento: un libro di Mulas che sfogliavo da adolescente sognando lo studio di Rauschenberg a New York, il libro era New York: Arte e Persone, di cui molte stampe originali sono custodite al CSAC.
I lavori e i progetti da te selezionati rappresentano un ampio spettro della ricerca artistico-culturale italiana del Novecento. Se potessi scegliere, quali 3 opere, tra quelle inserite in mostra, caricheresti sul furgone e porteresti con te?
Sicuramente indosserei il vestito di Creonte e prenderei una foto di Mulas. Il vestito di Creonte lo scelgo perché Edipo Re non solo è un testo fondamentale per analizzare il ruolo maschile nella società, ma in questo caso è riletto da Pasolini e Creonte era interpretato da Carmelo Bene uno degli uomini di teatro che ho amato di più e Mulas, come dicevo, è stato uno dei primi riferimenti culturali con il contemporaneo. Sono molto indeciso in merito al terzo oggetto da selezionare: potrei scegliere Fontana, che ho compreso realmente quando ero già artista. Il buco ha cambiato il modo di vedere l’arte nel dopoguerra. Un cambiamento di paradigma, un’idea di trasformazione dell’oggetto artistico che diventa in un solo gesto opera totale, e questo è già canonico. Per quanto riguarda Ghirri è semplice: un’inquadratura apparentemente occasionale si rivela universale. Ghirri mi è stato d’insegnamento quando ho iniziato a riflettere sul ruolo dei luoghi, l’uso della cartografia e la rappresentazione del paesaggio che ci circonda. Poi ci sono due scelte che mi hanno influenzato come spunti di riflessione sul ruolo del maschio: uno è l’abito di Casanova di Fellini, interpretato da Donald Sutherland. Il personaggio nel film diventa una marionetta, un oggetto sessuale parodistico dell’aspetto maschile. Il maschilismo rende l’uomo una marionetta, una figura istrionica, caricaturale e tragica che Fellini, in questo film, ha reso esplicito. L’altro oggetto è il Monumento al Partigiano di Consagra, che rappresenta la figura del ribelle antagonista che prende coscienza e contribuisce a far crollare la dittatura, evitando la retorica, con un segno scultoreo semplice e astratto. Ma Consagra è anche un esempio di maschio che ha saputo riflettere sul suo ruolo, penso alla conversazione con Carla Lonzi Vai Pure.
Quanto è importante l’idea di Archivio nella tua formazione?
Diciamo che ho avuto un’educazione che mi ha portato a essere curioso in diversi ambiti
disciplinari e che ha permesso la formazione di un archivio personale di stimoli, che a loro volta hanno costruito l’immaginario per il mio percorso artistico. Perciò avere avuto l’occasione di lavorare al CSAC per la prima residenza nel 2017, nell’ambito del progetto #GrandTourists, è stata un’esperienza inebriante e penso che chi in quegli anni ha avuto l’intuizione di raccogliere le opere come donazioni inalienabili per l’Università e quindi per i giovani studiosi, ha compiuto un atto civico esemplare dedicato alla società che viene, un atto che non credo abbia eguali nel nostro Paese.
Nell’abside della Chiesa sarà allestito il monocromo intitolato Stanze da te realizzato nel 2017, in occasione della tua residenza e, successivamente, donato al CSAC. Ci puoi descrivere quest’opera?
Stanze è un acquerello fatto con le polveri del CSAC, fa parte di una serie di mie opere in cui la polvere diventa pigmento per la pittura. La polvere è elemento primario e persistente di un luogo, metafora dell’archivio e immagine del tempo. Coinvolto in questa impresa, ho pensato di donare anch’io un’opera all’archivio e un monocromo di polvere mi sembrava il ritratto più idoneo per il CSAC.