Pochi giorni e della banana di Maurizio Cattelan Comedian esposta ad Art Basel Miami si fa già un gran parlare; su Instagram, che come ci ha insegnato Cattelan stesso col suo account è un gran laboratorio di sperimentazione delle arti contemporanee, è già nata già la pagina-parodia @cattelanbanana voluta proprio dalla Perrotin Gallery. Ci sono versioni dell’installazione di Cattelan fatte con zucchine, foto, persone, pere, un pene, giornali, addirittura con un macbook incollato al muro con la stessa striscia di scotch argentato con cui all’epoca Cattelan aveva appeso anche Massimo De Carlo a Milano. C’è chi critica, chi denuncia la follia del prezzo dell’opera riproducibile in serie, chi tira fuori la solita storia di quanto Cattelan sia bravo a provocare e metterci in crisi, chi sostiene un ritorno del ready-made, chi ci propina la stantia riflessione sul “che cosa è arte” dopo Duchamp, la pop art, ecc. Il punto è questo: Cattelan ha fatto semplicemente un’azione come un’altra, ha preso una banana organica e l’ha attaccata al muro.
Ha citato Andy Warhol, la tradizione della nature morte, degli ovvi riferimenti fallici, ma soprattutto ha preso una banana, una semplice banana, e l’ha attaccata al muro con il già notato perfezionismo estetico e usando il suo solito nastro adesivo. La lettura un po’ truce della critica standard per cui “Cattelan sfidi il pubblico a riflettere sul concetto di valore delle opere d’arte e sul modo in cui noi diamo valore agli oggetti” è lontana dalla verità come poche cose, la banana non è il cesso fatto di oro: ogni materiale ha lo stesso valore, per dirla con una parafrasi di una nota tesi di Wittgenstein – le cose sono come sono e non c’è in esse nessun valore, se un valore c’è deve esistere fuori di esse. Una banana al muro, una tela, una scultura, sono tutte equivalenti; se Cattelan mostra qualcosa, posto che per chi scrive sia già sufficiente il fatto che avesse voglia di attaccare al muro una banana, è semplicemente che l’arte è ovunque proprio perché non è in nessun luogo specifico. Convenzionali sono i valori, e ingenuo lo stupore di chi grida al misfatto per le centinaia di migliaia di euro a cui queste banane saranno vendute: l’arte contemporanea, di oggi e di sempre, è ciò che sintetizza in una forma uno spirito del tempo e ce ne fa parlare. In tal senso, eliminato alla radice il discorso sui materiali, c’è più arte in una banana, in quella specifica banana appesa al muro. C’è l’attribuzione di un prezzo, perché è assurdo che una banana costi un euro come centoventi mila euro dato che sono oggetti della natura che precedono la loro socializzazione; c’è il nastro adesivo, c’è la citazione, c’è l’aura della fiera, c’è al riproducibilità tecnica di Instagram, c’è che potevamo farlo tutti ma l’ha fatto lui.
Ne stiamo davvero ancora parlando dunque? Avessimo trovato attaccato a quel muro, con la stessa firma, un quadro a olio o una scultura di marmo avremmo davvero potuto gridare allo scandalo perché sarebbe stato tutto fuori tempo massimo, ma c’è una banana: la ferita dell’arte contemporanea attuale ringrazia, e ancora una volta tutti hanno l’occasione per capire che appunto le cose non sono le cose, ma ciò che essere significano per noi in relazione a un contesto. Eccola la banana: un oggetto che prima significava una cosa e che adesso ne significa un’altra, proprio perché paradossalmente continua a significare la cosa di prima. È una semplice banana.
“Sostituitela pure la banana quando si decompone”, ha già dichiarato Cattelan, così come quando una banana marcisce in casa ne compriamo una nuova; “sono ancora lo stesso oggetto?” Si chiederebbe qualche filosofo non capendo che in arte non vale ciò che vale per la filosofia – ciò che può essere dimostrato senza prova è innegabile. Mi scandalizza più trovare una banana in vendita in un fruttivendolo che in una fiera d’arte contemporanea: se proprio dobbiamo dare valore a ciò che la natura ci ha regalato almeno, senza nessuna polemica, paghiamo come si deve queste banane.
Leonardo Caffo è filosofo, saggista e conduttore. Collaboratore de La Lettura, scrive anche per le pagine culturali de La Sicilia, L’Espresso, Il manifesto e il Corriere della Sera. Dirige la rivista Animot: l’altra filosofia. È stato definito da Maurizio Ferraris «il più promettente, versatile e originale tra i giovani filosofi italiani».
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E meno male che l'autore dell'articolo è uno dei più promettenti ed ORIGINALI giovani filosofi italiani. Uno scritto che è una sequela di concetti triti e ritriti.