A Palazzo Reale di Milano nella struggente, austera e settecentesca Sala delle Cariatidi, parzialmente distrutta dai bombardamenti durante la Seconda Guerra Mondiale, negli specchi laterali si riflettono 60 opere di Emilio Vedova (1919-2006).
Quest’anno si celebra il centenario dalla nascita dell’erede di Tintoretto, pittore veneziano furioso, ribelle antifascista dal gesto irruento.
L’esposizione a cura di Germano Celant, promossa da Comune di Milano con la collaborazione della Fondazione Emilio e Annabianca Vedova, è tra le più importanti mai dedicate a un Maestro della seconda metà del Novecento.
Non è una mostra antologica, ma è dialettica, d’impatto teatrale nel presentare un corpus scelto di opere (dal 1940 al 1990), a confronto con la Sala delle Cariatidi: un contenitore fagocitante carico di pathos, dove nel 1953, fu esposto Guernica (1937) di Picasso, considerato il manifesto contro tutte le guerre di ieri e di oggi, l’indimenticabile simbolo delle mattanze umane.
E qui, lo sguardo dello spettatore si sorprende nella messa in scena di un cortocircuito visivo di straordinaria fusione tra spazio, sculture di grandi dimensioni e dipinti distribuiti lungo il percorso espositivo tortuoso e armonico al tempo stesso, in cui la pittura si fa gesto di denuncia contro il potere costituito, i soprusi le coercizioni di libertà individuali di sempre.
Le opere esposte di Vedova, dipinte a partire dalla sua esperienza in guerra, nell’ambito della Resistenza e del gruppo Corrente, fino alla ideazione del Fronte Nuovo delle Arti, valorizzano quel suo inconfondibile linguaggio astratto-geometrico, mescolando il segno tagliente dell’Espressionismo tedesco con tensioni geometriche di eco picassiano, dai toni accesi, segni aguzzi, spezzati, dinamici come schegge scagliate in aria, che rompono la rigidità formale della composizione e si librano nello spazio.
Lo distingue tra gli altri protagonisti del movimento Informale un segno graffiante, aperto, dal gesto vigoroso carico di energia drammatica contro qualsiasi figurazione e narrazione, vicino alle improvvisazioni della musica Jazz. Nella Sala delle Cariatidi si vive un atto unico dello sguardo plurimo dell’artista veneziano, che dagli inizi degli anni Cinquanta si lancia nell’esplorazione di una pittura gestuale condotta con coerenza e al tempo stesso capacità di rinnovamento perenne, sempre contemporaneo per i temi universali dell’esistenza umana.
Una carrellata di opere scelte dai cicli Protesta e Plurimi, strutture a cerniera, dinamiche e flessibili con i lavori sul tema del Disco e del Tondo, degli anni Ottanta, introducono una ricerca di armonia, un concetto di incastro tra ordine e caos. Ipnotizzano i suoi Dischi, Tondi, maestosi e liberi di muoversi nello spazio e altre strutture mutanti in trasformazione dal primo Scontro di situazioni ai Rilievi dell’inizio degli anni Sessanta, che permettono allo spettatore di immergersi nell’esplosione cromatica e formale di Vedova.
I suoi collage polimaterici e assemblaggi che si estendono nello spazio con pennellate contrastanti dallo Spazio inquieto n.4 (1955 ) al Ciclo ‘62/63 -B.3 (1962.1963), idropittura vinilica, carboncino e pastello su tela e altre ipnotiche opere, si snodano in una mostra emotiva non cronologica di un artista che concepisce il lavoro come azione psicologica, una dimensione da conquistare e trasformare costantemente. Per Vedova l’azione pittorica si compie come “un urto di verità, catartico rovescio per aprirsi a una nuova coscienza”.
Le sue linee spezzate, con angoli acuti o vortici proiettate oltre i limiti della tela lacerano equilibri formali e pulsano di energia, aggrediscono le superfici per placarsi nello spazio.
Progettata dallo studio Alvisi Kirimoto di Roma, l’allestimento diviene l’opera d’arte di una complessa e ritmata partitura dell’ambiente, concepito come un palcoscenico con l’obiettivo di valorizzare la sua implicita componente scenografica, e la profondità materica dall’essenza dinamica di Vedova. Avviene attraverso le opere posate anche a terra o distribuite lungo una parete lunga 34 metri e alta 5 che attraversa diagonalmente il salone.
Lo spettatore inizia la visita nella Sala del Piccolo Lucernario, che precede l’ingresso a quella delle Cariatidi, dove sono raccolte fotografie, opere a muro, modelli disposti su un tavolo espositivo centrale in pannelli OSB che anticipa il muro diagonale grigio. Nella Sala delle Cariatidi non sfugge allo sguardo una esile struttura luminosa sovrastante, verniciata di nero, che trasforma la struttura metallica a telaio autoportante, in un elemento non secondario della mostra e riprende gli strumenti che Emilio Vedova utilizzava nel suo studio di Venezia, scandendo il ritmo compositivo degli elementi architettonici all’interno della maestosa sala, dove lo sguardo si perde, per seguire anche il ritmo “disegnato” dalle luci che illuminano le opere a terra e due binari sospesi paralleli al muro con fari che valorizzano il dinamismo implicito nelle opere di Vedova.
Il percorso si chiude con Senza titolo (…als ob) ’96-97 e Chi brucia un libro brucia un uomo (1993), un disco plurimo che si trasforma in una sorta di libro circolare con le pagine mobili, e quando si bruciano libri, nel disprezzo delle diversità cultuali, si assiste al genocidio dell’umanità.
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