Un viaggio d’arte contemporanea, tra le storiche aziende vitivinicole italiane

di - 29 Settembre 2023

Settembre è porta d’autunno, anche se se ne sta spalancato a un sole sazio a dir poco. L’attività vinicola è tra le cose che trasmettono ancora il conforto di ritmi certi, pur graffiando sempre qualche giorno in più ad agosto. Anch’essa nasce – e rinasce – in tempi di siccità amministrativa e sgretolamento. Siamo nel V secolo d.C. e un giovane Benedetto, originario di Norcia, trascorre un periodo di studio e Roma, trovandola però dispersiva e caotica. Si ritira in isolamento e questa aiuola di tempo coltivata in modo autoctono sarà utile a creare un “ordine” nuovo. L’attesa “non è mai tempo sprecato”, come recita un progetto di Simone Berti per San Leonardo, antico monastero e oggi azienda vinicola. Benedetto non solo fonderà il monachesimo occidentale, ma riabiliterà la coltura del vino, salvandola dall’estinzione dell’Impero romano. I benedettini sono religiosi stanziali e poco peregrini, vivono tutta la vita nello stesso ecosistema di preghiera e lavoro; eppure la porta è sempre aperta a chiunque vi bussi. Le aziende agricole sono allo stesso modo aree chiuse, di necessità integrate con l’ambiente, abitudinarie nella loro relazione con la terra. Spesso ospitano artisti che creano piccole collezioni autoctone; ma la cosa più interessante è quando questi lavorano ai varchi. Dunque, non ci resta che citofonare e vedere cosa accade quando la creatività è messa letteralmente alla porta. Attenzione, si tratta di oggetti dove l’evocazione è spesso masticata dalla funzione.

Simone Berti, “L’attesa non è tempo sprecato”, libro d’artista per Arte a San Leonardo, della Tenuta San Leonardo, 2023

Ceretto, Castiglione Falletto (CN)

Valerio Berruti (1977) titola Ovunque proteggimi il cancello che ha realizzato per la Cantina di Bricco Rocche nel 2012. Vediamo i profili di due bambini in metallo volgere le spalle a chi entra; non sappiamo se la loro sia una mano tesa verso l’esterno, oppure un sottinteso suggerimento a mantenere un perimetro familiare, dunque esclusivo. Quando il cancello si apre per loro è un bisturi e il titolo dell’opera diventa forse preghiera.

La famiglia Ceretto inizia la propria avventura artistica nel 1999, quando l’artista britannico David Tremlett, durante un soggiorno nelle Langhe, propose il restauro di una vecchia cappella contadina, mai consacrata e usata come riparo dalle piogge. Ne è nato un lavoro a quattro mani che ha visto all’opera Sol Lewitt (per l’esterno) e lo stesso Tremlett per la decorazione interna.

Valerio Berruti, “Ovunque proteggimi”, Cantina Bricco Rocche di Ceretto, Castiglione Falletto, 2012

Cantine Antinori, San Casciano in Val di Pesa (FI)

Lo zerbino è l’oggetto che calpestiamo con una mancanza di ritegno eccellente, del resto sembra non chiederci molto altro. Ma Elisabetta Benassi (1967) lo veste a nozze con un telegramma postale, obbligandoci a rivolgergli almeno uno sguardo. È una cartolina scritta da Giacomo Puccini per Piero Antinori e in cui accenna al successo de “La fanciulla del west”, rappresentata la prima volta al Met di New York nel 1910. L’idea venne al compositore proprio dopo una chiacchierata con l’amico marchese, probabilmente in un momento di esasperazione personale. In una lettera inviata a Ricordi in quegli anni, Puccini confida all’editore di non poterne più de “La Bohème” e del suo successo. Nel 1907 si cimenta così nella scrittura di questa nuova opera che, tuttavia, non rimanderà mai direttamente al suo indirizzo artistico, né diventerà tra quelle di repertorio. Nel lavoro di Benassi è il pretesto di una storia a grandezza più che naturale: anche lo straordinario può diventare abitudine, questa routine zerbina che non risparmia nessuno, neanche chi apparentemente si nutre e produce novità.

La Cantina Antinori negli anni ha creato una sua collezione commissionando lavori site-specific a Rosa Barba, Yona Friedman, Tomàs Saraceno e Diego Perrone, tra gli altri.

Elisabetta Benassi, “La fanciulla del West”, Antinori Art Project, 2023

Feudi di San Gregorio, Sorbo Serpico (AV)

La foresteria è il luogo deputato all’accoglienza, ma quella della cantina di Sorbo Serpico era appassita da un’architettura i cui spigoli bucavano con dispetto il verde intorno. Nel dubbio tra rimuoverla o tentare una conciliazione, nel 2022 Feudi chiama la coppia creativa dei Fallen Fruit, che aveva già lavorato in Italia per Manifesta 12 nel 2018. Il nome del progetto artistico si ispira a quel passo celebre del Vangelo, dove il seme caduto produce molto frutto; i Fallen Fruit ne fanno una missione poiché, sin dal 2004, mappano gli alberi da frutto delle città dove approdano, oppure realizzano lavori site-specific in stencil, portando il sole della California come verbo nel mondo.

A Sorbo Serpico si mettono per la prima volta alla prova con un’istallazione da esterno di grandi dimensioni, traendo ispirazione da un tempio dedicato a Dioniso a Somma Vesuviana; sembra che nell’antichità il dio dell’ebbrezza fosse il patrono di queste zone, poi la vite cedette il passo all’incertezza del tardoantico e la coltivazione venne incentivata di nuovo da Gregorio Magno nel VI-VII secolo d.C. La memoria di questo papa è legata anche all’aver eletto le immagini a racconto biblico per i poveri, così da educare e spronare all’imitazione del racconto evangelico. Più o meno consapevolmente, “A Portrait of Dionysus” ha il volto di una statua romana del II secolo: è appunto il ritratto di un “tipo” non specifico, ma riferibile a una generale idea del dio. Del resto, la sintesi a prova atmosferica è quello che si chiede alle opere di street art, sia che rappresentino San Gennaro, Maradona o un dio pagano: solo così riescono ad essere santini ed ex-voto, in cui ognuno può riconoscere le gesta che sente proprie. In un certo senso, l’auspicio di San Gregorio del votare l’arte alla familiarità è portato a compimento.

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