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Una campagna di crowdfunding per il Padiglione Grenada alla Biennale d’Arte
Arte contemporanea
Alla Biennali di Venezia, che siano di arte o architettura, i padiglioni nazionali solitamente mostrano i muscoli – anche quando i progetti sono minimali, spazio vuoto o poco più – con opere e installazioni ad ampio respiro e preparate con dovizia di mezzi e di budget. D’altra parte, le nazioni più in vista possono contare sul supporto dei propri governi, che spesso hanno una voce di spesa dedicata, oppure sull’aiuto di fondazioni private ed enti commerciali, interessati a mettersi in gioco in questo settore, in un’occasione di prestigio e di grande richiamo. Ma non sempre è così, anzi, non sono rari i casi di artisti che, chiamati a rappresentare Paesi più piccoli, devono pagarsi le spese, facendo i conti con finanziamenti molti limitati per le arti. È questo il caso di Billy Gerard Frank, regista, scenografo, scrittore e artista multimediale autodidatta di origini grenadine, di base a New York, chiamato a realizzare il Padiglione dell’isola caraibica alla 59ma Biennale d’Arte Contemporanea di Venezia, in programma dal 23 aprile al 27 novembre 2022. Purtroppo, i mezzi non sono tanti e così ci si deve arrangiare, appoggiandosi alla generosità del popolo della rete.
L’artista ha infatti appena lanciato una campagna di crowdfunding a favore di “Palimpsest: Tales Spun From Sea And Memories”, progetto che, si spera, vedremo nei prossimi mesi in Laguna, all’Art Space Giardino Bianco, basato sulla figura storica di Ottobah Cugoano, attivista ghanese per l’abolizione della schiavitù. Aato ad Ajumako, nell’attuale Ghana, nel 1757, catturato e venduto come schiavo all’età di 13 anni, fu poi portato a Grenada. Nel 1772 venne acquistato da un mercante inglese che lo condusse in Inghilterra, dove fu liberato. Più tardi ebbe modo di conoscere personalità politiche e culturali britanniche e fu tra i fondatori dei Sons of Africa, un gruppo di abolizionisti africani. Nel 1787 pubblicò il suo saggio contro la schiavitù, un atto d’accusa, in lingua inglese, verso le conquiste coloniali, inviato a Giorgio III e anche al filosofo e politico Edmund Burke.
Il fulcro dell’opera di Frank sarà una installazione cinematografica a doppio canale: «Il film sarà proiettato verticalmente, dal pavimento al soffitto, e ci sarà acqua su entrambi i lati delle pareti», ha spiegato Frank. «Quando entri nel padiglione, ti troverai di fronte a questa figura e alle proiezioni di immagini del XVIII secolo, come mappe e fotografie d’archivio, mentre legge e ci racconta la storia della sua vita». Frank lavorerà insieme ad altri sei artisti, tutti di Grenada: Oliver Benoit, Ian Friday, Asher Mains, Susan Mains, Angus Martin e Samuel Ogilvie. Il progetto espositivo, curato da Daniele Radini Tedeschi, presenterà diversi media, tra pittura, scultura e materiali d’archivio e in programma anche una serie di performance.
Ex colonia britannica, indipendente dal 1974, Grenada ha poco più di 100mila abitanti ma in Laguna è una presenza quasi fissa: oltre a Cuba, è l’unica isola caraibica ad aver partecipato alla Biennale di Venezia almeno cinque volte. Eppure, il governo non contribuisce finanziariamente alla partecipazione alla manifestazione dedicata all’arte contemporanea. «Non abbiamo istituzioni per l’arte a Grenada, quindi la nostra forza è costruita sul lavoro dei nostri artisti, sia abitanti dell’isola che provenienti dalla diaspora», ha detto a Hyperallergic Susan Mains, commissario del Padiglione Grenada. «Il contributo di Frank è stato inestimabile. Siamo un Paese ricco di risorse ma non di quelle economiche». StART, una società di produzione espositiva italiana co-fondata da Tedeschi, fornirà supporto finanziario per il padiglione, ma Frank deve ancora raccogliere almeno 250mila dollari per realizzare la sua visione per la Biennale.
Peraltro, non si tratta della prima volta: chiamanto per la Biennale d’Arte di Venezia del 2019, anche in quella occasione lanciò una campagna su GoFundMe per raccogliere 10mila dei 70mila dollari stimati per produrre “Second Eulogy: Mind the Gap”, un cortometraggio autobiografico ispirato ai temi dell’esilio e dell’estraniamento e ai ricordi della sua famiglia. Alla fine, il costo totale del progetto è stato di 175mila dollari. Per avere un metro di paragone, solo la cifra avanzata dalla realizzazione dell’ultimo padiglione Italia alla Biennale d’Arte, quello curato da Milovan Farronato, ammontava a 120mila euro, messi poi a disposizione per una serie di migliorie strutturali per lo spazio all’Arsenale.
Finora, Frank ha raccolto il 10% del suo obiettivo iniziale di 250mila dollari, che coprirà i costi di pre e postproduzione, nonché le spese di viaggio e alloggio tra New York, Grenada, Ghana e Scozia per le riprese del film. Spera di raccogliere fino a 500mila dollari per portare a termine l’opera, che comprenderà anche una performance dal vivo a Venezia.
Che raggiunga o meno il suo obiettivo, la campagna di crowdfunding apre una questione spinosa per la Biennale d’Arte: l’enorme disparità delle condizioni economiche di partenza dei Padiglioni che, spesso, riflettono una situazione complessa tanto a livello nazionale che su scala geopolitica. A soffrire di queste limitazioni, dovute a situazioni particolari e contingenti oppure endemiche, ci sono però anche padiglioni titolati, come quello della Lituania, che vinse il Leone d’Oro alla Biennale d’Arte del 2019 ma che, per portare avanti le sue performance “on the beach” – ricordiamo che il progetto prevedeva la ricostruzione di una spiaggia con tanto di bagnanti – ha dovuto ricorrere a una campagna di crowdfunding. Certo, in tempi in cui è necessario giocare al risparmio, si potrebbe pensare alla sostenibilità – non solo dal punto di vista economico – già in fase progettuale. Ma questo è un altro discorso.