«Lo spazio non è omogeneo; vi sono rotture e fenditure: vi sono porzioni di spazio qualitativamente diverse dalle altre; c’è lo spazio “sacro”, forte, significativo, e c’è tutto il resto, la distesa amorfa e infinita, che circonda e contiene lo spazio sacro». Lo storico delle religioni Mircea Eliade nel suo scritto Il sacro e il profano distingue il limine concretamente “umano” tra questi due “luoghi”, trovando però punti di contatto tra cielo e terra attraverso miti, riti e simboli in grado di unire queste due dimensioni. Al superamento di questa dualità attraverso l’elemento materico che faccia da conduttore sembra protendere I figli di Afelio di Emanuele Marullo a Poggiorsini, in provincia di Bari, visitabile fino al 29 settembre 2024. L’intervento dell’artista, che si configura come un vero e proprio itinerario dal carattere installativo e multimediale, coordinato da VOGA Art Project, rappresenta la Puglia all’interno della quinta edizione di Una Boccata d’Arte (ne avevamo parlato qui), progetto d’arte contemporanea che coinvolge 20 borghi e paesi italiani, uno per ogni regione promosso dalla Fondazione Elpis. Nel borgo pugliese sono apparsi oggetti cosmici: un solido alieno, un frammento di cometa, elementi metallici recanti segni e suoni.
È la distanza tra corpi a segnare la riflessione di Marullo; “afèlio”, come indica la sua etimologia dal greco antico ἀπό «lontano da» e ἥ λιος «sole», è infatti il punto orbitale più lontano che un corpo celeste raggiunge rispetto alla stella madre del sistema solare: il Sole. La definizione che nasce con Keplero, sollecita Marullo ad aprire una riflessione sulla condizione tra corpi in un sistema di dipendenza da un altro centrale, per ripensare sia al loro posizionamento sia ad una visione di insieme tra soggetti e oggetti. È la relazione tra binomi io/altro, centro/periferia a rovesciarsi attraverso la materia delle opere realizzate e attraverso l’esperienza innescata nello spazio che le ospita. L’opera principale è “Lorica”, un astro in maglia di rame che, deviando dalla sua orbita spaziale e incastratosi sulla torretta dell’acquedotto del paese, non solo interagisce con l’ambiente circostante, ma anche con il cosmo stesso. Ogni giorno infatti, in accordo con il Sole, proietta la sua ombra sull’edificio e fungendo da meridiana evidenzia il trascorrere del tempo. Inoltre, sottoposta a un processo di naturale ossidazione, l’opera continuerà a trasformarsi nel tempo, segnando la sua inesorabile relazione con gli agenti atmosferici.
Centralità dei corpi dei viventi nello spazio, identità e relazioni tra elementi di specie distinte, Marullo conduce la sua ricerca più prossima a quella che si definirebbe un’esperienza immersiva volta al recupero di istanze cosmologiche. Che ruolo hanno avuto e possono avere ancora elementi differenti interagenti nella stessa orbita, eppure così distanti dalla stella principale da cui dipendono nei loro moti secondo una storia matrilineare ininterrotta? L’artista non fornisce nuovi rituali o eziologie di miti preesistenti, piuttosto traduce l’urgenza di trovare nuovi equilibri trasferendola all’interno di quelle relazioni instabili, come quella tra centralità e periferia.
La presenza di un corpo alieno invita a ripensare i posizionamenti, le identità e le relazioni, e si serve della materia per farlo, istituendo un parallelo tra il cosmico e il terreno. Il tema viene ulteriormente espanso nel ciclo di sette disegni su alluminio intitolato Diario. L’opera composita evoca archetipi millenari, esplorazioni interiori e tracce di vita locale, offrendo una narrazione che si muove dall’astronomico al microscopico. Ad accompagnare le opere visive, la sinfonia subacquea Apnea di Alberto Papotto che, in collaborazione con Marullo, aumenta il carattere immersivo del percorso. Il brano della durata di 29 minuti evoca dimensioni non terrestri, sprofonda dalla superficie per raggiungere abissi marini e farli risuonare. Quale dunque la nostra posizione di corpi soggetti-oggetti-figli nel cosmo e quale la nostra agency tra elementi universali, come la ricchezza delle comunità locali, e dimensioni universali, come lo spazio in cui orbitiamo? Farsi ispirare dalla condizione di distanza e come suggeriva Bruno Latour In L’agency ai tempi dell’Antropocene: «Lontani dal provare a “riconciliare” o “mescolare” natura e società”, l’obiettivo politicamente cruciale al contrario è la distribuzione dell’agency il più lontano e nei modi più differenziati possibili».
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