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Un mare che brucia: Sigalit Landau all’Israel Museum di Gerusalemme
Arte contemporanea
Fino al 17 giugno 2023, l’ala Nathan Cummings per l’arte moderna e contemporanea dell’Israel Museum di Gerusalemme ospita la mostra “Sigalit Landau: The Burning Sea”, a cura di Amitai Mendelsohn. La vasta gamma di sculture, installazioni, opere video e fotografie, che comprende anche la più recente produzione di Sigalit Landau, viene presentata per la prima volta in Israele, sua terra natale e sua patria di elezione.
Landau con The Burning Sea ritorna dopo la personale del 1995 – al momento era una degli artisti più giovani invitata dall’Israel Museum – presentando per la prima volta in Israele l’interezza del suo lavoro sperimentale dedicato al Mar Morto che assume qui un significato particolare anche sul piano simbolico per essere questo il museo depositario dei preziosi Rotoli del Mar Morto.
Negli ultimi 20 anni, Landau ha sviluppato studi e sperimentazioni incentrati su quel paesaggio mitico, naturalistico e carico di storia che ha esercitato su di lei una profonda influenza fin dall’infanzia. E questa mostra, “Il Mare Ardente”, espone e chiarisce esemplarmente la complessità e il senso della sua ricerca. Non è frequente che le proprie radici territoriali siano così pervasive nella produzione di un artista e nel suo lavoro e in questo caso è rilevante che tali radici affondino, letteralmente, in un fenomeno naturale unico e fortemente connotato come il Mar Morto.
Vedere l’evoluzione e la maturazione dell’opera dell’artista israeliana – rivelatasi nella sua installazione alla Biennale di Venezia del 2011 – in un contesto così diverso, consente una lettura molto più ricca. Come non riflettere e riportare lo spirito di questa ricerca alla circostanza che avvenga in un museo di Gerusalemme, la città dove convergono le comunità delle tre religioni monoteiste che si fronteggiano in tutte le loro declinazioni cultuali, nella terra “di mezzo” dove tutto è accaduto da sempre e in prossimità delle rive del Giordano e, appunto, del Mar Morto.
Non è facile in questi giorni narrare della visita a un evento artistico in quell’area dove si riaccende la violenza della rivalità insanabile fra israeliani e palestinesi anche per la consapevolezza di averne percepito le avvisaglie e la quasi ineluttabilità nel girare per quelle terre contese di Cisgiordania, ferite da insediamenti sregolati o speculativi, da muri, recinzioni, posti di blocco ed evidenti disparità sociali ed economiche.
E così non resta che elogiare il tentativo sapiente di Landau di rappresentare a tutte le etnie coinvolte l’appartenenza comune di quei luoghi che nella memoria millenaria sono stati di volta in volta il centro o l’ombelico del mondo e di mescolare la dimensione della realtà sotterranea della citta di Gerusalemme, universale per la stratificazione millenaria di infinite popolazioni e dominazioni, con la suggestione primordiale dell’area del Giordano e del Mar Morto, orograficamente la più bassa della terra e caratterizzata dal fenomeno pressoché unico di totale assenza di vita, dalla quale tuttavia l’artista riesce a produrre oggetti/visioni dalla forte potenza emotiva.
Da quella realtà naturale infatti ha tratto ispirazione per dare vita a un processo di trasformazione che fa assurgere oggetti di ogni tipo, immersi per mesi in quelle acque, a una dimensione simbolica e magica: visioni sospese nell’ambiguità evocativa fra l’eternità della pietrificazione e la caducità del ghiaccio che si scioglie per l’innalzamento della temperatura o dei sali minerali che si disfano nelle inondazioni incontrollabili.
“The Burning Sea” presenta la selezione di una vasta produzione, dalle abbaglianti sculture incrostate di sale fino alle produzioni video e alle fotografie. Landau sperimentando nell’acqua satura di sale, mostra sia la meraviglia che la devastazione di questo sito in via di estinzione; per esempio Salt Crystal Bridal Gown (2014), una serie di fotografie subacquee che documentano il processo di cristallizzazione che trasforma un abito da sposa chassidico dal nero, al bianco immobile dei cristalli di sale come una citazione biblica della sorte della moglie di Lot; e ancora la prima di un nuovo video Island in the Sun (Bridge II) (2022) che ritrae il progressivo processo di sbiancamento di un mucchio di scarpe su un’isola di sale nel Mar Morto.
Il percorso espositivo riporta poi i visitatori a una dimensione più esplicita per ricordare la drammatica crisi ecologica e le divisioni politiche sul tema dell’ambiente, ma anche della possibilità di superarle. La tragedia del Mar Morto e il disastro ecologico causato dall’uomo incombono e rendono non più rinviabile l’intervento del governo di Israele e la cooperazione con i paesi vicini.
La mostra sembra volersi concludere con una nota ottimista, la proposta, su cui Landau sta lavorando da più di un decennio, di costruire un ponte sulle acque del Mar Morto dalla costa israeliana a quella giordana; una video-trilogia che oltre il Salt Bridge Summit, l’installazione video già vista alla Biennale di Venezia nel 2011, comprende David (Bridge I) (2022) e Across the Divide (Bridge III ) (2022), con un giovane che cammina su una fune tesa nel paesaggio del Mar Morto guardando verso oriente.