Una nuova luce per Villa Panza

di - 5 Marzo 2020

Una collezione non è un semplice assembramento di opere; essa propone esperienze da vivere e condividere. Collezionare per me non significa solo possedere, è un modo d’essere, un’attitudine filosofica che riguarda la mia ricerca di pienezza che desidererei condividere

Giuseppe Panza

Iniziamo con la citazione del conte Giuseppe Panza (1923-2010), padrone della casa-museo di Biumo, e della straordinaria collezione donata al Fai nel 1996, che vanta un patrimonio arricchito nel corso del tempo grazie alle donazioni di opere preziose degli artisti che hanno esposto in occasione di mostre temporanee.

Negli anni ’50 il Conte Panza, viaggiatore curioso, appassionato delle avanguardie americane, con la moglie Giovanna, ancora oggi dallo sguardo giovane e dall’allure elegante di Grace Kelly che ha condiviso i sogni del marito e un’attitudine idealistica dell’arte, inizia a collezionare e ad arricchire la villa settecentesca incastonata in un giardino mozzafiato.

È nota la sua collezione d’arte del XX secolo, di oltre 150 opere di artisti americani, ispirati dalle potenzialità espressive ed estetiche della luce, del colore e in particolare del movimento Light and Space. A Villa Panza sorprende la sua eleganza nell’accostare lavori di arte contemporanea ad arredi storici, sculture africane, precolombiane con oggetti d’arredo, incastri perfetti tra passato e presente perché ogni stanza è un luogo ideale dove meditare, contemplare la bellezza della natura circostante. E se Jean Baudrillard scriveva: “Si colleziona sempre il proprio io”, allora basta immergerci nelle sue opere, per cogliere la tensione verso la fusione cosmica che avviene tra architettura e arte, dentro uno spazio metafisico dove le scelte artistiche del collezionista rispecchiano il suo sguardo soprattutto nell’allestimento originale.

Villa e Collezione Panza, Ala delle scuderie, Varese Scrim di Robert Irwin, 2013 ∏ FAI – Fondo Ambiente Italiano

Il riallestimento della collezione

In occasione della ventennale apertura al pubblico della dimora del conte, laboratorio di avanguardie dagli anni Settanta, a dieci anni della morte di un lungimirante collezionista dell’arte minimalista e ambientale americana, con la mostra intitolata “Villa Panza. Un’idea assoluta”, per due mesi si ripresenta l’allestimento integrale sgombra da altre mostre temporanee della collezione permanente, (fino al 19 aprile) secondo la sensibilità, le visioni e i criteri museografici indicati dal conte.

Poi da maggio in villa torneranno importanti mostre internazionali, la prima sarà dedicata a Gunther Forg (1952-2013), mentre in autunno vedremo in scena Ed Clark (1926-2019). La collezione permanente in questa straordinaria occasione espone dieci pezzi donati dagli artisti nell’ambito delle loro mostre site-specific, esclusa l’indimenticabile Ganzfeld di James Turrell, ambiente immersivo straniante per il quale si pensa di ripresentarlo prossimamente in uno spazio ipogeo. L’immersione in “paesaggi” e “passaggi” di luce, avviene stanza dopo stanza, incomincia nel maestoso impianto architettonico dello Scalone, che collega il piano terra al piano nobile, dove ai lati sono esposti due opere dell’artista tedesco Hubert Kiecol, Untitlet 7/88 (1988). Tra le altre opere monocromatiche, in particolare di Phil Sims e Ruth Ann Fredenthal, tra i principali esponenti dell’arte colorista americana dalle cromie ispirate alla natura circostante, vibrano a seconda dell’intensità della luce. La simmetria minimalista mai algida, si confronta con la gestualità dell’Espressionismo Astratto nella serie di Black Wall Paintings, di Ford Beckman, e in opere in cui ogni pigmento viene applicato in modo istintivo, lasciando intravedere l’intervento manuale dell’artista a confronto con le vulnerabilissime sculture organiche di Christiane Lohr.

Villa e Collezione Panza, Scuderia del cavalli da sella piano terra, opere di Allan Graham, Foto Michele Alberto Sereni – Magonza, 2020 ∏ FAI – Fondo Ambiente Italiano

Percezioni e luce in Villa

Si continua il viaggio intorno a vibrazioni tattili-luminose attraverso il colore, con opere che alterano la percezione ottica dello spettatore, un esempio sono i cubi di legno, carta o acciaio di piccole dimensioni di Stuart Arends, dalle rigorose geometrie, modulate da gamme di colori stratificate da guardare con attenzione. La tensione verso una eleganza assoluta è la cifra costante della sua raccolta, che si riflette in questo allestimento, nella successione vivace di opere minimal art e della conceptual art dove ragione e sensazioni compenetrano in forme pure, primarie, essenziali. Lungo il percorso espositivo si percepisce che dietro ogni singola opera c’è il dialogo del conte con l’artista, ognuna veniva scelta secondo un criterio ragionato di affinità personale e condivisione spirituale con l’artista. Da non perdere, tra le altre opere sono due ambienti nell’ala padronale della Villa, di Allan Graham, composizioni tridimensionali dalle forme irregolari e ricurve, cariche di valori ancestrali, quasi monocromi che, ricorda Giuseppe Panza “danno una speciale sensazione di indefinito: la superficie assorbe il colore e la luce, e l’effetto è di qualche cosa che penetra dentro l’opera d’arte”.

Un altro significativo nucleo della serie Cave of Generation, realizzata negli anni’90, si trova nella scuderia piccola al piano terra. Nella Scuderia grande, dove prima c’era l’opera Ganzfeld di Turrell, è ricomparsa la monumentale ruota davvero surreale chiamata Desire (1981) di Martin Puryear, invisibile dal 2012. L’artista sudafricano che ha rappresentato gli Stati Uniti alla Biennale di Venezia del 2019, si distingue per la sua capacità di coniugare la tradizione con la sacralità del manufatto e la sua identità. Pittura e scultura s’incontrano nel linguaggio espressivo di Ettore Spalletti, maestro delle sfumature della luce, delle vibrazioni del colore, attraverso forme asimmetriche, vasi, un acquasantiere in marmo statuario di Carrara e acqua del 1986, monoliti, superfici pittoriche irrorate di luce naturale proveniente dalle grandi finestre dell’ala padronale. Seguono David Simpson nella cappella con otto dipinti realizzati nel 1992 e altre opere monocrome. Il percorso nel silenzio astrattivo delle opere minimaliste, si evolve in emozione polisensoriale nell’ala dei Rustici, dove sono ospitate le opere site-specific in connessione all’architettura e al paesaggio circostante. Il nucleo di opere qui presentate sono di proprietà della Solomon R. Guggenheim Foundation di New York, in prestito permanente al Fai.

Villa e Collezione Panza, Ala sud primo piano, opere di Allan Graham,Foto Michele Alberto Sereni – Magonza, 2020 ∏ FAI – Fondo Ambiente Italiano

Le stanze di James Turrell

Di James Turell, lasciano senza parole Sky Space I, Lunette e Vigra (1974) stanze con grandi aperture realizzate a filo del soffitto, che incorniciano il cielo e alterano la percezione della profondità dell’ambiente circostante. Robert Irwin, incanta con tre opere ideate per la Villa site conditionel, Varese Portal Room, Varese Window Rom e Varese Scrim (1973-76). Nel 2013 in occasione della mostra temporanea Aisthesis. All’Origine della percezione, Irwin progetta per lo spazio della Limonaia nelle Scuderie della villa, la quarta opera Varese Scrim 2013 (in co donata dall’artista al FAI.

I neon di Dan Flavin ipnotizzano nel Varese Corridor (1976), 207 tubi al neon di tre lunghezze diverse e in tre colori (verde, giallo e rosa), s’incastrano perfettamente nell’architettura ottocentesca dei Rustici, in cui le luci fluorescenti si alternano riflettendosi sull’intera lunghezza del marcapiano del corridoio, dove la luce e il colore diventano spazio. Tralasciando le altre opere di Flavin sperimentano il potenziale architettonico della luce artificiale e del colore, lo spazio contemplativo è vivo più che mai, come dimostra la stanza sonora di Michael Brewster, restaurata di recente. Tralasciando tutte le altre opere da vivere più che raccontare, emoziona l’installazione video A Winter Fable di Bob Wilson, dentro e fuori questa casa-museo, incornicia l’architettura del paesaggio, valorizzata da opere che trasudano di tensione verso l’infinito.

Vita, opere, allestimento sapientemente recuperato traendo spunto dai suoi appunti virgola, dalla direttrice Anna Bernardini con la collaborazione dello staff, riflette lo sguardo di un collezionista illuminato, un talent scout, il cui motto della sua vita fu comperare, conservare, tramandare ed aggiungiamo noi, emozionare, fedele alla sua libertà spirituale. Metaforicamente, stanza dopo stanza, abitata da un metafisico silenzio lasciatevi condurre alla scoperta di percorsi di luce naturale e artificiale, occorre tempo per osservare opere quale soglia verso l’illuminazione che in questa villa pongono riflessioni filosofiche sul senso della Bellezza della Natura, del Cosmo, di cui noi siamo una piccolissima parte.

Jacqueline Ceresoli (1965) storica e critica dell’arte con specializzazione in Archeologia Industriale. Docente universitaria, curatrice di mostre indipendente.

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